Creato da dream.of_fable il 24/06/2010

dream of fable

...Raccontami una fiaba... raccontami un sogno.

 

 

Fiabe Classiche - H.C.Andersen: I vestiti nuovi dell'imperatore

Post n°44 pubblicato il 30 Gennaio 2011 da dream.of_fable
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Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: "È nello spogliatoio!".

Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi. ' Sono proprio dei bei vestiti! ' pensò l'imperatore. ' Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me! ' e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare. Questi montarono due telai e fecero finta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda. ' Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa ' pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un pò agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino. ' Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori ' pensò l'imperatore ' lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro. '

Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. ' Dio mi protegga! ' pensò, e spalancò gli occhi ' non riesco a vedere niente! ' ma non lo disse. Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non poté dir nulla, perché non c'era nulla. ' Signore! ' pensò ' forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa! ' "Ebbene, lei non dice nulla!" esclamò uno dei tessitori. "È splendida! Bellissima!" disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. "Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!" "Ne siamo molto felici!" dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.

Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti. L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla. "Non è una bella stoffa?" chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto. ' Stupido non sono ' pensò il funzionario ' è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene! ' e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. "Sì, è proprio magnifica" riferì poi all'imperatore. Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa. L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo. "Non è magnifique?" esclamarono i due bravi funzionari. "Sua Maestà guardi che disegno, che colori!" e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa. ' Come sarebbe! ' pensò l'imperatore. ' Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare '. "Oh, è bellissima!" esclamò "ha la mia piena approvazione!" e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: "È bellissima" e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. "È magnifique, bellissima, excellente" esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole.

L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori. Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: "Ora il vestito è pronto". Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: "Questi sono i calzoni; e poi la giacca, e infine il mantello!" e così via. "La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!". "Sì" confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla. "Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?" dissero i truffatori "così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio."

L'imperatore si svestì e i truffatori finsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio. "Come le sta bene! come le dona!" dissero tutti. "Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!" "Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!" annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale. "Sì, anch'io sono pronto" rispose l'imperatore. "Mi sta proprio bene, vero?" E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta. I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente. E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: "Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!". Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo. "Ma non ha niente addosso!" disse un bambino. "Signore sentite la voce dell'innocenza!" replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto. "Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso" "Non ha proprio niente addosso!" gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: ' Ormai devo restare fino alla fine '. E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.

 
 
 

Hua Mulan

Post n°43 pubblicato il 17 Ottobre 2010 da dream.of_fable
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Hua Mulan è una leggendaria eroina cinese che si arruolò in un esercito di soli uomini, descritto in un famoso poema cinese conosciuto come La ballata di Mulan.

Storia

Secondo una versione, Hua Hu, che aveva servito nell’esercito con notevole merito, sebbene anziano e con poca salute risultava ancora iscritto nell’elenco dei riservisti. Un giorno egli venne richiamato urgentemente in servizio a causa di una situazione molto critica ai confini settentrionali per le ripetute incursioni straniere.

La seconda figlia di Hua Hu, la giovane Mulan, che per prima ebbe il messaggio, pensò «... Come potrebbe mio padre andare a quest’età? Questo è fuori discussione!». Il solo altro maschio della famiglia era suo fratello troppo giovane per il servizio militare. La chiamata, tuttavia, doveva essere obbligatoriamente assolta da qualcuno. Mulan decise allora di arruolarsi travestita da uomo, usando il nome del fratello.

Convinse i genitori, che sulle prime non erano affatto d’accordo e partì.

Sulla strada per il fronte ella incontrò altri coscritti, tutti diretti verso la guarnigione di confine. Una volta giunti a destinazione, essi udirono urla di guerra e si accorsero che il comandante delle truppe di confine era circondato dal nemico. A quella vista, prima ancora di essere formalmente arruolati, si gettarono senza indugi nel combattimento. Mulan si distinse subito per la sua arguzia nel salvare il comandante da una situazione senza via d’uscita. Da quel momento ella rese meritoriamente un servizio dopo l’altro e, senza mai che nessuno manifestasse dei sospetti sulla sua vera identità, 12 anni dopo venne promossa generale.

