Creato da ofixe il 24/12/2005
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REGOLAMENTO
-Intitolare il post " 5 strane abitudini""
-Riportare nel post il regolamento
- trovare vostre 5 strane abitudini
-Individuare 5 bloggers a cui recapitare la medesima catena e indicarli nel blog ,e comunicarglielo direttamente sui loro blog.
1 quando cammino da solo in un luogo a me familiare mi capita spessissimo di immaginare di essere con una persona a me cara che lo vede per la prima volta. E osservo con i suoi occhi cercando di trovare il particolare che l'abitudine quotidianamente nasconde.
La cosa peggiore è che mi cimento anche in lunghi immaginari dialoghi con questa persona inesistente, raccontando aneddoti della mia vita che hanno a che fare con quel luogo, per poi divagare anche in argomenti che non c'entrano nulla. una vera e propria discussione con un amico immaginario. parlo da solo?? sono matto?? psike, aiutami tu, fammi una diagnosi :-)
2 tante volte quando penso tra a me e me lo faccio in spagnolo o in inglese senza rendermene realmente conto. O meglio, me ne rendo conto, ma è il flusso dei pensieri che comanda e sceglie la lingua da usare. E io lo lascio fare.
3 premetto prima di scrivere questo terzo punto che non mi ritengo affatto superstizioso. Credo che l'andamento delle mie giornate sia condizionato dallo shampoo e bagnoschiuma. che uso. Quindi quando sto passando un periodo positivo e il mio shampoo o bagnoschiuma stanno per finire, devo assolutamente andare a comprarne un'altro uguale perchè il periodo positivo possa proseguire. Diversamente, cambio shampoo e bagnoschiuma. Oppure quando prendo un supervoto ad un esame, faccio sempre caso allo shampoo che avevo usato. Quello diventerà lo shampoo del giorno prima degli esami.
4 non canto in presenza di altre persone. Mai successo in 22 anni di vita. Mai le mie corde vocali hanno vibrato per produrre una sola nota musicale in presenza si altre persone oltre a me. Solo ed esclusivamente nell’intimità della mia cameretta.
5 non accendo la tv. Non è “non la guardo”. Semplicemente non la accendo. Può capitare che la trovi già accesa e quindi mi soffermo un attimo. Oppure che mentre ceno i miei genitori stiano seguendo il telegiornale o qualche altra trasmissione e così lo faccio anche io. Ma mai di mia iniziativa. La tv in camera mia è un semplice poggia-oggetti. E’oramai un anno e mezzo che non la utilizzo. Non è un rifiuto, una protesta, nulla di tutto ciò. Semplicemente ho perso l’abitudine di farlo.
praticamente il 99%dei blogger lo ha già fatto quindi ne scelgo solo 1. la "conterranea" golosa211
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20 settembre. Un giorno, una data, un biglietto aereo. Perdevo la vera essenza di questo concetto che prendeva forme sempre diverse.
20 settembre. Quanto manca al 20 settembre. Chissà come starò il 20 settembre. Si, parto il 20 settembre. Devo prenotare un biglietto per il 20 settembre. 20 settembre, 20 settembre, 20 settembre.
E’ assurdo come il giorno del mese che più rimbalzava nei miei pensieri e condizionava ogni momento della mia quotidianità rappresentasse il più grande buco nero avessi incontrato fin’ora nella mia vita. Il 20 settembre era tutto e niente. Era la fine e l’inizio allo stesso tempo. Era l’esaltazione e la paura. La convinzione e il dubbio.
Tutti attorno a me ne parlano, tutto deve essere pronto per quel giorno, tutto era in funzione di quella data scritta su quel biglietto aereo che gelosamente custodivo nel primo cassetto del mio comodino.
Ogni sera prima di andare a dormire controllavo fosse ancora li. Rileggo la data, la destinazione, 2, 3 volte, ne verifico l’esattezza, la ripeto nella mia testa per memorizzarla più di quanto già lo sia. Lo ripongo nella busta dell’agenzia di viaggio e con la massima delicatezza lo appoggio nel cassetto. Chiudo il cassetto, gli occhi. E sogno.
