Creato da: sticcoenzo il 14/01/2012
Ricordi ed esperienze di Enzo Sticco

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« L'OMOFOBIA CONTINUA AD ...RINGRAZIAMENTI »

EPILOGO

Post n°19 pubblicato il 08 Marzo 2012 da sticcoenzo


La morte di Domenico fu per me un’immane tragedia. Nei primi giorni successivi all’esalazione del suo ultimo respiro continuavo ad ascoltare il primo movimento della messa di requiem di Mozart, da me scelta per l’attesa al crematorio. Sapevo che quelle note acuivano  la mia sofferenza. Ma era proprio questo che volevo, come per placare la mia colpa d’essergli sopravvissuto. Un unico pensiero occupava la mia mente: Domenico non esisteva più ed era come se non fosse mai esistito. 

 
Poi, con il passare del tempo, questa ossessione cominciò a vacillare: forse non esisteva più, poiché io ho molti dubbi sulla vita ultraterrena, ma, di certo, era esistito e non era cosa da poco. Per 69 anni era vissuto e aveva sperimentato tutto quanto la vita comporta: gioie, dolori, emozioni, affetti. A me aveva lasciato un’eredità di ricordi. Tali ricordi di comuni esperienze , ormai solo miei, avevano allora il sapore del rimpianto ma sapevo che con il tempo sarebbero diventatati piacevoli reminiscenze che avrebbero colmato il vuoto degli ultimi anni della mia vita  che, grazie a Domenico, non sarebbero stati bui e desolati come la mia adolescenza.


Tutto questo non sarebbe successo se sua madre,che tanto lo amava, fosse stata una donna senza scrupoli e, pensando alle difficoltà di allevare un figlio in tempo di guerra, avesse strappato il suo virgulto, impedendogli di nascere. Ma lei, modesta ma sorretta da antica saggezza, non l’avrebbe mai fatto perché la sua rettitudine la induceva a credere nella sacralità della vita.


E’ chiaro, da quanto ho narrato, che agli inizi del mio lutto temevo che non sarei riuscito a sopravvivere e, lo stesso timore hanno avuto le poche persone che mi sono state vicine, in quanto alle altre non saprei dire. Invece ce l’ho fatta, ma dopo un anno e tre mesi, non sono ancora riuscito a elaborare il lutto e non passa giorno senza che io riviva quella straziante agonia che ebbe inizio alle sette del mattino e si concluse alle sette e un quarto di sera, in un’atmosfera tesa in cui avvertivo l’ostilità dei presenti. Avrei avuto bisogno di un paladino dell’emarginazione ma sapevo che Don Luigi Ciotti era irraggiungibile e soprattutto non era più il Don Ciotti che avevo conosciuto vent’anni prima. Quando il decesso fu accertato per mezzo di un elettrocardiogramma,  ci stringemmo tutti in abbraccio collettivo ma subito dopo i rapporti si guastarono.


Il trauma che mi colpì fu doloroso ma anche un’importante lezione di vita. Mi trovai solo ad affrontare tutte le incombenze legate al decesso di un familiare,  ed a subire umiliazioni da professionisti che, quando Domenico era in vita, mi avevano trattato con ossequi e deferenza. Era rimasto qualcuno che mi voleva bene ma poteva fare ben poco, degli altri non c’era da fidarsi e quanto è successo dopo ha confermato i miei dubbi. La gente, non so se per insipienza o per malignità, faceva condoglianze a Mehdi per la scomparsa del suo “babbo”, come lui lo chiamava. A me che avevo vissuto con il caro estinto per 39 anni (una vita) quasi nessuno rivolgeva una parola di conforto.


In  tanto squallore un solo episodio merita di essere raccontato perché mi ha commosso e mi ha fatto riflettere. Il protagonista è una persona che Domenico ed io conoscevamo solo di vista ma alla quale non avevamo mai rivolto la parola. Dopo la disgrazia mi fermò per la strada e volle dirmi quanto gli era dispiaciuta la scomparsa del mio compagno, aggiungendo che  era ben consapevole della mia situazione di immenso dolore accompagnato dal cinismo e dal disprezzo dei benpensanti e terminò incoraggiandomi a ritrovare una ragione di vita. Gliene sono profondamente grato.