La risoluzione della guerra sembrava lontanissima e gli eserciti contendenti a un punto morto quando una notte, Mulan, che stava compiendo personalmente un giro d’ispezione, udì a nord un battito d’ali di uccelli selvatici. Ella capì subito che gli uccelli dovevano essere stati spaventati dal nemico in avvicinamento e prontamente riferì al comandante il suo sospetto. Le truppe furono immediatamente schierate per predisporre un’imboscata alle forze nemiche pronte a un attacco notturno di sorpresa. Furono così gli invasori ad essere colti in contropiede in uno scontro decisivo e travolti mentre il loro comandante fu catturato da Mulan.

La guerra di confine terminò in una vittoria, raggiunta soprattutto grazie alle imprese della giovane.
Le forze cinesi ritornarono in trionfo. Mulan fu colmata di onori imperiali. Le venne anche offerta la carica di alto funzionario che ella declinò chiedendo soltanto il permesso di tornare a casa per aiutare e consolare i genitori ormai in tarda età.

A sua volta, il comandante, che nutriva una riconoscente ammirazione e una crescente affezione per il suo giovane generale, le offrì la sua unica figlia in sposa. Mulan inventò una scusa dopo l’altra per rinviare la decisione. Per nulla convinto, il comandante si recò personalmente nella casa di Mulan con un seguito di vecchi compagni d’arme della giovane per sollecitare il matrimonio. Immensa fu la sorpresa quando scoprirono che il loro generale era una ragazza di grande bellezza. Mai, però, quanto la loro ammirazione
. Il poema si conclude con l'immagine di due lepri, una femmina (Mulan) e un maschio (il suo compagno dell'esercito) che corrono fianco a fianco, e il narratore chiede come sia possibile separarli

 
 
 

Fiabe Classiche - H.C.Andersen: Il vento racconta di Valdemar Daae e delle sue figlie

Post n°42 pubblicato il 02 Ottobre 2010 da dream.of_fable
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Quando il Vento corre sull'erba, allora questa si increspa come l'acqua quando corre sul grano, allora questo ondeggia come un lago, questa è la danza del Vento; ascoltalo quando racconta: esso racconta cantando, e risuona diversamente tra gli alberi della foresta che tra aperture, fenditure e crepe del muro. Vedi come lassù il Vento dà la caccia alle nuvole come se fosse un gregge di pecore! Senti come il Vento quaggiù urla attraverso il portone aperto come se fosse il guardiano notturno che suona il corno! Esso urla in modo strano giù nel comignolo e dentro al caminetto; per questo il fuoco divampa e scintilla, illumina quasi interamente la stanza e si sta tanto bene seduti al caldo ad ascoltare. Devi soltanto lasciar raccontare il vento: esso conosce le fiabe e le storie, più di tutti noi insieme. Ascolta ora come racconta:

"Ffu-u-o-ri! scomparire!" - ecco il ritornello della canzone.

"Vi è sulle rive dello stretto del grande Belt una vecchia proprietà con i muri spessi e rossi!" dice il Vento, "ne conosco ogni pietra, vidi ognuna di esse prima quando stava nella fortezza di Marsk Stig il traditore sul promontorio; questa dovette essere tirata giù! la pietra venne rimessa e diventò un nuovo muro, una nuova proprietà, altrove, fu la proprietà di Borreby, corre si presenta ancora oggi! Ho visto e conosciuto i signori e le signore di alto lignaggio, le famiglie cbe si sono alternate per abitarvi, ora racconto di Valdemar Daae e delle sue figlie! Egli teneva la testa così alta, era di stirpe regale! era capace di ben altre cose che non di dare la caccia al cervo e di vuotare un boccale; - in fondo si potevano arrangiare da soli, diceva lui stesso. La sua sposa avanzava dritta, con una veste di seta ricamata d'oro in casa, sul pavimento lucido a disegni; le tappezzerie erano magnifiche, i mobili costosi, erano intagliati con grande arte. Ella aveva portato argenteria e oro in casa; in cantina vi era la birra tedesca quando c'era qualcosa; neri cavalli focosi nitrivano nella stalla; la ricchezza era grande nella proprietà di Borrreby quando c'era la ricchezza. E vi erano bambini; tre belle fanciulle, Ide, Johanne e Anna Dorothea: ricordo ancora i nomi. Era gente ricca, era gente distinta, nata e cresciuta nella magnificenza! "Ffuu-o-ri! scomparire!" cantò il Vento e poi raccontò di nuovo. "Qui non vidi, come nelle altre vecchie proprietà, l'illustre signora seduta nella sala dei cavalieri con le sue ragazze a girare la rocca, ella suonava il liuto melodioso accompagnandolo col suo canto, non sempre però con i vecchi canti danesi, ma con canzoni in lingua straniera. Vi era vita e festa, venivano ospiti distinti da vicino e da lontano, la musica risuonava, i boccali risuonavano, non riuscii a coprire le loro voci!" disse il Vento. "Vi era superbia insieme a spavalderia e chiasso, signori, ma non vi era Nostro Signore! Era proprio la vigilia della festa di maggio", disse il Vento, "io venni da Ovest, avevo visto le navi ridotte a carcasse sulla costa occidentale dello Iutland, mi ero affrettato passando sulla brughiera e sulla costa verde di boschi, passando sull'isola di Fionia, e passavo ora sullo stretto del Grande Belt, a tutta velocità e soffiando forte.