E’il 20 settembre.
Forse mi coglie impreparato, ho paura di non essere all’altezza per affrontare questo giorno.
Ma è troppo tardi per pensarci, le valigie mi chiamano. Sono li, accanto al mio letto, mi osservano e mi ricordano che è giunto il momento. In queste circostanze cerco di essere il meno riflessivo possibile, di inserire il pilota automatico e di disattivare ogni minimo pensiero su quello che potrei o no aver dimenticato. Rischierei il collasso. Preferisco sempre lasciare posto alle emozioni.
Vedo tutto con occhi diversi, camera mia, le stanze della casa della mia famiglia, tutto inizia ad allontanarsi da me. Per la prima volta tutto questo diventa estraneo, distante dalla mia vita e quotidianità. Anche la mia famiglia sembra così diversa, è assurdo come proprio nei momenti di transizione ci si accorge di ciò che prima era scontato, normale. Prendo in considerazione la possibilità che potrebbe mancarmi la mia famiglia. Fotografo tutto col pensiero, mi distacco e vedo l’auto correre sulla tangenziale verso Malpensa. Dentro 4 persone nervose. Ognuna per un motivo diverso. Un figlio che parte per un anno e tutte le possibile preoccupazioni di un genitore legate a questo evento. Un fratello maggiore, seppur sempre freddo e distaccato, che lascia casa, un modello che sparisce in uno dei momenti più delicati di un adolescente, l ’inizio del liceo. Ed io, che alle loro preoccupazioni aggiungo l’idea di prendere l’aereo per un posto di cui non so davvero nulla e dove ovviamente non conosco nessuno, il dover cercare casa, ambientarmi in un’università nuova, mettermi in gioco. Sono terrorizzato ed esaltato nello stesso tempo. Semplicemente mi sento vivo, artefice di me stesso.
A tutto questo alternarsi di paure ed emozioni si somma la mia disarmante fobia di volare.
Il solo pensiero di staccarmi con i piedi da terra mi paralizza, vorrei potessero anestetizzarmi e svegliarmi a destinazione. Eppure non sono un neofilo del volo, fin da piccolo prendevo l’aereo.
Forse questo mio terrore è un semplice occultare a me stesso tutte le mie altre più ben giustificate paure. Non voglio accettare di aver paura per il dovermi organizzare una vita da zero in una terra straniera, non voglio accettare la mia paura di fallire e cerco, riuscendoci, di convincermi che l’inquietudine che sento sia semplice paura, fobia, di volare. E’ tutto sotto controllo, tutto sotto controllo, ne sono convinto.
Respiro profondamente. Non mi rendo ancora conto di nulla. Mi chiedo chi sia chi parte o chi stiamo aspettando. Forse i parenti dalla Sicilia. Forse qualche amico di mio padre.
Nemmeno il volo per Madrid annunciato nel tabellone mi fa prendere coscienza del corso degli eventi che questo 20 settembre sta testimoniando.
Mi fratello cammina inquieto per il terminal dell’aeroporto osservando curioso gli aerei in decollo.
Mia madre seduta in disparte non sa gestire i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, forse anche un po’ di ammirazioni nei miei confronti, chiedendosi se sia la solita maschera il mio dimostrarmi tranquillo e disinvolto.
Mio padre, rispecchia il mio modo di essere, celando dietro la sua espressione impassibile un’ansietà quasi fisica.
Capisco che è inutile prolungare quest’attesa. Osservo i miei genitori e mio fratello ancora per qualche secondo, immortalo dentro di me questo momento. La mia famiglia. E’ paradossale ma già sento che mi mancheranno. Forse è uno dei primi momenti nella mia vita in cui realizzo cosa voglia dire avere una famiglia. Un punto di riferimento. Ora che la sto lasciando per un lungo anno ne prendo coscienza.
Non spreco parole di troppo, raccolgo le mie cose, metto in spalla il mio zaino con un fare sicuro e deciso.
Saluto i miei genitori. E’ incredibile come le raccomandazioni di rito siano praticamente le stesse in ogni circostanza, dalla vacanza al mare, alla partenza per un anno.