Il periodo critico della gestione della mia nuova situazione di single durò per qualche mese e fu duro. Attivai il mio contenzioso con Mehdi con il quale si schierò compatta la famiglia del defunto. Poi decisi di fissare la mia residenza in un paese della bassa Val di Susa.  Mi resi disponibile per attività di volontariato e attualmente sono  incaricato dell’insegnamento dell’inglese all’UNITRE di due sedi vicine. Quanto al coming out e al gay pride, le mie opinioni non sono cambiate dai tempi della mia convivenza con Domenico Russo. Riguardo al primo tema rivendico il diritto al coming out senza mettere a repentaglio la mia rispettabilità così come quello di non essere deriso o beffeggiato per il mio dolore a causa della perdita del mio compagno. E’ mia convinzione che la natura presenti una fenomenologia molto più ampia di quanto pretendono i teologi, che per spiegare fatti del tutto normali non rientranti nei loro schemi, non trovano niente di meglio che catalogarli come perversioni. Qualcosa di simile al coming out è già avvenuto per i mancini: una volta subivano vessazioni ed erano obbligati a scrivere con la destra, adesso possono usare la mano che preferiscono.


Quanto al tema del gay pride non vedo nessun motivo di essere orgogliosi del nostro orientamento (quindi niente Gay Pride ,che considero una pagliacciata che non giova a noi ma ai nostri denigratori). Se c’è qualcosa di cui sono orgoglioso,però, è il mio coraggio di rendere nota la mia condizione e i miei sentimenti, dato che oggi, con la preoccupante crisi della democrazia, il coraggio è una merce rara e assai costosa. Io l’ho acquistato dopo tanto soffrire e sono pronto anche a rischiare l’ostracismo pur di contribuire all’evoluzione del costume e all’aggiornamento della normativa affinché se ne avvalgano almeno le generazioni future.


Tornando alle mie recenti esperienze, le offese, i soprusi e le umiliazioni che ho patito dopo la scomparsa del mio amato compagno a causa del comportamento dei benpensanti, sono stati episodi molto gravi in quanto, date le mie condizioni di cardiopatico, potevano accelerare la mia fine. Lo dimostra la circostanza che in quel periodo aumentò notevolmente il mio consumo di carvasin, il farmaco salvavita di chi soffre di disturbi circolatori alle coronarie.


Tuttavia, non voglio “fare del vittimismo”, come si suol dire ; così va la vita in questo paese e non me ne stupivo più di tanto. Per fortuna ho superato egregiamente la prova ed ora mi sento fortificato, anzi avverto l’imperativo categorico della mia coscienza che esige da me di operare per concorrere al conseguimento dei seguenti traguardi che nessuno può contestarmi, se viviamo in democrazia:

  1. prevenire il suicidio di omosessuali sopraffatti dall’odio e dai pregiudizi dominanti, per onorare la memoria del povero Walter;
  2. commemorare Domenico Russo, al pari di me omosessuale dichiarato e noto come tale ai suoi collaboratori nell’ambiente di lavoro, ai suoi amici di Torino ed Imperia e in tutto il quartiere e, soprattutto figura di spicco per la sua attività di militante per la causa della pari dignità di omosessuali ed eterosessuali;
  3. ricordare la nostra lunga relazione, impostata sulla trasparenza e sulla lealtà, che ha rappresentato un modello da imitare per tutte le coppie di fatto.

Per il conseguimento di questi obiettivi non mi limito a curare il presente blog, che ha nei miei confronti il ruolo di una seduta psicoanalitica per alleviare le mie pene, ma mi impegno formalmente ad occupare il molto tempo libero di cui dispongo nella creazione di una SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO DELLE PERSONE L.G.B.T. che contribuisca con donazioni e attività di volontariato a lenire gli affanni di quanti hanno problemi a causa della loro condizioni: problemi dei giovani in famiglia , nelle istituzioni scolastiche, sul lavoro, problemi degli anziani, che sono doppiamente discriminati:nella società etero in quanto gay e, purtroppo, nella comunità gay in quanto anziani. Il problema più diffuso tra gli anziani gay è quello della solitudine,sia che vivano per conto proprio, sia che vivano in istituzioni o ricoverati in ospedale. Sarebbe tanto bello se ci fosse un'attività di volontariato di giovani gay che si proponesse di mitigare la loro solitudine, permettendo loro di rivivere in assoluta libertà i loro ricordi, senza dover fingere soddisfazione per le rare visite dei loro parenti che, il più delle volte, trasmettono loro lo stesso calore umano delle Dame di San Vincenzo.