Poi mi misi a riposare sulla costa dell'isola di Selandia, vicino alla proprieú di Borreby, dove il bosco aveva ancora querce magnifiche. I giovani garzoni della zona vennero qui fuori a raccogliere cime e rami, i più grandi e i più secchi che potessero trovare. Se li portarono in città, ne fecero un cumulo, vi appiccarono fuoco, e le ragazze e i garzoni danzarono intorno cantando. Io stavo fermo", disse il Vento, "ma piano piano toccai un ramo, quello posto dal più bello dei garzoni; la sua legna avvampò, emettendo la fiamma più grande; egli fu l'eletto, ebbe il nome d'onore di Re della foresta, fu il primo a scegliere tra le ragazze la sua compagna, l'Agnellina della festa; la gioia e l'allegria furono più grandi lì di quelle nella ricca proprietà di Borreby." "E alla proprietà arrivò in una carrozza dorata con sei cavalli la nobile siruora e le sue tre figlie, tanto fini, tanto giovani, tre deliziosi fiori: la rosa, il riglio e il giacinto pallido. La madre stessa era un tulipano vanitoso, non salutò una sola persona di tutta la schiera che fermò il suo gioco per fare la riverenza e mostrarle rispetto, si dovette credere che la signora fosse di gambo fragile. La rosa, il giglio e il giacinto pallido, sì, li vidi tutti e tre! di chi sarebbero un giorno state l'Agnellina della festa, pensai; il loro Re della festa sarà un cavaliere orgoglioso, forse un principe! - Ffu-u-o-ri - scomparire! scomparire!

Si, la carrozza proseguì con loro e la danza proseguì con i contadini. L'estate fu portata a cavallo nel paese di Borreby, di Tjaereby, in tutti i paesi lì intorno. Ma di notte, quando mi alzai", disse il Vento, "la signora di alto lignaggio si mise a letto per non alzarsi mai più; fu presa così come tutti gli uomini tengono presi, non è una novità. Valdemar Daae stette tutto serio e pensoso per un breve momento; l'albero più orgoglioso può essere piegato ma non rotto, disse una voce dentro di lui; le figlie piansero e nella proprietà tutti si asciugarono gli occhi, ma la signora Daae era scomparsa, - e io scomparii! ffu-u-o-ri!", disse il Vento. "Tornai, tornai spesso, sopra l'isola di Fionia e l'acqua dello stretto del Belt, mettendomi seduto sulla spiaggia di Borreby, vicino al meraviglioso bosco di querce; lì il falco pescatore, il colombaccio, i corvi blu e perfino la cicogna nera costruiscono i loro nidi. Era la prima parte dell'anno, alcuni avevano le uova e alcuni avevano i piccoli. Ebbene, come volavano, come strillavano; si sentirono colpi d'ascia, colpo dopo colpo; il bosco andava abbattuto, Valdemar Daae voleva costruirsi una nave preziosa, una nave da guerra con tre castelli di prua che il re probabilmente avrebbe comprato, ed ecco perché il bosco, il segno dei marinai, la casa degli uccelli, andava abbattuto. L'averla volò via spaventata, il suo nido venne distrutto; il falco pescatore e tutti gli uccelli del bosco persero la loro casa, volarono dappertutto insicuri strillando di angoscia e di rabbia, io li capii anche troppo bene. Le cornacchie e le taccole gridarono ad alta voce per scherno: ' Fuori dal nido! Fuori dal nido! Frò! Frò!".

