disUnione

La frattura...nella (dis)unione


Le elezioni per i presidenti di Camera e Senato si sono risolte nella fotocopia esatta del risultato del 9-10 aprile: una spaccatura generata dall'impossibilità di una maggioranza dell'Unione. Più che mai in queste ore, così affannate e addensate di polemiche, tutti e venticinquemila i voti in più per l'Unione valgono politicamente zero. Per quante irregolarità (e sono tante) abbiamo storpiato le elezioni politiche, l'Unione sta dimostrando agli italiani che non è una maggioranza nel Paese né una maggioranza al Parlamento. Sia alla Camera che al Senato i due candidati dell'Unione, rispettivamente Bertinotti e Marini, hanno mancato la vittoria alla prima votazione - sarebbe stato il primo segnale di compattezza, per uscire dal limbo post-elettorale. Così non è stato, e neanche alla seconda e terza votazione. E' stata un'autentica dèbacle. Poco importa che alla fine Marini l'abbia spuntata su Andreotti. Neanche la votazione notturna, in una violazione inaccettabile delle regole e del rispetto istituzionale dallo Scalfaro che non si smentisce nella sua indecorosa e sfegatata militanza politica, è riuscita a mettere Marini sulla poltrona numero due dello Stato. Quella di Marini è stata una vittoria il cui unico significato valido è quello personale di Marini stesso. Oltre è solo la prova lampante di cosa sia l'Unione e di quali danni possa provocare. Meno male che alla Camera l'elezione di Bertinotti era data per certa al primo colpo, o quasi. L'annuncio della scelta del leader dei comunisti rifondati aveva ampiamente preceduto di qualche giorno l'avvio delle votazioni. Eppure D'Alema, il grande escluso che aveva galantemente accettato di lasciare ad altri la terza carica dello Stato, ha raggranellato ben 100 voti, obbligando l'ex compagno di partito Bertinotti a fare anticamera prima di insediarsi nel suo nuovo ufficio, e attendendo la quarta votazione per tirare quel sospiro di sollievo che tratteneva sin da ieri. Non era solo l'ansia troppo a lungo repressa, il fattore che ha indotto Bertinotti a dichiarazioni che oscillano tra il surreale e l'inverosimile. E' certamente un manifesto politico scritto con l'inchiostro della contrapposizione e dell'intolleranza - che incenerisce l'appello al dialogo in un vano pro forma. Qualunque altro aggettivo sarebbe troppo parziale per esprimere pienamente il senso del primo discorso di Bertinotti come presidente della Camera: agghiacciante. Parole del genere sono come lame che tagliano la coscienza degli italiani e affondano in ferite che non si sono ancora cicatrizzate. Sempre in Italia, sempre nello stesso giorno, il neo-eletto presidente del Senato pronuncia un discorso agli antipodi, impastato di consociativismo ma realista nel cogliere la frattura del Paese che si riflette in quella del Senato. Non è un inno aspro alle diversità e un'incitazione a fare le barricate. E' la ratifica di quest'Italia divisa per due. E' bene precisare le coordinate di spazio e tempo perché, a leggerli separatamente, Marini e Bertinotti sembrano appartenere a due mondi divisi e contrapposti. Ma così non è. L'Unione è riuscita ad issare la sua bandiera sui due rami del Parlamento; ma mancano ancora i due più importanti: il Colle e Palazzo Chigi. Sul primo, alla luce di quanto accaduto alle camere, l'Unione brancola nella nebbia più fitta; sul secondo c'è un Prodi che smania per formare il suo governo. Ma la supremazia di Prodi, se prima era traballante, tra ieri ed oggi ha subito una scossa sismica. Le sue scelte sui candidati al Parlamento si sono rivelate scelte deboli e scarsamente condivise dalla coalizione. Queste prime gelate sono l'anticipo al lungo inverno politico portato dall'Unione. Purtroppo, nelle fratture abissali dell'Unione, rischia di caderci dentro anche l'Italia. tratto da ragionpolitica.it