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come vincere la sfida dei rifiuti

Post n°62 pubblicato il 05 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 

Il problema dei rifiuti non può essere isolato dal suo contesto, cioè dalle produzioni e dai prodotti che li generano, dai modi del loro consumo. Alla luce del contesto il tema rifiuti si colloca all´interno di una contesa tra culture diverse in cui le posizioni dei contendenti si radicano entrambe nell´ambito della modernità; ma con esiti sempre più divergenti. Ritroviamo la stessa
contrapposizione tanto sulle grandi questioni dell´umanità, come guerre o
cambiamenti climatici, quanto in quelle minute della vita quotidiana – compresa
la produzione di rifiuti – il cui effetto cumulativo decide il destino del
pianeta. Da un lato abbiamo la cultura della crescita, affidata alla tecnica e
al mercato, più o meno corretto con interventi "politici", ma
anch´essi di natura tecnica; non a caso chiamati sempre più spesso
"manovre". Qui, alle aspettative sullo sviluppo tecnologico viene
affidato anche il rimedio ai "danni collaterali" prodotti dalla
tecnica: alla superiorità nella tecnologia bellica il compito di garantire
l´ordine mondiale messo in forse dalla disseminazione di armi micidiali;
all´energia nucleare, alla cattura del carbonio, all´idrogeno, il compito di
neutralizzare i cambiamenti climatici provocati dai combustibili fossili, il
cui utilizzo non deve conoscere tregua per non ostacolare la crescita.
L´assunto è semplice: la tecnologia ci ha dato il benessere; la tecnologia
rimedierà ai suoi danni collaterali. Nella vita
quotidiana la cultura della crescita è promozione del consumo per il consumo;
del consumo per mandare avanti la macchina produttiva; del consumo per
sostenere occupazione e redditi. Consumo di beni sempre più inutili mentre
miliardi di uomini mancano del minimo necessario. Il "danno
collaterale" del consumo è costituito dai rifiuti, perché tutto ciò che
viene prodotto è destinato a trasformarsi in rifiuto in un lasso di tempo
sempre più breve. Quindi, tanto vale produrre direttamente rifiuti:
l´usa-e-getta (nel cui novero rientrano tutti gli imballaggi "a
perdere") non è altro che fabbricazione di rifiuti destinati a qualche
effimera funzione per il tempo più breve possibile. Ma la
cultura della crescita ha sempre una "tecnologia" pronta per
rimediare a tutto: Per i rifiuti, prima c´era la discarica, più o meno
"controllata"; poi l´inceneritore (il sogno di "mandare in
fumo" tutto ciò che non ci serve); poi il "termovalorizzatore"
(la produzione di energia più costosa mai comparsa sulla Terra: il
termovalorizzatore manda in fumo con rendimenti energetici infimi non solo
quello che brucia, ma anche tutta l´energia consumata per produrre i materiali
che usa come combustibile e che potrebbero invece venir riciclati); infine il
"ciclo integrato" dei rifiuti, inframmettendo tra pattumiera e
inceneritore altre macchine per separare il secco dall´umido e "un
po´" di raccolta differenziata; ma non troppa; altrimenti il
termovalorizzatore si spegne. Il secondo
contendente di questa contrapposizione è la cultura della sobrietà. Non è
organizzata, né sponsorizzata, né roboante; ma in qualche modo si radica in
ciascuno di noi quando realizziamo che la rincorsa ai consumi è soprattutto una
corsa alla produzione di rifiuti che rende tutti più poveri e intasa il mondo.
Anche la cultura della sobrietà è figlia della modernità: non è frutto della
penuria, della nostalgia per il passato o di una volontà di espiazione; bensì
di saperi che ci guidano a usare le risorse in modo ragionevole. Non ha
inventato macchine volanti, ma il deltaplano, che permette di realizzare il
sogno di Icaro sfruttando i movimenti dell´aria; o la bicicletta, che
moltiplica il rendimento dello sforzo che si fa per camminare; o il trasporto
flessibile che combina velocità, comodità e risparmio di spazio, di risorse e
di energia. Non ha realizzato la fusione a freddo – la pietra filosofale che
trasformava il piombo in oro e oggi dovrebbe trasformare l´acqua in idrogeno –
ma i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, che possono fornire all´intero