E in mezzo al bosco, con la schiera dei braccianti, stette Valdemar Daae e le sue tre figlie, e risero tutti degli strilli selvaggi degli uccelli, ma la sua figlia minore, Anna Dorothea, sentì la desolazione nel suo cuore a causa di tutto questo, e quando vollero pure abbattere un albero mezzo morto sul cui ramo spoglio la cicogna nera aveva costruito il suo nido, e dove i piccoli sporgevano la testa, ella pregò per questa, pregò con le lacrime agli occhi. E così l'albero ebbe il permesso di rimanere in piedi con il nido per la cicogna nera. Era solo una piccola cosa. Tagliavano, segavano, si costruiva una nave con tre castelli di prua. Il costruttore stesso era di famiglia umile ma di aspetto nobile; gli occhi e la fronte parlavano di quanto fosse intelligente e Valdemar Daae amava sentirlo raccontare, lo fece anche la piccola Ide, la maggiore, la figlia quindicenne: e mentre egli costruiva la nave per il padre, costruì per se stesso il castello dei suoi sogni, in cui egli e la piccola Ide stavano seduti, marito e moglie, e sarebbe stato anche così se il castello fosse stato di pietre murate con bastione e fosso, con bosco e giardino. Ma con tutta la sua intelligenza il mastro era ugualmente soltanto un misero uccello, e cosa fa il passero in mezzo alla danza delle gru? Ffu-u-o-ri! - io me ne volai via ed egli se ne volò via, e poiché non osò rimanere, e la piccola Ide superò tutto questo, poiché dovette su perarlo !" "Nella stalla i cavalli neri nitrivano, valeva la pena guardarli, e venivano guardati. Il re in persona aveva mandato l'ammiraglio per vedere la nuova nave da guerra e per parlare del suo acquisto, egli parlava ad alta voce in ammirazione dei cavalli impetuosi; lo sentii bene!" disse il Vento; "seguii i signori attraverso la porta aperta seminando le pagliuzze davanti ai loro piedi come stecche d'oro. Valdemar Daae voleva l'oro, l'ammiraglio voleva i cavalli neri, ecco perché egli li lodava, ma ciò non venne capito e allora nemmeno la nave venne comprata, rimase lì, tutta brillante vicino alla riva, coperta da tavole, un'arca di Noè che non venne mai messa in acqua. Ffu-u-ori! scomparire! scomparire! e faceva pietà!

Al momento dell'inverno, quando i campi erano coperti di neve, il ghiaccio galleggiante riempiva lo stretto del Belt e io l'avevo portato con un soffio sulla riva", disse il Vento, "arrivarono i corvi e le cornacchie, gli uni più neri degli altri, grandi schiere; si sedettero sulla nave deserta, morta, abbandonata vicino al mare e gridarono con voce rauca parlando della foresta che non c'era più, dei tanti preziosi nidi d'uccello che erano rimasti deserti, dei vecchi senza tetto, dei piccoli senza tetto e tutto quello per causa di quella baracca di quella imbarcazione orgogliosa che non avrebbe mai navigato. Io feci turbinare i fiocchi di neve; la neve stava ammucchiata come grandi laghi intorno a essa, coprendola! le feci sentire la mia voce, quello che una tempesta ha da dire; so di aver fatto la mia parte in modo che potesse acquisire delle esperienze di navigazione. Ffu-u-o-ri! scomparire!

E l'inverno scomparì, l'inverno e l'estate passarono e passano come io passo, come i fiocchi di neve cadono, come i petali del fiore del melo cadono, come fiocchi e come cadono le foglie! scomparire, scomparire, scomparire, anche gli uomini! Ma le figlie erano ancora giovani, la piccola Ide una rosa bella da vedere, come quando la vide il costruttore della nave. Spesso acchiappavo i suoi lunghi capelli marroni quando stava pensosa sotto il melo nel giardino senza sentire che io le seminavo i fiori sui capelli, che si scioglievano, ed ella guardava il sole rosso e il fondo dorato del cielo tra gli alberi e i cespugli scuri del giardino.

Sua sorella era come un giglio, brillante e dritto, Johanne; aveva un bel portamento e la testa alta, era di gambo fragile come la madre. Passeggiava volentieri nella grande sala, dove erano appesi i ritratti di famiglia; le signore erano rappresentate in velluto e seta con un piccolo cappelletto ricamato con le perle sui capelli intrecciati; erano belle signore! si vedevano i loro mariti vestiti d'acciaio oppure con il mantello prezioso con la fodera in pelle di oiattolo e il collo plissettato blu; la spada era cinta intorno alla coscia e non intorno ai reni. Chissà dove sarebbe stato appeso un giorno il ritratto di Johanne e come si sarebbe presentato il nobile marito? sì, ella pensava a questo, ella ne parlava un pochino, io lo sentii quando corsi per il lungo corridoio dentro la sala per tornarmene indietro!