Mi sento in una scena da film. Loro sono li, fermi mentre io mi allontano e mi avvicino al controllo del metal detector, l’aeroporto è stranamente poco affollato. Faccio scorrere sul rullo tutto ciò che avevo addosso, zaino, giacca a vento, sfilo anche la cintura perché immancabilmente suona. Anche quest’altra tappa rituale è passata, decido voltarmi un’ultima volta mentre sto ancora mettendo lo zaino in spalla e piegando la giacca attorno ad un braccio, faccio un cenno con la mano mentre li vedo allungarsi e spostarsi il più possibile per vedermi meglio. Decido di non voltarmi più e giro l’angolo. Ora posso togliermi la mascara e far scendere una lacrima. Ho freddo, stranamente freddo.
Devo solo aspettare, scruto tra la gente e vedo solo sorrisi, persone in gruppo , ragazzi, ed io, sempre immobilizzato tra l’apoteosi della felicità e l’inconsapevolezza di ciò a cui vado incontro.
E’ quanto più di difficile da spiegare. Probabilmente nulla sarebbe tornato come un tempo, né io, né le mie abitudini, sentivo che già iniziavo a cambiare, vedevo ciò che era stata la mai vita fino a quel giorno allontanarsi e concretizzarsi sempre di più il vuoto davanti a me. Dove avrei vissuto? In che città sarei finito? Chi sarebbero stati i miei compagni di avventura?
Mi siedo nel posto assegnatomi, a lato del finestrino, quasi sull’ala. Il terminal mi appare come un intero edificio fatto da specchi, non riesco a riconoscere nemmeno dove finisce un piano e ne inizia un altro, a spanne deduco dove possano essere i miei genitori ricostruendo mentalmente il percorso che avevo fatto dopo averli salutati. Prendo il cellulare, lo riaccendo. “Sono nel finestrino appena sopra l’ala” e con tutte le mie forze mi spingo con lo sguardo oltre quelle vetrate a specchio cercando di scorgere un minimo movimento segno del loro saluto. Non vidi nulla. Chiusi gli occhi e pensai a quanto strano da parte mia fosse stato scrivere quel messaggio ai miei genitori.
Sentivo che ero già un po’ diverso. Non ci pensai troppo e cercai di dormire.
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Sabato notte. io, Andrea, Marika, Eveline, Paula, Catr, Laura. Armonia.
Le 3 di notte e il nostro locale preferito, oltretutto in festa
per l'anniversario della liberazione del Portogallo, con la gioia delle 2 nostre
dolci, materne e fascinose portoghesi.
Timidamente una gomma da masticare passa da una bocca all'altra. Timidamente e mestamente.
Siamo amici, tanto amici, ma un po' di pudore è giusto ci sia. Atmosfera
surreale. La nostra scarsa lucidità cresce, e la disinibizione pure e da una
gomma a spaghetto scambiata con la precaria attenzione a evitare il minimo
e pudico contatto di labbra, mi ritrovo a baciare Marika, Eveline, Laura.
Nessuno se ne capacita eppure, eppure siamo tutti qui sorridendo e baciandoci
senza inibizioni alcune.
Cambia il locale, ci trasferiamo nel luogo di ritrovo dei grezzi tamarri di S,
ma ahimè, ultimo locale ancora aperto alle 5 del mattino, fuori piove e
l'alternativa aria aperta non esiste.
Paula è sempre più fascinosa, quella sua aria cupa e introspettiva mi
attrae in un maniera incredibile. Non la conosco da molto, 2 settimane o forse poco più, eppure la sento così vicina, e dopo un caffè durato quasi
5 ore il giorno prima e tante tante parole sento qualcosa che mi dice di
abbattere la mia timidezza/paura disarmante e approfittare della
precaria lucidità. Io e lei sui divanetti della discoteca mentre gli
altri si disperdono per il locale. Io e lei cacciati dal buttafuori.
Ci sediamo fuori. Piove. è dolcemente appoggiata a me e tiene
le sue braccia attorno alle mie, mi giro e la guardo, ha lo sguardo perso
nella pioggia che cade davanti a noi e chissà a cosa pensa. Forse a nulla.
