Dina Cucini

C'era da tanto, da quando non so

qui dentro il mio cuore

qualche cosa di chiuso, di peso

un bisogno, un sospiro di cose

inespresse

Non viluppo di sogni....

Sicchè l'anima tutta, era pesa

per questi bisogni

indistinti, indecisi, ma certi

tutti chiusi così nel mio cuore.

Qualche cosa che dentro premesse

come il seme in germoglio

che spinge nel regno terreno

e poi sboccia trionfante nel sole.

Così nacque il mio canto.

Il primo mio canto. Improvviso

quasi come la polla che sgorga

d'un tratto, cantando.

E fu come quando

l'uccello fuggito dal chiuso orizzonte

si trova inebriato e smarrito

con l'ali distese nel sole.

Se io ascolto l'autunno che mi scava
scorgo il mio volto solitario sfarsi
entro solchi di noia.
La mia pianta non vivo che si sfoglia
al vento mi allontano che distacca
me d'ogni cosa. E questa secca foglia
presagio non è ormai che
di un dolore caduto. Me in me deserta, se mi cerco attorno
odo alcuno che dice: "non riconosce più":
Così di me, come d'uno che muore.

E' finita la pioggia.
Brontola ancora il tuono, ma la goccia
che s'è posata tremula sul fiore
ha bagliore di perla e ride al sole
che di lassù le specchia
il suo arcobaleno.
Poco meno che niente, vero, è una goccia
ma così lucente
ed iridata e bella questa cosa da niente
che fa gradir la pioggia ed il baleno
se poi resta una goccia
su cui specchia il sereno.

C'è qui una ragnatela
tra i rami del roseto
e la rugiada
l'ha come imperlata
di goccioline tremule, d'argento.
Attento il ragno, dall'aerea trama
guata alla mosca bruna che, curiosa
posa sopra la rosa. E ronza e sola
s'appressa, s'allontana...attento, attento!
Sopra il filo d'agento
eccola ancora qui per la tua fame.
Ma il rame acceso d'un bel calabrone
passa a mezzo la tela e s'allontana
potando seco il ragno penzolone.