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IL CANTUCCIO

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VERNER PANTON (1926-1998)

Post n°2 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da design.cr
 

A metà degli anni ’50 molti giovani artisti e scrittori erano soliti viaggiare in tutta Europa a bordo di vecchi camper; Verner Panton viaggia su di una Volkswagen che diventa ben presto il suo “studio mobile”. Partiva da Copenaghen per viaggi in tutta Europa facendo visita a designer e studi che si augurava avrebbero apprezzato e commercializzato le sue creazioni. In quegli anni la Danimarca, unitamente alla Scandinavia, è vista come centro della scena del design contemporaneo. In questo periodo lo stile di Verner Panton non si discosta troppo dalle morbide, naturalistiche forme del modernismo danese. Ma Panton sa di dover “andare oltre” tutto ciò, se vuole emergere nel suo lavoro. (non per nulla verrà ribattezzato l’”enfant terribile” della storia del design danese)

Nulla nell’infanzia di Panton fa pensare al fatto che diventerà un designer. Nato nel 1926 a Gantofte, piccolo villaggio sull’isola danese di Fünen, mostra sì uno spiccato interesse per l’arte, ma per la pittura e il disegno. A dispetto di ciò, si iscrive comunque alla Odense Tekniske Skole, nel 1944. In seguito la Danimarca fu occupata dai Tedeschi e Panton partecipa alla resistenza. Dopo la fine della guerra e il completamento degli studi, Panton si trasferisce a Copenaghen (1947) per frequentare l’Università di Architettura.

Chi introdusse Panton al design furono essenzialmente due figure: in primo luogo Pøul Henningsen, conosciuto alla Royal Academy of Art, celebre per le sue astratte e ardite lampade, dal design pulito, che traeva ispirazione dall’estetica industriale, e che affascinò Panton. Egualmente ebbe su di lui un’importante influenza Arne Jacobsen, con il quale Panton tra il 1950 e il 1952 lavora in società collaborando ad una serie di progetti sperimentali. Panton dichiarerà in seguito di “aver imparato molto da lui, più di quanto abbia appreso da qualsiasi altro.” Dietro la sobria eleganza della produzione di Jacobsen si può notare in realtà una ricerca minuziosa, quasi ossessiva di nuovi materiali e tecnologie che ispirò Panton.

Nel 1955 Panton apre uno studio di design e architettura; ben presto si fa conoscere grazie alle sue innovative proposte architettoniche. Riscossero successo anche i suoi numerosi progetti di sedie, lampade, tessuti e tappeti, e le installazioni delle mostre. E’ però con l’ideazione della “Cone Chair” che Panton afferma propriamente un suo personale stile distintivo. Un sottile “guscio” di metallo a forma conica con base in metallo a forma di croce. La sedia “Cone” fu originariamente ideata nel 1958 il barone Shilden Holsten commissionò a Panton la ricostruzione e l’ampliamento di questa locanda immersa in un bosco sull’isola danese di Fünen, nuovo ristorante gestito dai suoi genitori. Per questo albergo Panton progettò un interno completamente rosso. Un uomo d’affari danese, Percy von Halling-Koch, presente all’apertura del locale, notò la curiosa sedia e chiese a Panton di inserirla nella sua produzione.

Quando fu fotografata per Mobilia, noto design magazine danese, nel 1961, Panton ebbe l’idea di posizionare manichini e modelli completamenti nudi sulle sedie, i quali causarono molto meno scandalo della sedia in sé. La “Cone Chairs” suscitò reazioni controverse persino a New York, dopo che la polizia ordinò di ritirare la sedia dalle vetrine dei negozi in quanto troppi automobilisti si fermavano ad osservarla causando ingorghi di traffico. Questa particolare sedia, unitamente alla sedia Cuore, (1959) furono fabbricate dall’azienda Plus-Linje (Percy von Halling-Koch) 

Sempre nel 1955 Panton crea la sedia S in legno compensato, a sbalzo e in pezzo unico, ideata in collaborazione con Thonet, e per diversi anni tenta di realizzarne il progetto in plastica. Alla fine raggiunge lo scopo con la rivoluzionaria sedia Panton (1959-1960) di cui nel 1962 offre i diritti di produzione alla Herman Miller. (vedi post n.1) Nello stesso anno Panton lascia la Danimarca, si stabilisce brevemente a Parigi per poi aprire uno studio di design a Cannes. In seguito si trasferisce a Basilea con la futura moglie, Marianne Person-Oertenheim, dove inizia una lunga collaborazione con Vitra, (1967) coordinando Willy Fehlbaum (licenziatario della Herman Miller e fondatore di Vitra) nella messa a punto, durata cinque anni, di un metodo di produzione per la sedia Panton, che alla fine divenne la prima sedia in blocco unico stampata a iniezione in vari colori, sedia simbolo di un’era, anche per l’alta tecnologia impiegata per la fabbricazione.  (azienda Plus-Linje)

 

Anche se vinse numerosi premi durante gli anno ’70, Panton gradualmente si allontanò dal centro della scena del design. Nei cinici e freddi anni del post-Vietnam, il design politicamente impegnato di Alessandro Mendini e Gaetano Pesce era considerato saliente rispetto al design giocoso e ottimista nei confronti della tecnologia di Panton. Altri designers della sua generazione invece, quali Ettore Sottsass, rivitalizzarono la propria produzione tramite la collaborazione di giovani artisti. Così non fu per Verner Panton, sempre più isolato nel suo “esilio svizzero”.

 

Questa situazione cambiò verso la metà degli anni ’90, quando il modernismo della metà del 20° secolo in generale – e Verner Panton in particolare – tornarono di moda. Il graphic designer Peter Saville scelse nel 1964 la Shell Lamp come colonna portante del suo più noto e fotografato appartamento a London Myfair. Nel ’95 Vogue presentò in copertina Kate Moss in posa su di una Panton Chair. Panton vinse in questo periodo altri awards, e le sue creazioni degli anni ’60 rientrarono in produzione. (nel 1990 la casa Herman Miller-Vitra produce una seconda edizione delle sedie Panton)

Verner Panton  venne successivamente (1998) incaricato di occuparsi del design della “Light and Color” al Trapholdtmuseum a Kolding, Danimarca. L’esibizione aprì come previsto il 17 September 1998, ma Verner Panton morì appena dodici giorni prima, a Copenaghen. A differenza di altri designer danesi, Panton scelse un approccio al design rivoluzionario più che evolutivo. Nel corso della sua carriera produsse design altamente innovativi, arditi e giocosi che spesso fecero uso della più moderna tecnologia, rispecchiando la sua ottimistica fede nel futuro.

 
 
 
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