O forse si domanda se è solo una sua impressione che io sia assolutamente perso per lei. E se così fosse si sbaglia. I suoi capelli riccioli mi fanno il
solletico sul collo, ma forse non lo sento nemmeno. Tiro un respiro,
prendo coraggio, penso a qualche parola il meno possibile inadeguata..
arriva Andrea. E per quanto si capaciti di essere arrivato nel
momento meno opportuno è oramai troppo tardi e lo seguono a ruota Marika,
Eveline, Catr. Sogni di gloria svaniscono, e speriamo solo rimandati al prossimo
momento propizio.
Piove troppo e le case di alcuni di noi decisamente lontane per affrontare l'intero cammino senza ombrello.
Ci sediamo sulle panchine della Piccola Piazza Colorata.
Cinque strade convergono in questa piazza. Potenzialmente ognuno di noi potrebbe prenderne una diversa per tornare a casa, ma l’indecisione fa sì che rimaniamo lì immobili, come se non stesse piovendo, come se non fossero le sei del mattino, come se stessimo aspettando succeda qualcosa.
Forse inconsciamente è proprio per quest’ultimo motivo che siamo fermi qui.
Laura decide di tornare a casa, lei è tra i fortunati che in due minuti a piedi potrà raggiungere il suo caldo letto fino a che il più spontaneo dei risvegli inauguri il nuovo giorno.
Ci saluta e sta già varcando la soglia del confine tra la Piazza Colorata e la strada, la soglia tra il Nostro mondo onirico e la Sua “solitudine”.
Si, perché a S ognuno è solo, ma nello stesso tempo fa parte di una collettività, di una Grande Famiglia fatta di amici, e la nostra vita qui è una continua transizione tra questi due ‘mondi’, ed è paradossale come mai ci si possa sentire soli, pur essendolo costantemente.
Giusto sulla soglia Laura viene fermata. Non ne colgo l’attimo, eppure due nuovi personaggi sono entrati in scena.
Il primo è Adrian eterno spasimante di Laura, innamorato alla follia ma non corrisposto. è in mezzo a noi e la osserva a distanza mentre con la nostra stessa incredulità Laura saluta Andrea con il più inaspettato dei baci passionali. Loro due che si odiavano, che non potevano vedersi, che nemmeno erano capaci di condividere lo stesso spazio fisico a tal punto da influenzare le proprie decisioni vicendevolmente, condizionando anche le amicizie comuni. Loro due. Li, sulla soglia della Piazza Colorata, teatro di questa scena epocale, del trionfo del connubio odio-amore, della disperazione incredula di Adrian. Ci guarda, Li guarda. Vede come noi Laura andare via da Andrea che la osserva immobile. Adrian e Andrea si parlano. Entrambi fissano Laura scivolare verso la fine della strada, è vicino casa. I due si guardano tra loro. Andrea parla per primo: “raggiungila”, Adrian è titubante, “corri ti ho detto, raggiungila!”. Andrea è fermo e convinto nella sua incitazione, Adrian con un passo incerto imbocca la via, non senza voltarsi per cercare negli occhi di Andrea l’ennesima conferma per il suo ultimo tentativo di conquista. Si volta un paio di volte, cerca sempre Andrea, finché il suo passo incerto diventa una corsa. Non si volta più, si vede solo la sua figura sempre più lontana e la sua sagoma che si confonde con quella di Laura per un ovvio problema di distanza.
Il secondo personaggio è un tipico anziano, nostalgico, e con qualche litro di troppo sullo stomaco. Si materializza in mezzo noi come il più stereotipato dei personaggi. Con i suoi racconti di gioventù, sulla guerra civile, sulla dittatura. Incitando e invidiando, come da copione, noi giovani forti e con tutto ancora da vivere. Scompare anche lui imboccando una delle 5 strade che si dipartono dalla Piazza Colorata.
L'ingresso di un condominio fa da testimone dell'ultima ora, dalle 7 alle 8, e accompagna i nostri ultimi momenti. Il livello di sfattanza è tale da provocare
allucinazione collettiva e dal condominio esce un prete parlando italiano
che scompare dietro l'angolo dopo averci salutato e augurato una buona fortuna.
