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imparare a morire

Post n°49 pubblicato il 16 Dicembre 2007 da p_i_a_n_o
 

"In questi
giorni sono stato vicino a un caro amico che sta morendo: Sergio Angeletti, in arte Angese.
Ve ne parlo non per rattristarvi ma per raccontarvi che e' possibile affrontare la
morte in modo diverso.
Ve lo dico
perche' credo che tutti abbiamo una paura fottuta del momento nel quale capisci
che la tua vita sta per finire. E credo sia di conforto sapere che e' possibile
affrontare questo momento serenamente.
Non che
Sergio non avesse paura o non fosse dispiaciuto (se la tua morte non ti crea
scompiglio sei un lobotomizzato emotivo oppure sei stupido). Ma e' riuscito a
trovare un atteggiamento positivo anche di fronte a un evento cosi'
sconvolgente.
La
settimana scorsa ho scritto che era stato ricoverato per una "cazzata".
Una peritonite agli intestini. Ma poi le complicazioni sono seguite alle
complicazioni e si e' via via aggravato. Pareva che la peritonite fosse un
effetto collaterale di una precedente operazione, invece ieri sono arrivate le
analisi istologiche che insieme ai risultati della Tac hanno dato informazioni
che non lasciano speranze. Ieri sera e' stato operato di nuovo d'urgenza anche
se c'era poco da fare.
Ci siamo
trovati intorno a lui che era ancora perfettamente lucido, desiderava avere
intorno gli amici, almeno quelli che per ragioni geografiche potevano accorrere
rapidamente.
Abbiamo
parlato per ore con Paola, Irish, Rita, Angela ed Eleonora. Un po' scherzando,
Sergio sparava battute esilaranti, un po' parlando del fatto che stava per
morire. Era convinto di non risvegliarsi dall'anestesia. Ci ha dato istruzioni
sulla sua sepoltura. E per la festa da fare al posto del funerale con i
lamenti. Vuole essere cremato e seppellito ad Alcatraz sulla strada per la Torre, dove ci sono le
pietre dipinte. Ha detto: "Seppellite li' i miei resti... Nel cimitero
indiano." Vuole che ci mettiamo una pietra con sopra un cavallo dipinto,
con il muso verso il ristorante, come se stesse tornando a casa dalla Torre.
Poi ha voluto firmare la disposizione per essere cremato e una dichiarazione
che richiedeva ai medici di evitare ogni accanimento terapeutico. E poi abbiamo
parlato di cosa pensiamo succeda quando la vita finisce. Nessuno di noi e'
credente ma non riusciamo neanche a immaginare che non continui a esistere nulla
di nulla dei pensieri e dei ricordi. Non abbiamo le idee chiare, e in fondo non
e' richiesto capirci qualche cosa di fronte al mistero della morte. Ma il
semplice materialismo bruto (muori e basta) non ci sembra credibile. Forse non
continua a esistere proprio la tua entita' cosciente ma solo qualche cosa di
piu' labile... Ma proprio tutto tutto non puo' sparire. Quanto meno resta l'eco
della tua vita. Come quando una boccia colpisce un'altra boccia mettendola in
moto. Beh, non siamo arrivati a grandi conclusioni.
Comunque
era surreale vederci li', intorno al suo letto a discutere della vita dopo la
morte non in astratto ma come cosa imminente.
L'unica
conclusione sicura a cui siamo giunti e' che una volta che Sergio sara' sepolto
sotto la pietra con il cavallo dipinto, se qualcuno vorra' sapere come la pensa
potra' andare li' e provare a parlargli.
Non ha
garantito che rispondera' a tutti ma ci ha promesso che passando di li'
sentiremo la sua amorevole presenza. Sono 30 anni che con Angese dividiamo le
esperienze fondamentali della vita e so che se dice una cosa poi la fa. Se non
esistesse niente dopo la vita, ma proprio niente, il nulla pressofuso degli
atei duri, in ogni caso questa sarebbe solo una regola generale. E sicuramente
Angese costituirebbe l'eccezione.
Il fatto
che l'universo abbia sue leggi e' un suo problema non un nostro problema.
Si',
perche' quando ti trovi a vedere una persona che affronta la morte, capendone
la drammaticita' e la tristezza capisci anche che sta compiendo un gesto che
trascende i limiti della condizione umana. In fondo Dio, se anche dovesse
esistere, non ha grandi meriti: e' Dio, per lui e' l'unica condizione
possibile. Non fa nessuna fatica. Invece l'essere umano, per riuscire a
affrontare con relativa serenita' la fine della vita deve compiere un atto
straordinario che camminare sull'acqua a confronto e' una sciocchezza.
Sergio
Angese e' riuscito a dire a se stesso: ho vissuto alla grande, ho avuto una
vita intensa, ho fatto esperienze grandiose, adesso e' finita, vaffanculo, mi
va bene cosi'.
Grande
Angese, lo abbiamo ringraziato tutti, dicendogli che ci stava facendo un regalo
mostrandoci come si possa morire in modo degno, concludendo la vita con
eleganza, riuscendo a stemperare l'angoscia.
L'ultima
immagine di Sergio, che porto con me, per l'eternita': lui che viene sospinto
via in barella per questi corridoi infiniti di questo ospedale fabbrica.
Incredibilmente rimpicciolito - lui, che e' sempre stato possente - con la