pianeta tanta energia quanta ne basta per una vita moderna e agevole. Ma solo
in un quadro di contenimento e perequazione nell´utilizzo delle risorse. Meno
consumi producono meno rifiuti; ma a ridurre la produzione di rifiuti sarà
soprattutto quello che si consuma e il modo in cui lo si fa: le nostre scelte
di acquisto. Cioè: meno imballaggi superflui (oggi sono il 40 per cento dei
rifiuti urbani in peso e il 70-80 per cento in volume), cominciando da
bottiglie e flaconi a rendere cauzionati; meno prodotti usa-e-getta (un altro
10 per cento): l´usa-e-getta ha sostituito per una frazione di secolo prodotti
che prima si usavano fino alla consunzione; ma oggi ci sono sostituti dei
prodotti usa-e-getta che costano e inquinano meno e sono più comodi e igienici
di tutti i loro predecessori: nuovi pannolini lavabili o lavastoviglie che
evitano il ricorso a piatti e bicchieri di plastica nelle mense. Più prodotti
venduti sfusi ("alla spina"), a partire dai detersivi; meno sprechi
di avanzi alimentari, per lo più frutto di una spesa fatta senza programma,
come ricordava pochi giorni fa Carlo Petrini; più compostaggio domestico dei
rifiuti organici (ovunque si disponga di spazi adeguati, e lo può essere anche
un balcone); adozione di prodotti tecnologici modulari (computer, hi-fi,
cellulari, elettrodomestici), in modo che per adeguarli ai progressi della
tecnologia non sia necessario cambiare tutta l´attrezzatura, ma solo le
componenti logore od obsolete; una moderna regolazione e incentivazione del
mercato dell´usato, per non mandare in discarica o in fumo quello che milioni
di persone sono ancora disposte a usare. E poi, ma solo poi, raccolta
differenziata capillare porta-a-porta, responsabilizzando gli addetti perché
intrattengano un rapporto diretto con gli utenti; impianti decentrati di
compostaggio e di recupero dei materiali; incentivi agli acquisti ecologici
(green procurement) per enti pubblici e imprese, per fornire un mercato ai
materiali riciclati. Sono cose
semplici, alla portata di cittadini, enti locali e imprese grandi o piccole, ma
tanto più urgenti, anche ricorrendo a misure straordinarie, quanto maggiore è
l´emergenza rifiuti che soffoca un territorio. Intervenire alla fonte, in base
alla gerarchia delle priorità indicata oltre trent´anni fa da Ocse ed Europa:
riusare, ridurre, riciclare, e poi smaltire – "termovalorizzatore" e
discarica – solo quello che rimane. Ma se si fa tutto ciò, che cosa resta da
bruciare in un "termovalorizzatore"? Quasi niente: non l´acqua (60-70
per cento) contenuta nel residuo organico sfuggito alla raccolta differenziata;
non la carta talmente bagnata da non poter essere conferita insieme a quella
riciclabile; non il vetro e le lattine che invece di bruciare assorbono calore.
Ma neanche quel poco di plastica che ne resta dopo una buona raccolta
differenziata (che al 2012, per decisione coincidente – caso quasi unico –
degli ultimi governi sia di destra che di sinistra, dovrà raggiungere
l´obiettivo del 65 per cento). Perché la plastica è fatta con il petrolio e non
potrà più essere assimilata a una fonte di energia rinnovabile e fruire di
quegli incentivi che in passato hanno fatto ricchi i gestori degli inceneritori
– primo tra tutti quello famosissimo di Brescia – a spese dei fondi pagati da
tutti noi per promuovere l´energia del sole, del vento, dei residui dei boschi
e delle colture bioenergetiche. E allora?
Allora, anche nel campo dei rifiuti, la cultura della sobrietà ha soluzioni,
anche tecnologicamente molto sofisticate, e tutte già sperimentate, per
raggiungere risultati che la cultura della crescita non riuscirà mai a
conseguire, immobilizzata com´è in attesa di inceneritori che sarà sempre più
difficile e costoso realizzare e soprattutto far funzionare senza incentivi
(negli Stati Uniti non se ne costruiscono più da 15 anni, mentre in molte città
del Nord America la raccolta differenziata ha raggiunto il 60 per cento in poco
più di un anno). La crisi drammatica della Campania deve essere l´occasione per
un ripensamento profondo e generale su queste alternative. (Guido Viale)

 
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