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« "E Tronchetti mi disse:L...Gli scenari dello scandalo »

Tavaroli: "Tronchetti mi ordinòun dossier sui soldi ai ds"

Post n°734 pubblicato il 24 Luglio 2008 da giromapa

Da Repubblica.it
Seconda parte del colloquio con l'ex capo della security Telecom
"Verificai eventuali tangenti pagate da Colaninno, fu un lavoraccio"
di GIUSEPPE D'AVANZO




Tavaroli:

Giuliano Tavaroli













GIULIANO Tavaroli dice: "Quando Pirelli acquisisce Telecom Italia,
agosto 2001, Marco Tronchetti Provera mi annuncia: "Lei verrà con me a
Roma". Poi mi chiama Carlo Buora. Lo incontro a Milano in trasferimento
dalla montagna al mare - ero in vacanza con i miei - e quello mi dice
che non se ne fa più nulla. Mi spiega: "Contrordine, lei resterà in
Pirelli, Enrico Bondi (all'epoca, amministratore delegato)
vuole con sé in Telecom un altro. Naturalmente ne parlo con Tronchetti
Provera che mi rassicura: "Lei si occuperà delle mie cose romane". Le
sue "cose romane" erano i suoi guai romani. E c'erano guai dappertutto,
in quel momento".






"Gasparri (il ministro delle Telecomunicazioni)
non gli piaceva e Tronchetti non piaceva a Gasparri. In estate, al
festival dell'Unità di Rimini, Massimo D'Alema lo attacca a testa
bassa...


Ho già detto che una concezione moderna della sicurezza (che è reputazione,
soprattutto) deve fronteggiare anche - o soprattutto - quella roba lì,
gli attacchi politici, le ostilità di parte, i pregiudizi, i veleni.
Deve saper leggere e anticipare le iniziative avverse, condizionare le
mosse dei rivali o ridurli al silenzio. E' un lavoro che si nutre di
conoscenza. Conoscenza dell'avversario, delle sue ragioni più
autentiche e nascoste, ma è anche "sapere" e dunque capacità di
adattarsi a quella "emergenza" o sventandola o ridimensionandola. In
gergo, le chiamiamo "analisi del rischio" e "analisi di scenario". In
quell'avvio di gestione della Telecom, ne avevamo bisogno come
dell'aria. Il momento intorno a noi era sconfortante. Non c'era stato
soltanto l'11 settembre, c'erano ancora le macerie dello sgonfiamento
della bolla speculativa, la catastrofe dei bond argentini".










(Tavaroli
qui svela - e nemmeno troppo velatamente - il lavoro di spionaggio a
cui, sostiene, "nessuna azienda rinuncia". Lo riduce a raccolta di
informazioni, a "mappatura" - diciamo così - dei caratteri, delle
opinioni, delle forze e delle debolezze dei potenti, vecchi e nuovi,
che, di volta in volta, Tronchetti deve fronteggiare, rassicurare,
tenere alla larga. La "conoscenza", come la definisce, è soltanto il
punto di partenza del suo lavoro. Per questi giocatori, per questo
gioco, è la mossa d'apertura, il livello minimo richiesto per poter
entrare in campo. La differenza vera la fa il "sapere", la combinazione
di competenze multiple che rende possibili scambi, pratiche,
compatibili assunzioni di rischi, la creazione di qualche minacciosa
favola da diffondere. Tavaroli adopera un altro vocabolario, un'altra
sintassi. Parla di "analisi delle forze in campo", di "amici/nemici"
ma, in soldoni, non è che l'esito sia diverso. Sempre di spionaggio si
parla. La scena pare questa. Marco Tronchetti Provera, arrivato in
Telecom, è consapevole di essere uno "straniero" nella geografia del
potere. Le leve del comando - i primi governi Berlusconi hanno un peso
politico debole, frammentato, privi di una strategia di lungo periodo,
stretti intorno a un uomo solo interessato esclusivamente al proprio
destino personale e imprenditoriale - sono custodite e sostenute da uno
schema "antico" che Tavaroli, come ambasciatore di Tronchetti, ha
incontrato nel giro delle sette chiese romane. "Un network eversivo",
lo definisce. Ne indica qualche nome: Letta, Bisignani, Cossiga,
Scaroni, Elia Valori, Pollari, Speciale, Corigliano. E' un'area di
potere che costringe un estraneo come Tronchetti in un disequilibrio
informativo che lo condanna a subire, sopportare; a essere
condizionato. Essere consapevoli di quell'asimmetricità è il punto di
partenza. Sapere è allora il terreno della risposta. Come affrontare
l'avversario? Come rendergli conveniente venire a patti o rinunciare a
ogni ostilità? Come guadagnare un margine di inviolabilità? E' un
confronto sotterraneo e senza esclusione di colpi. A sentire Tavaroli -
che va ripetuto non è un testimone neutro, ma il principale indagato
dell'affaire - è questo il mestiere che Marco Tronchetti Provera gli
affida
).

