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Post n°238 pubblicato il 26 Gennaio 2020 da ditantestelle
Andrew Wyeth | Airborne, 1996
E' isolata in uno spazio di incredibile riverbero, con la luce che nasce e batte su di uno specchio marino. Oscillano i ricordi, come conchiglie a schiudersi e tutto, tutto crea una balugine intensa, totale, carica di promesse. La stagione di Wyeth ha dentro sé i rintocchi arcaici di una campana lontana e commossa che rincuora.
Di terra, di odori salmastri che salgono e hanno un inconosciuto clima di desiderio e di approdi, proprio come dopo una corsa in bici, planando su d'uno zoom d'altri tempi. Nessuna cornice esterna, nessun clima inquieto. Solo un passaggio che confidenzia fin dal momento iniziale più tenero. Un bacio breve, casto, in un abbraccio reso tangibile in quell'aderenza quasi uterina a intreccio di una emozione elastica di memoria.
In qualsiasi posto tu sia stato là, proprio là, nel silenzio di quei colori .. riaffiora. E non ti sentire in colpa se un nodo strano all'improvviso assale. Incastonata e incandescente, l'emozione stretta sale e sarà comprensibile l'estetica che ti ha lasciato dentro. Il panorama a cui assisti, improvvisamente fluttua come su di una giostra che ha perso le staffe. Un'amalgama tra la bizzarrìa di questo strambo volo in piume e l'appunto dolce di un canto.
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e di quella finestra ad aprirsi con la brezza a sollevarsi sulle tende ..