La sua cordialità è sorprendente incontrando cinque fatti sulle scale del suo edificio.
Si grida al miracolo, all'apparizione, al passaggio di non so quale divinità.
Il ricordo seguente risale alle 4 del pomeriggio dopo. Il mio risveglio, nel mio letto, nella mia stanza, con ricordi ancora annebbiati ma inconsciamente
consapevole di aver vissuto una notte che avrei ricordato per molto, molto
tempo.
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Appena aperto e già in ferie. Proprio così. E per ben una settimana! Riapertura prevista per il 4 Gennaio!
Felice capodanno a tutti!
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E’una tranquilla sera di giugno.
Una di quelle sere in cui dici “oggi si studia tutta notte”.
Sono circa le 8. Infilo nel forno la mia solita pizza, è sempre il cibo più gettonato in periodo esami, gustosa, veloce e soprattutto non sporca. E’ confezionata in un contenitore di plastica trasparente, ne rimuovo la pellicola superiore ed ho subito ottenuto un bel piatto con la plastica inferiore, che non dovrò lavare una volta finita la mia cena. Nessuna pentola, padella o posata. Purtroppo un solo coltello. Il resto rispettivamente si mangia e getta. Perfetto.
Mentre lei è nel forno io mi ricarico dal lungo pomeriggio passato in biblioteca, cerco di sistemare un po’ la stanza mentre parlo con F che si riposa in camera sua. E’ un po’ triste, ha litigato con il suo ragazzo che infatti inaspettatamente non si aggira per casa. Mi fa tenerezza F. E’ una ragazza così dolce.
Seguo la mia attesa sul divano con un po’ di musica. Un messaggio di M. Mi aspetta fuori la biblioteca. Ieri le ho fatto avere un bigliettino tramite la mia migliore amica, un biglietto a dir poco cifrato, ma di cui lei ha sicuramente capito tutto. Uno di quei biglietti fatti di “Io so che tu sai che io so..” .
Aumento i miei ritmi per essere puntuale, ma come ben si sa qui a S la puntualità è il concetto più astratto che esista. Tutto si relativizza, si allunga, si dilata. Un ritardo di 10/15 minuti è quanto di più lodevole, è l’apoteosi della puntualità. La normalità è intorno ai 30 minuti di ritardo. Quando raggiunge i 45 allora potrebbero iniziare a sorgere le prime lamentele, le prime accuse di non puntualità. Questa è una delle tante leggi inconsce, interiorizzate, che fanno parte dei ritmi delle nostre vite. A volte mi è capitato di pensare che a S una giornata duri più di 24 ore. O che le ore durino più di 60 minuti. Non sono mai riuscito a percepire dove fosse l’errore, o il genio, dietro a questo concetto di tempo dilatato. Però era fantastico.
La vedo proprio all’imboccatura del vicoletto parallelo all’ingresso principale del Campus Sud. Una piccola stradina piena di copisterie e piccoli bar che conduce direttamente alla Grande Biblioteca.
Tre livelli sottoterra. Immensa. Non ho idea quante migliaia di studenti possano popolarla in queste notti di studi disperati, alla vigilia degli ultimi appelli d’esame prima delle vacanze estive.
C’è persino una fonte e un piccolo fiume artificiale dentro la Grande Biblioteca. E’ al livello meno tre il ruscello, ma il suo suono/rumore si propaga fino al livello meno uno. Ogni piano ha una grande balconata dalla quale si possono osservare i piani inferiori e che si affaccia direttamente sulla fonte. Solo affacciandosi se ne può contemplare la sua maestosità e grandezza, solo così si può capire che tutto ciò che si vede sul proprio livello è moltiplicato per tre. La mia mente sadica mi ha sempre portato a chiedermi se mai qualche studente abbia deciso di tuffarsi nel fiume. Sarebbe stato innovativo, geniale. Avrebbe fatto riflettere sull’utilità di ricostruire un fiume in una biblioteca. Avrebbe fatto scalpore. Non ho mai avuto il coraggio di chiederlo.