Anna Dorothea, il giacinto pallido, soltanto una bambina di quattordici anni, era silenziosa e pensierosa; i grandi occhi blu come l'acqua sembravano pieni di pensieri, ma sulla bocca vi era un sorriso da bambina, non riuscivo a soffiarlo via, e non volevo nemmeno farlo. La incontrai nel giardino, sulla strada infossata e sul campo della proprietà, ella coglieva erbe e fiori, quelle che sapeva che potevano servire a suo padre per le bevande e le gocce, sapeva distillare; Valdemar Daae era orgoglioso e borioso, ma anche informato e sapeva tante cose; lo notavano bene, ne mormoravano; nel suo camino c'era il fuoco acceso anche d'estate; la porta della camera era chiusa; prendeva sempre più sostanza man mano che passavano i giorni e le notti, ma non ne parlava molto; bisogna esplorare le forze della natura in silenzio, presto avrebbe senz'altro scoperto la cosa suprema: l'oro rosso. Per questo il camino fumava, per questo crepitava e vampava! sì, c'ero anch'io!" raccontò il Vento, "lasciamo passare! lasciamo passare! cantavo attraverso il comignolo. Finirà col diventare fumo, puzzo, brace e cenere! Finirai bruciato tu stesso! ffu-u-o-ri! scomparire! scomparire! ma Valdenwr Daae non lasciò che passasse! I meravigliosi cavalli nella stalla, dove erano andati a finire? la vecchia argenteria e gli oggetti d'oro negli armadi e nelle camerette, le mucche nei campi, i beni e la proprietà? - eh sì, potevano essere fusi! fusi nel crogiolo; eppure non se ne sarebbe ricavato l'oro.

Il granaio e la dispensa, la cantina e la soffitta si vuotarono. Meno gente, più topi. Un vetro si crepò, uno si spaccò, non dovetti più entrare per la porta!" disse il Vento. "Non c'è fumo senza arrosto, il fumo c'era, quello che inghiotte tutti gli arrosti, per l'oro rosso. Io soffiai attraverso il portone del castello come un guardiano notturno che suona il corno, ma non vi era nessun guardiano notturno!" disse il Vento. "Girai il gallo della girotta sulla guglia, essa tuonava come se il guardiano notturno russasse sulla torre, ma non vi era nessun guardiano notturno: erano i ratti e i topi; la miseria apparecchiava la tavola, la miseria stava negli armadi e nella dispensa, la porta si staccava dal perno, venivano fuori fessure e crepe; io entravo e uscivo", disse il Vento, "ecco perché son ben informato!" In mezzo al fumo e alle ceneri, al dolore e alle notti insonni la barba e i capelli intorno alla fronte si incanutirono, la pelle divenne opaca e gialla. Gli occhi cercarono con rapacità l'oro, l'oro atteso. Io gli soffiai il fumo e le ceneri in piena faccia e sulla barba; e al posto dell'oro arrivarono debiti. Cantai attraverso i vetri spaccati e le crepe aperte soffiando fino alla cassapanca delle figlie, dove i vestiti giacevano scoloriti e logori, dovendo continuare a resistere. Sopra la culla di quelle bambine non era stata cantata quella canzone! La vita da signori divenne una vita di miseria! io solo cantavo ad alta voce nel castello", disse il Vento. "Li rinchiusi, bloccati dalla neve, si dice che riscalda; non avevano legna, il bosco da cui avrebbero dovuto prenderla era stato abbattuto. Gelava da spaccare le pietre; svolazzavo attraverso aperture e corridoi, sopra muri laterali e muri maestri per tenermi in forma; là dentro stavano nei loro letti, a causa del freddo, queste nobili figlie; il padre si infilava sotto la coperta di pelle. Niente da maigiare e niente da bruciare, questa sì che è vita da signori! ffu-u-o-ri! lasciamo passare! - Ma il signor Daae non poté! "Dopo l'inverno viene la primavera!" egli disse, "dopo la penuria vengono i tempi buoni! - ma si fanno aspettare! - Ora la proprietà è diventata un'ipoteca! Ora è il momento estremo; e poi arriva l'oro! A Pasqua!"