"Di volta in volta bisogna adattare le proprie iniziative
all'avversario. D'Alema, per esempio. Penso di contattare Lucia
Annunziata, allora direttore dell'agenzia Apcom. Ha buoni
rapporti con D'Alema. Scelgo lei come canale per entrare in contatto
con il presidente dei Ds. Con Lucia si parla anche di futuro. Lei mi
prospetta l'acquisizione dell'agenzia, me ne mostra i vantaggi e le
opportunità. Non era una cattiva idea, in fondo. Non avevamo in pancia
contenuti e ne avevamo bisogno. Peraltro, saremmo entrati in contatto
con il mondo Associated Press, il meglio. L'affare poi si fece,
come si sa. Comunque, l'incontro D'Alema/Tronchetti si organizzò e
Lucia divenne consulente della Telecom.





Racconto un altro episodio dello stesso tipo. Un giorno mi chiama
Buora. Nel suo ufficio ci sono tutti quelli che contano e sembrano
sull'orlo di una crisi di nervi. Buora mi dice che Giulio Tremonti (ministro dell'Economia),
soffia ai banchieri, in ogni occasione, che Telecom è prossima al
fallimento. La voce diffusa in ambienti qualificati da una fonte così
autorevole è per noi una sciagura. Mi metto al lavoro. Tra Tremonti e
Tronchetti non ci sono rapporti. Ho come la sensazione che Tremonti, da
sempre consulente dei maggiori imprenditori italiani, diventato
ministro, stia scaricando sui suoi antichi assistiti una ruggine
velenosa. Decido di mettermi in contatto con il capo della sua
segreteria, un ufficiale della Guardia di Finanza, Marco Milanese, che
poi lascerà le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di
Tremonti. Contattare Milanese, proprio lui e non altri, è un modo per
dire a Tremonti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo
agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni - vere o
false - che possono danneggiare la mia azienda. Non c'è bisogno di
molte parole. Quelle cose lì, si capiscono al volo nel nostro mondo. I
due - Tronchetti e Tremonti - si incontrano. I problemi si risolvono.
Nessuno parlerà più di fallimento con i banchieri.






Altro episodio. Il Dottore (Tronchetti)
mi chiede di dare uno sguardo a Finsiel, allora amministrata da suo
cugino Nino Tronchetti Provera. Perché non si vince una gara, perché si
perde sempre? Gli appronto una rete di relazioni e qualche "analisi".
Ancora. La Kroll, la maggiore agenzia d'investigazione del mondo,
riceve da Gianni Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio)
l'incarico di rintracciare il tesoro segreto di Calisto Tanzi
(Parmalat). Nell'autunno del 2004, l'uomo in Italia della Kroll, un
belga d'origine italiana che si chiama Nunzio Rizzi, incontra Gianni
Letta e gli chiede "se il governo ha nulla in contrario che l'agenzia
organizzi un'azione di discredito contro Marco Tronchetti Provera".
Sorprendentemente, invece di metterlo alla porta, Letta (ha anche la delega ai servizi segreti)
prende tempo: "Le farò sapere!". Letta avverte Tronchetti. Che,
allarmatissimo, mi spedisce a Roma in tutta fretta. E' il mio primo
incontro con Gianni Letta. Mi tiene lì per quaranta minuti. Beviamo un
caffè. Mi dice: noi abbiamo un amico in comune, "il nostro Marco" (Mancini).
Letta mi spiega le intenzioni di Rizzi. Organizzo una contro-operazione
di discredito ai danni della Kroll. Il 6 novembre 2004, faccio
pubblicare che c'è "un mandato d'arresto per l'uomo della Kroll, Nunzio
Rizzi". La notizia è del tutto falsa, ma alla Kroll capiscono che gli è
andata male. E noi, in Telecom, capiamo il senso di quella storia:
hanno mandato a dire a Tronchetti che non si fidano di lui, che la sua
reputazione può essere sporcata se gli ambienti politici non fanno
barriera e quindi è meglio andare d'accordo".






