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Specchio, specchio delle mie brame

Post n°1 pubblicato il 17 Ottobre 2006 da doctor_is_in
 
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Sarebbe un errore credere che una scienza sia costituita esclusivamente da un certo numero di tesi rigorosamente dimostrate, e ingiusto pretenderlo. Solo uno spirito smanioso di autorità, che ha il bisogno di sostituire il suo catechismo religioso con un altro catechismo, sia pure scientifico, solleva questa esigenza.
(S. Freud, OO, vol. 8, pag 231)

Nel Giardino dei sentieri che si biforcano Borges attribuisce alle Mille e una notte una circolarità che rende l'opera infinita:

[...] m'ero chiesto in che modo un libro potesse essere infinito. Non potei pensare che a un volume ciclico, circolare: un volume la cui ultima pagina fosse identica alla prima, con la possibilità di continuare indefinitamente. Mi rammentai anche della notte centrale delle Mille e una notte, dove la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista) si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte a rischio di tornare un'altra volta alla notte in cui racconta, e così all'infinito.

In un altro passo della sua opera Borges specifica che la notte in questione è la seicentoduesima. Ci sembra che questa notte impossibile somigli in maniera singolare all'ombelico del sogno di cui parla Freud, quel punto in cui le associazioni sprofondano in maniera così repentina nell'inconscio da non poter più essere seguite (ombelico che in qualche senso coincide col limite asintotico dell'analisi teorizzato in Analisi terminabile, analisi interminabile). Inoltre, quelle di Shahrazad e del principe sembrano ben strane sedute psicanalitiche al contrario: il paziente, mortalmente ammalato del suo stesso tedio di vivere, guarisce ascoltando, e non parlando. In ogni caso c'è di mezzo la verbalizzazione: non sembra quindi difficile leggere l'analisi - intendiamo l'atto pratico di stendersi su un lettino e di raccontare la propria vita all'interno di una cornice narrativa, rivivendo nel rapporto transferenziale (ed è qui che la ricorsività resta in agguato) la storia stessa che si sta narrando - come una portentosa mise en abyme. O come uno strambo gioco di riflessi su specchi affacciati: ti racconto che una volta ti ho raccontato di averti raccontato... Come un blog, in fondo: ti leggo così tu mi leggi, ti cito e tu mi citi, e così via, all'infinito, in un reiterato appagamento narcisistico. Peccato non sia facile comprendere che il gioco non va solo agito: va compreso e smontato nei suoi meccanismi più segreti, pena la sconfinata solitudine della nevrosi, la desertificazione degli orizzonti umani.

 
 
 
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