Io lo sentii mormorare nella ragnatela, "Tu bravo piccolo tessitore! Tu insegni a perseverare! se la tua tela viene strappata, ricominci di nuovo e finisci! di nuovo strappata - e tu riprendi infaticabile, dall'inizio! - dall'inizio! è quello che bisogna fare! e si viene ricompensati!"

Era la mattina di Pasqua, le campane suonavano, il sole giocava nel cielo. In un calore febbrile egli aveva vegliato, bollito e raffreddato, mescolato e distillato. Lo sentii che sospirava come un'anima disperata, lo sentii che pregava, ebbi la sensazione che egli trattenesse il respiro. La lucerna si era spenta, egli non se ne accorse; soffiai sui carboni ardenti, essi illuminarono il suo viso bianco come un cencio, che prese un barlume di colore, gli occhi erano affossati nelle orbite,ma ora diventarono più grandi, grandi come se volessero saltare. Guarda, il vetro dell'alchimia lampeggia là dentro! è ardente, puro e pesante! egli lo sollevò con la mano che tremava, egli gridò con la lingua che tremava: "oro! oro!" gli girò la testa alla vista, avrei potuto rovesciarlo con un soffio", disse il vento, "ma soffiai soltanto sui carboni ardenti, lo seguii attraverso la porta fin dentro dove le figlie avevano freddo. La sua tunica era coperta di cenere, stava sulla barba e nei capelli aggrovigliati. Si drizzò molto in alto, sollevò il suo ricco tesoro nel vetro fragile: "trovato! vinto! E' oro!" egli gridò, tese in aria il vetro che lampeggiava nei raggi del sole; e la mano tremolò e il vetro dell'alchimia cadde per terra rompendosi in mille pezzi; si era rotta l'ultima bolla del suo benessere. Ffu-u-o-ri! scomparire! - E io scomparii fuggendo dalla proprietà dell'alchimista.

Nell'ultima parte dell'anno, durante le giornate brevi quassù, quando la nebbia arriva con la sua spugna e strizza gocce bagnate sulle bacche rosse e sui rami senza foglie, mi sentii di buonumore, cambiai l'aria, spazzai col soffio il cielo e ruppi i rami marciti, e non è un grande lavoro, però va fatto. Fu fatto anche un altro tipo di pulizie dentro alla proprietà di Borreby da Valdemar Daae. Il suo nemico, Ove Ramel da Basnaes, si presentò e aveva pagato l'ipoteca sulla proprietà e sui mobili. Io tambureggiai sui vetri spaccati, battei le porte caduche, fischiai attraverso i crepacci e le fessure: -Ffu-i! -. Al Signor Ove non dovette venire voglia di rimanervi. Ide e Anna Dorothea piansero lacrime di afflizione; Johanne stette dritta e pallida, si morse il pollice finché sanguinò, che bell'aiuto! Ove Ramel concesse al signor Daae di rimanere nella proprietà vita natural durante, ma non ebbe ringraziamenti per la proposta; io ascoltai il seguito; vidi il signore privo di proprietà alzare la testa più orgoglioso, battere un colpo con la nuca e io battei contro la proprietà e contro i vecchi tigli, così che il ramo più grosso si ruppe, e non era marcito; esso giacque davanti al portone come una scopa, nel caso in cui qualcuno volesse dare una pulita, e si diede una pulita; difatti lo sapevo!

Fu una giornata dura, un momento teso per resistere, ma l'animo era forte e la nuca rigida. Non possedevano niente tranne i vestiti che avevano addosso; ah sì, il vetro di alchimia appena comprato e riempito con i resti raschiati da terra; il tesoro che prometteva ma non manteneva. Valdemar Daae lo nascose nel petto, prese poi il suo bastone in mano e il signore, ricco un tempo, uscì con le sue due figlie dalla proprietà di Borreby. Io soffiai aria fredda sulle sue guance ardenti, accarezzai la sua barba grigia e i suoi lunghi capelli bianchi, cantai meglio che potei: -Ffu-u-o-ri! scomparire! scomparire! - Fu la fine della ricca magnificenza. Ide e Anna Dorothea camminavano accanto a lui, ciascuna da un lato: Johanne si girò nel portone, a che cosa poteva servire, la fortuna non volle girare. Ella guardò le pietre rosse del muro della fortezza di Marsk Stig, se pensava alle figlie di lui: "La maggiore prese per mano la più piccola, E viaggiarono per il vasto mondo!". Le veniva in mente quella canzone; - qui erano in tre, - vi era il padre con loro! - Camminavano per la via dove erano passati in carrozza, facevano la strada dei mendicanti col padre, fino al campo di Smidstrup, fino alla casa di travi e argilla, affittata per dieci marchi all'anno, il nuovo maniero con le pareti spoglie e i vasi vuoti. Le cornacchie e le taccole volavano sopra di loro gridando, come per scherno: "Fuori dal nido! Fuori dal nido! Frò! frò!" come gli uccelli gridarono nel bosco di Borreby quando gli alberi vennero abbattuti. Il Signor Daae e le sue figlie lo sentirono perfettamente. Io soffiai intorno alle orecchie, non era possibile ascoltarlo.