(Tavaroli
chiarisce che dal suo orizzonte di lavoro - e intende la rete di
rapporti e liaison che possono rendere trasparenti o protette le
intenzioni di Tronchetti - nessuno è escluso. Nemmeno la magistratura
).






"Era più o meno il settembre del 2001. Mi chiama Armando Spataro,
allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Mi dice: "Il
tuo capo ha risolto i problemi di Berlusconi". Era accaduto che Pirelli
Real Estate avesse rilevato Edilnord di Berlusconi che navigava in
cattive acque. Per Pirelli era un affare, per Spataro un favore. Nel
2003 Armando ritorna a Milano come procuratore aggiunto. Ho l'idea di
farlo incontrare con Tronchetti. Organizzo il meeting. Ma, quel giorno,
commetto un errore grave. Invece di andare via, come facevo sempre,
rimango nella stanza e sono testimone della loro conversazione. Che non
va per nulla bene. Quasi al termine, Tronchetti chiarisce che
magistratura e politica devono reciprocamente rispettarsi e che il
lavoro dei giudici non può pregiudicare le responsabilità della
politica. E' più o meno una banalità, ma detta in quel momento suonò
alle orecchie di Armando come una difesa pregiudiziale di Berlusconi e
una censura per le iniziative della magistratura. Spataro ne ricava la
convinzione di avere di fronte un uomo piegato agli interessi di
Berlusconi. Nessuno gli ha tolto più quell'idea dalla testa.





Questo era il mio lavoro: creare una rete di protezione personale
intorno a Tronchetti e di sicurezza per l'azienda, rimuovere le
inimicizie preconcette, le ostilità, il malanimo, le presunte
incompatibilità. Non è sempre affare per deboli di stomaco. Ecco che
cosa intendo quando dico che il perimetro della security si era di
molto allargato. Ecco che cosa intendeva Marco Tronchetti Provera
quando mi diceva: "Le abbiamo chiesto troppo". Se avevo bisogno di
informazioni sugli antagonisti mi rivolgevo a Emanuele Cipriani (investigatore privato della Polis d'Istinto).
Che me le procurava. Sono pronto ad ammettere che ci sono state - ma
questi sono affari di Cipriani - indagini illegali. Ammetto che
bisognerà spiegare le intrusioni informatiche ai danni di Massimo
Mucchetti e Vittorio Colao (vicedirettore del Corriere e amministratore delegato di Rcs).
Ma non ci sono state intercettazioni abusive né ricatti. Nell'indagine
della procura di Milano, non ce n'è traccia. Il mio lavoro non si è mai
arricchito di quella roba lì. Le cose andavano così. Fino a quando sono
stato in Pirelli, sono stato più o meno un "centro di servizi".
Tronchetti Provera, da Telecom, aveva bisogno di informazioni. Mi
chiamava e io provvedevo a raccoglierle. Nessuno si dovrebbe
meravigliare. Le aziende vivono di informazioni fino alla raffinatezza
delle "analisi predittive". E non esitano a sporcarsi le mani. Un
esempio? Per quel che so, l'"Operazione Quattro Gatti", lo sganciamento
di Mastella dal centro-destra organizzato nel 1998 da Cossiga, fu
finanziato per intero dai gestori della telefonia: Sentinelli (Tim),
Novari (3), Pompei (Wind), con il sostegno della Ericsson.





Quando arrivo in Telecom, il lavoro cambia. Agisco "di iniziativa"
sulle analisi tipiche della sicurezza. Attenzione, però, il "sistema
Tavaroli" non era e non è mai stato il "sistema Cipriani"".






(Tavaroli
non ammette che l'uno integrava l'altro, che l'uno sosteneva l'altro e
mai parla del ruolo di Marco Mancini, il capo del controspionaggio. Lo
ripetiamo ancora: questa è soltanto la verità di un indagato
).