Questo mio sogno può realizzarsi se noi omosessuali, maschi e femmine, prendiamo in mano la nostra situazione, cerchiamo di crescere insieme e  di costituire, finalmente, una comunità battagliera, che eviti le manifestazioni folcloristiche e si occupi di fatti concreti.  Penso proprio che sarebbe l'ora che ciascuno di noi trovasse prima di tutto il coraggio di dichiararsi in famiglia , ripudiando l'imperante italico mammismo castrante che impedisce a molti di noi di rivelare la verità per non procurare una dispiacere alla mamma, povera mamma.

Ma non avete mai pensato che una mamma che non è disposta ad accettarvi quali voi siete , è una che, se avesse saputo che nel suo utero albergava l'embrione di un futuro omosessuale avrebbe abortito e che, pertanto, non merita il vostro amore? E' ora di finirla con questo amore acritico per le mamme. Nessuno scienziato ha mai dimostrato che non esistano donne perverse e meschine né, tanto meno, che queste siano sterili.E bisogna pure che ciascuno faccia coming out nel suo ambiente di lavoro a meno che il rischio di mobbing sia troppo forte. Ma in questo caso, se ci fosse una società di mutuo soccorso, vi sarebbe  l'opportunità di un intervento con dimostrazioni ed azioni legali.

Insisto su questo punto: dobbiamo lottare come comunità gay con determinazione, senza mai offrire il fianco allo scherno e alla derisione. Non dobbiamo più farci strumentalizzare dai partiti politici che, dopo qualche vaga promessa in tempo di elezioni, hanno incassato i nostri voti per poi scaricarci senza il minimo scrupolo. Insisto, dobbiamo far conto solo sulla nostra coesione e sulle nostre forze, non dobbiamo aspettarci di essere affrancati dall'emarginazione da associazioni di avvocati progressisti, ricordiamoci sempre che sono professionisti non filantropi, che la loro attività può procurarci qualche vantaggio ma non è il loro fine primario. Non dobbiamo aspettarci niente dalle figure carismatiche, laiche e tanto meno religiose.

Il noto professore universitario, gay dichiarato, non è la figura ideale per la società dei mei propositi perchè,a mio avviso, è uno che ritiene di essere in credito nei confronti della società per le sue qualità di intellettuale e per i suoi titoli accademici al punto da poter anche esigere tolleranza per il suo "vizietto", ma non é certo uno che considera suo fratello il ragazzo cacciato di casa dalla famiglia meridionale, che è costretto a prostituirsi per sbarcare il lunario, né è in grado di capire il dramma del trans che si sente, imprigionato in un corpo che non corrisponde al  suo  io.  

Alla   base  della   comunità   che  sto  delineando  devono  esservi umiltà, lealtà, trasparenza e fratellanza, assoluta abolizione di differenze correlate al reddito o al ceto sociale, principi che ho sempre condiviso con il mio compagno Domenico Russo, che ancora una volta mi sia consentito di ricordare, Non vi sarebbe posto per individui che aborro, come  un  docente  universitario  di  mia  conoscenza  che, nel corso di laurea, ha tratto vantaggio dalla  condizione di amante di un suo professore e che, alla morte di costui, ne ha sposato la figlia, progredendo agevolmente nella carriera accademica, pur senza rinunciare a qualche diversivo.  

  
Ringrazio di cuore quanti visiteranno il blog e prenderò in considerazione i loro pareri se avranno la cortesia di inviarli al mio indirizzo di posta elettronica:

 sticcoenzo@libero.it .


Pace e bene a tutti.
(non sono un prete ma è un saluto che trovo molto gradevole)

 
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