Poi entrarono nella casa di travi e argilla sul campo di Smidstrup, e io corsi affrettato sopra pantani e campi, attraverso cespugli nudi e scarne foreste verso le distese di acque, altri paesi. Ffu-u-o-ri! scomparire! scomparire questo in tutti questi anni!"

Come andarono le cose per Valdemar Daae, come andarono per le sue figlie, il Vento racconta: "L'ultima che vidi, sì, l'ultima volta, fu Anna Dorothea, il giacinto pallido: ora era vecchia e curva, era passato mezzo secolo. Visse più a lungo. Ella sapeva tutto. Sulla brughiera vicino alla città di Viborg, vi era la fattoria nuova e bella del decano del capitolo con pietre rosse e con la punta del muro laterale a gradoni; il fumo usciva tutto denso dal comignolo. La dolce signora e le sue figlie sedevano nella veranda a guardare sopra alla spina Christi che peadeva la brughiera marrone -! Che cosa cercavano lì con lo sguardo? Cercavano il nido della cicogna là fuori sulla casa cadente. Il tetto era di muschio e semprevive, quello che ce n'era, quello che soprattutto servì come copertura fu il nido della cicogna, ed esso fu l'unico a essere mantenuto, e la cicogna ebbe la manuntenzione. Era una casa da guardare, non da toccare; io dovevo andare con cautela, disse il vento. "La casa fu lasciata per il nido di cicogna, altrimenti aveva aspetto spaventoso per la brughiera. La famiglia del decano non volle cacciare via la cicogna, così la catapecchia ebbe il permesso di rimanere e la poveretta lì dentro ebbe il permesso di starci; ella poteva ringraziare l'uccello egiziano per questo (oppure fu un ringraziamento perché ella una volta pregò per il nido del suo nero fratello selvatico nel bosco di Borreby?) Ella, allora, poveretta, era una giovane bambina, un giacinto fine e pallido nel nobile orto. Ella si ricordava tutto: Anna Dorothea." "Oh! oh! -, sì, gli uomini sono capaci di sospirare come il vento in mezzo ai giunchi e alle canne. Oh! Nessuna campana suonò sulla tua tomba, Valdemar Daae! Gli scolari poveri non cantarono quando il signore di Borreby dei giorni passati fu messo sotto terra! -Oh, tutto finisce, anche la miseria! La sorella Ide divenne la moglie di un contadino, e fu per nostro padre la prova più dura! Il marito della figlia, un misero servo, cui il proprietario del maniero poteva per punizione far montare il duro cavallo di legno! Ora sarà sotto terra? e anche tu? Ide! - Ebbene sì! ebbene sì! e ancora non è finita, povera me, tutta vecchia! Povera me, tutta misera! Libera me, potente Cristo!"

Questa fu la preghiera di Anna Dorothea nella misera casa dove aveva il permesso di rimanere a causa della cicogna. "Io mi occupai della più sana delle sorelle!" disse il vento, "le si tagliarono vestiti, secondo il suo animo alla nascita! venne come misero garzone per arruolarsi dal capitano; era di poche parole, dall'aria ingrugnata, ma disposta a fare il suo lavoro; però non era capace di arrampicarsi; così io la gettai col soffio in mare, prima che qualcuno avesse capito che fosse femmina, e questo è stato senz'altro ben fatto da parte mia!" disse il Vento. "Fu una mattina di Pasqua come quella quando Valdemar Daae pensava di aver trovato l'oro rosso, quando sentii da sotto il nido della cicogna tra le pareti fragili, un canto di salmi, l'ultimo canto di Anna Dorothea. Non c'erano finestre di vetro, c'era soltanto un buco nella parete; il sole entrò come una zolla d'oro e si pose lì dentro; fu un vero splendore! I suoi occhi si spezzarono, il suo cuore si spezzò! L'avrebbero fatto lo stesso, anche se il sole quella mattina non l'avesse illuminata.