Sorrido a M mentre mi avvicino a lei. Non è sola, è con al sua coinquilina bisex, ovviamente un mito per noi amici di M, ogni pretesto è buono per fiondarci in casa sua. E poi, quanto è diventata più bella e attraente ai nostri occhi dopo la rivelatrice notizia della sua reale identità sessuale.
Cioè, era bellissima. L’avrei riconosciuta da lontanissimo, con quel suo fare da artista, noncurante del mondo, lei e i suoi quadri. Anche loro, più, più.. Non ne trovo nemmeno le parole per descriverli. Ovviamente da dopo la notizia rivelatrice.
Sono di fronte a M. Avevo potuto intuire il motivo del suo attraversare mezza città per presentarsi a quell’ora in quel posto, ma finché non vidi il suo fare imbarazzato e di poche parole non ne ebbi la conferma. Mi porge un foglio di carta, mentre la coinquilina ci guarda con un misto di compassione e incredulità. Questa scena mi riporta in terza elementare.
Suona la campanella dell’ultima ora e mentre sistemo la cartella (allora si chiamava così) la mia compagnetta di banco fa scivolare un foglietto vicino al mio astuccio delle matite colorate, e ad occhi bassi mi sussurra “Tieni, leggila quando sarai a casa” “Da solo, ciao!”, abbandonando colpevole l’aula.
M non mi disse così, forse nemmeno lo ricordo cosa disse. Me la diede, io più imbarazzato di lei la misi in tasca facendo passare questo gesto anomalo come regolare amministrazione, la mano scivolò nella tasca destra posteriore dei mie pantaloni, come per occultare l’oggetto e l’argomento che ci privava della naturalezza e spontaneità della nostra amicizia, cercando di nascondere il mio disagio. Ovviamente senza riuscirci. Ne uscì solo un “vado a studiare, sono straindietro M. Ci si becca dopo alla Piccola Biblioteca, ok? Sei li tu?”
Ci si sarebbe visti più tardi. E sempre con aria di chi ha tutto sotto controllo mi volto e imbocco la piccola stradina.
Schiaccio Play, infilo gli auricolari.
I Silverstain mi fanno compagnia per gli ultimi 3 minuti di cammino. E’ quasi un bisogno fisico prima dell’ingresso nel regno del silenzio.
Finisce la piccola stradina e la Grande Biblioteca è lì con la sua imponenza, con le sue luci accese nel buio del Campus Sud. L’intera comunità universitaria è lì. In silenzio.
Molti studenti sono in pausa sotto il suo porticato.
Io cerco qualche faccia conosciuta, e senza trovarne mi appresto a superare il varco. Salgo i pochi gradini, entro nella Grande Porta Rotante. Ho sempre paura mi possa travolgere. Uno, due tre passi e sono dentro. La musica è ancora a tutto volume. Di fronte a me l’ingresso alla sala relax con le sue tanto amate panche di legno, e svolto a destra scendendo le scale. Meno uno. Di solito ci si trova tutti qui. “ci si vede a Meno Uno raga.” “ok, Meno Uno” A dopo, son a Meno Uno”.
Quasi una parola in codice. Chi non la conosce è tagliato fuori. Non avrà mai possibilità di rapporti sociali né di vedere facce amiche. Per di più a Meno Uno i cellulari non hanno ricezione.
Entro nella grande sala cercando con lo sguardo qualche posto libero. Premo stop, la musica si interrompe di colpo, ed è davvero silenzio. Meglio dire Silenzio. Quello con la s maiuscola, quello che causa la condanna per chi lo infrange.
Vedo tanti occhi guardarmi. Rispondo ai saluti con gli occhi. Anche oggi la biblioteca è popolata dalla nostra piccola comunità di studenti stranieri. Trovo posto. Mi siedo senza prima dimenticare di sfilare dalla tasca il foglio datomi da M.
Lo apro e con un po’ di emozione inizio a leggere.
La Grande Biblioteca custodirà il segreto. In Silenzio.
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Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 03:15
Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 03:08
Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 03:01
Inviato da: lorteyuw
il 25/03/2009 alle 02:55
Inviato da: toorresa
il 25/03/2009 alle 01:35