"E' a questo punto che arrivano i primi segnali dal "network eversivo".
Si fanno sotto quelli che io chiamo "i massoni". Cominciano a scorgere,
avvertendole come una minaccia, tutte le potenzialità di quel lavoro,
della mia presenza a Telecom, del mio legame con Marco Mancini in
ascesa nel Sismi, delle opportunità di integrazione in un unico
"nastro" delle informazioni in possesso per motivi istituzionali di una
grande azienda di telecomunicazioni e di un servizio segreto. Lo
avevate capito anche voi a Repubblica,
ma immaginavate che Telecom fosse il centro del "sistema" e non solo un
segmento, il più fragile. Arriva il primo segnale e non faccio fatica a
"leggerlo". Le manovre compromettenti (è sospettato di essere coinvolto in un traffico d'armi) di Slaedine Jnifen, fratello di Afef (la moglie di Tronchetti)
con uno dei figli di Gheddafi mi sono segnalate prima da Nicolò
Pollari. Mi dice: i servizi libici minacciano di ucciderlo. Poi da
Luigi Bisignani che aveva avuto l'informazione dalla Guardia di
Finanza. Capii la musica. Anche Afef parve a rischio".






(Tavaroli
non dice né vuole dire se il dossier raccolto anche sulla moglie di
Tronchetti sia stato una sua personale iniziativa o un'operazione
commissionata da altri o addirittura concordata con il presidente della
Telecom
).






"E' un fatto che Afef si porta dietro tutte le amicizie romane del
primo marito, Marco Squatriti (Andreotti, Bisignani, Letta). Ricordo
che, quando Squatriti finisce in carcere, il primo che gli va a fare
visita, come avvocato anche se non era il suo avvocato, è Cesare
Previti. L'uomo deve essere finito al centro di una faccenda molto
seria. Perché nessuno s'incuriosisce al finale della storia di
Italsanità (era
la società dell'Iri che aveva affittato dai privati 28 immobili da
destinare a residenze per anziani, impegnandosi a pagare affitti per
1.000 miliardi in nove anni, di cui 572 a Squatriti, titolare degli 11
contratti più consistenti
)? Sono stati rimborsati a Squatriti un
centinaio di miliardi di lire. Oggi Squatriti non ha più un soldo. Dove
sono finiti i denari? E, soprattutto, di chi erano? Forse per tenersi
buono questo giro, il Dottore ingaggia Maurizio Costanzo (P2, tessera Roma 152), tutt'uno con Previti, Squatriti, Gianfranco Rossi (il
faccendiere romano, arrestato nel giugno 1994, è l'intestatario del
conto corrente "coperto" FF 2927 presso la Trade Development Bank di
Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari
fornitigli da Bisignani e parte della maxitangente pagata dall'Enimont
ai partiti di governo
), Luigi Bisignani (P2, tessera Roma 203).






Tronchetti retribuisce Costanzo con 3 milioni di euro all'anno
soltanto, in definitiva, per costruire l'immagine di Afef. Ma, in
realtà, Tronchetti vuole tenerlo buono e, nel contempo, alla larga.
Costanzo non aveva nemmeno il numero diretto del suo cellulare. Si
ripetono i segnali negativi.





Salvatore Cirafici, capo della sicurezza di Wind, un massone, mi
racconta che è stato interpellato da un giornalista del Giornale
che sta preparando un articolo contro di me, ispirato da Luigi
Bisignani. Che ci fossero fibrillazioni in corso, lo deduco anche da
altri episodi. Poco dopo il Natale del 2002, diciamo nel gennaio del
2003, Berlusconi convoca Pollari a Palazzo Chigi e gli chiede a brutto
muso: "Chi è questo Tavaroli?", "E' vero che Mancini è un comunista"?
Pollari replica, difende Mancini e comunica che sta per nominarlo capo
della 1° Divisione. Berlusconi abbozza. Non poteva dire di no a
Pollari. Come non glielo ha potuto dire poi, con il governo successivo,
Romano Prodi, che ha sempre difeso il direttore del Sismi.