testolina sprofondata tra le lenzuola, guarda il muro del corridoio che scorre
con un sorriso, sembra un sorriso incantato, che avresti guardando un
capolavoro, un tramonto o tuo figlio che gioca.
Mi piace
pensare che guardasse la vita, che persiste anche in uno squallido corridoio
d'ospedale, con lo stupore che merita.
E auguro a
tutti voi che mi leggete di saper affrontare la morte come Sergio.
E vi
auguro anche di avere una vita intensa e di gustarla il piu' possibile. Secondo
per secondo. E' l'unico valore che ti ritrovi quando finisce.
E vi
auguro di amare molto molti amici. Avrete piu' occasioni per soffrire ma credo
che sia bello avere intorno persone che ti amano quando la vita fisiologica
termina. Soffrire per amore e' un prezzo accettabile da pagare per il lusso di
amare e essere amati.
Credo che
si possa accettare la fine solo se hai assaporato quello che hai vissuto e lo
hai condiviso.
Aggiungo
una riflessione.
Se e' vero
che la vita e' una sola e' anche vero che la morte e' una sola.
Credo che
morendo si compia un'azione attiva che ha uno scopo anche se non saprei dire
quale.
Probabilmente
scoprirlo e' lo scopo della vita. Non e' un gioco di parole.
Questo e'
un pensiero bifronte.
Da una
parte sostengo che la morte potrebbe essere un fenomeno attivo che libera
nell'universo l'energia mentale accumulata in una vita. E ipotizzo che lo scopo
della vita e' alimentare e far crescere l'universo, migliorandolo attraverso
l'apporto di miliardi di cariche energetiche liberate dai decessi. La qualita'
dei decessi determina la potenza del miglioramento cui danno vita. Morendo bene
diamo maggiori possibilita' di essere felici a chi vivra' dopo di noi.
D'altra
parte la vita forse non ha uno scopo reale e quanto ho detto e' privo di
costrutto. Ma in quanto io lo affermo, questo pensiero esiste e se riesco a
morire restandone convinto ho creato uno scopo nella vita.
D'altronde
per provare questa affermazione posso solo esistere assaporando la vita, e cio'
da una parte mi dara' piacere, dall'altra mi permettera' di provare a me stesso
che la vita ha un senso positivo e vale la pena migliorarla in quanto gia'
cosi' mi permette di soddisfare la prima condizione essenziale: stabilire che
la vita ha valore e quindi senso.
Forse la
vita e' priva di senso ma noi possiamo compiere il miracolo di vivere talmente
intensamente da poter dire, alla fine, eccone il senso, l'ho inventato io, l'ho
costruito io e ora nessuno puo' mettere in dubbio che esista veramente.
Trovare il
proprio senso della vita e' un atto che travalica i semplici limiti che essa
stessa ci impone.
E
probabilmente io sono sotto shock, senno' non avrei il coraggio di fare questi
discorsi.
 La nostra
cultura rimuove la morte e poi la impaccheta in mille telefilm e telegiornali.
Non
vogliamo parlare della morte ma non riusciamo a non pensarci. Non la
affrontiamo come compimento del nostro lavoro di vivere e poi siamo disposti a
pagare per vedere piu' morti di quelli che ci passa gratuitamente la tv. Cosi'
ci abboniamo a Sky o andiamo al cinema.
Quanto
sarebbe educativo invece discutere della propria morte anche a scuola e fare
gite scolastiche in ospedale?
La morte
e' una grande maestra. E' lei che ci insegna che la vita ha un immenso valore.
La vita in se', non i grandi successi. La vita: guardare, camminare, annusare,
toccare, correre, baciare, giocare, godere, mangiare, accarezzare e dire
stupidaggini.
 Mi sono
sempre chiesto come mi trovero' io, come mi sentiro' quando capiro' che devo
morire.
Ovviamente
sommo privilegio sarebbe morire nel sonno. Ma se non mi e' dato...
Stare
vicino ad Angese in queste ore mi ha insegnato un grande trucco.
Io sono il
mio stato mentale di adesso. Ed e' ovvio che non possa pensare di dover
affrontare la morte.
Ma quando
ti trovi li', e sai che morirai presto, avviene una metamorfosi istantanea
nella tua mente. Lo shock agisce in qualche modo come una droga miracolosa e,
se riesci a guardare in faccia la situazione, entri in uno stato irreale dove
puoi persino dare un senso alla morte. Beh, magari un senso no... Ma riesci
almeno ad accettarla, a farla in qualche modo tua.
Lo stesso
mi e' successo mentre andavo in ospedale la prima volta. Avevo paura di come
avrei trovato Sergio dopo il primo intervento. Poi quando sei li' lo shock ti
aiuta e ti trovi ad essere la persona che puo' affrontare quella prova. Pensare
prima alle cose brutte non serve. Quando dovremo affrontarle, affiorera' dalla
nostra mente piu' profonda un'identita' sconosciuta, un altro me stesso capace di
affrontare quello stato perche' e' nato apposta per farlo. Averlo capito mi ha
dato una grande tranquillita'.
Io non
devo morire. Io sono quello che deve vivere perche' ora sto vivendo. Quando
dovro' morire sara' un altro a doverlo fare. Uno specialista della propria
morte." (Jacopo Fo)

 
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