La faccio breve, nel 2004 fonti della Guardia di Finanza fanno sapere
in Telecom che "Tavaroli, da punto di forza, è diventato un punto di
debolezza". A maggio mi convoca Tronchetti e, alla presenza di Buora,
mi consiglia di accettare una aspettativa di tre mesi per far calare il
polverone su di me e la società. Accetto, non ho alternative. Per tre
mesi, il telefono si fa muto. Non mi chiama più nessuno, se si esclude
Adamo Bove (il
dirigente della security governance della Telecom precipitato il 21
luglio 2006 da un cavalcavia della tangenziale di Napoli: suicidio o
istigazione al suicidio?
). Vado in Romania. Mi richiamano in Italia
dopo l'attentato al Tube di Londra del 7 luglio 2005. Tronchetti chiede
a Letta se può darmi una consulenza antiterrorismo. Letta si dice
d'accordo "nell'interesse del Paese". A fine anno, il Dottore mi dice:
devi rientrare.





Nel gennaio 2006, quando sono pronto a rientrare, Cipriani si fa
abbindolare dai carabinieri di Firenze che non hanno mai smesso di
blandirlo: "Vuota il sacco e le tue responsabilità saranno ridotte al
minimo...".





Quello ci casca e trovano il dvd con i file illegali, peraltro già in
possesso di Emilio Ricci, avvocato, romano, comunista, amico mio, di
Pollari, di D'Alema. Cipriani consegna la password ai pm. In tempo
reale la notizia arriva a Tronchetti - penso attraverso l'avvocato
Mucciarelli. Il Dottore mi convoca. Mi dice: hanno il dvd; l'hanno
aperto; lei non può più tornare in azienda. Io mi mostro preoccupato.
Gli dico: su quel dvd ci sono i file di Brancher, e di Cesa, e la
faccenda di D'Alema e dell'Oak Fund. Inizialmente, Tronchetti finge di
non ricordare. "D'Alema? - dice - e che c'entra, io non so nulla...".
Poi, qualche giorno dopo, gli torna la memoria e ammetterà che era
stato lui a commissionarmi quel lavoro per verificare se,
nell'acquisizione di Colaninno, fossero state pagate tangenti. Qualche
mese dopo, in maggio, Tronchetti alla presenza del solito Buora mi
chiede le dimissioni. Fu un lavoraccio, l'inchiesta "Oak Fund". Per
quel che poi ha scritto Cipriani nel dossier chiamato "Baffino", ora
nelle mani della procura di Milano, i soldi hanno viaggiato nella
pancia di trecento società in giro per l'Europa per poi approdare a
Londra nel conto dell'Oak Fund, a cui erano interessati i fratelli
Magnoni (Giorgio, Aldo e Ruggiero, vicepresidente della Lehman Brothers Europe) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino.






Queste cose le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi
dicevano: non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo "esponenti
politici...".





Formalmente perché è necessario attendere la sentenza della Corte
Costituzionale per sapere se quei dossier raccolti illegalmente sono
utilizzabili nel giudizio. Ma, dico io, se mi prendi a verbale non hai
più bisogno della Corte Costituzionale, hai il mio verbale che contiene
la notizia di reato. E allora?





Sono assolutamente convinto che Tronchetti sapesse in tempo reale quali
fossero le intenzioni e le mosse della procura. Credo che egli abbia
lasciato esplodere il "caso Rovati" al solo scopo di anticipare il
governo e trovare una dignitosa e sdegnata via d'uscita. Con quel che
sarebbe successo di lì a un paio di mesi, il governo avrebbe potuto
dirgli: non hai l'autorità né la credibilità per governare le reti. Ora
Tronchetti Provera lascia dire e scrivere che sono stati Romano Prodi,
Giovanni Bazoli e Guido Rossi a sottrargli la Telecom senza dire una
parola su quel network di potere, eversivo che io, nel suo interesse e
su sua richiesta, ho fronteggiato e da cui sono stato distrutto;
quell'area di potere che decide le nomine che contano, che in apparenza
non chiede e, invece, ordina con messaggi traversi che è bene cogliere
al volo per non dare l'idea che la si stia sfidando. Genio
dell'opportunismo qual è, Tronchetti vuole ritornare sulla scena forte
della liquidità incassata in uscita dalla Telecom, candido e senza
un'ombra. Solo io dovrei pagarne il prezzo, ma gli è capitato il
peggiore cliente possibile. Non ho nulla da perdere. Mi hanno già tolto
tutto. Devo soltanto dimostrare ai miei cinque figli che il loro papà
non è il mascalzone che raccontano, che il loro papà ha concesso
soltanto fiducia a chi non la meritava. Per questo ripeto: non
accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo affare".



(2. Fine) Torna alla prima puntata







(22 luglio 2008)

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