La cicogna le diede un tetto per la morte, e io cantai sulla sua tomba!" disse il vento, "cantai sulla tomba di suo padre, io so dove sta e dove sta la tomba di lei, altrimenti proprio nessuno lo saprebbe. Tempi nuovi, altri tempi! la vecchia via pubblica finisce in un campo chiuso, tombe protette diventano strade maestre trafficate, e ben presto arriva il vapore con la sua fila di carrozze a rugliare sopra le tombe, dimenticate come lo sono i nomi.

Questa è la storia di Valdemar Daae e delle sue figlie. Raccontatela meglio, voialtri, se potete!" disse il Vento rigirandosi. E così dicendo era sparito.

 
 
 

Fiabe Classiche - H.C.Andersen: I vestiti nuovi dell'imperatore

Post n°41 pubblicato il 02 Ottobre 2010 da dream.of_fable
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Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: "È nello spogliatoio!".

Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi. ' Sono proprio dei bei vestiti! ' pensò l'imperatore. ' Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me! ' e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare. Questi montarono due telai e fecero finta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda. ' Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa ' pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un pò agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino. ' Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori ' pensò l'imperatore ' lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro. '

Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. ' Dio mi protegga! ' pensò, e spalancò gli occhi ' non riesco a vedere niente! ' ma non lo disse. Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non poté dir nulla, perché non c'era nulla. ' Signore! ' pensò ' forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa! ' "Ebbene, lei non dice nulla!" esclamò uno dei tessitori. "È splendida! Bellissima!" disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. "Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!" "Ne siamo molto felici!" dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.

Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti. L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla. "Non è una bella stoffa?" chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto. ' Stupido non sono ' pensò il funzionario ' è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene! ' e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. "Sì, è proprio magnifica" riferì poi all'imperatore. Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa. L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo. "Non è magnifique?" esclamarono i due bravi funzionari. "Sua Maestà guardi che disegno, che colori!" e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa. ' Come sarebbe! ' pensò l'imperatore. ' Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare '. "Oh, è bellissima!" esclamò "ha la mia piena approvazione!" e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: "È bellissima" e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. "È magnifique, bellissima, excellente" esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole.

L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori. Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: "Ora il vestito è pronto". Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: "Questi sono i calzoni; e poi la giacca, e infine il mantello!" e così via. "La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!". "Sì" confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla. "Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?" dissero i truffatori "così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio."

L'imperatore si svestì e i truffatori finsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio. "Come le sta bene! come le dona!" dissero tutti. "Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!" "Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!" annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale. "Sì, anch'io sono pronto" rispose l'imperatore. "Mi sta proprio bene, vero?" E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta. I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente. E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: "Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!". Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo. "Ma non ha niente addosso!" disse un bambino. "Signore sentite la voce dell'innocenza!" replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto. "Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso" "Non ha proprio niente addosso!" gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: ' Ormai devo restare fino alla fine '. E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.

 
 
 

Fiabe Classiche - H.C.Andersen: La Sirenetta Versione Integrale (III e ultima parte)

Post n°40 pubblicato il 30 Settembre 2010 da dream.of_fable
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La sirenetta uscì dal suo giardino e si avviò verso il torrente ribollente, dietro il quale abitava la strega. Non aveva mai percorso quella strada; non vi crescevano né fiori né erba, solo un fondo di sabbia grigia si stendeva verso il torrente, dove l'acqua, che sembrava spinta dalle ruote del mulino, girava come un vortice e inghiottiva tutto quel che poteva afferrare. Lei dovette passare in mezzo a quei vortici tremendi per arrivare nel territorio della strega, e qui c'era da attraversare una vasta pianura bollente, che la strega chiamava la sua torbiera. Oltre la torbiera si trovava la sua casa, in mezzo a un bosco orribile. Tutti gli alberi e i cespugli erano polipi, per metà bestie e per metà piante: sembravano centinaia di teste di serpente che crescevano dal terreno, tutti i rami erano lunghe braccia vischiose, con le dita simili a vermi ripugnanti, che si muovevano in ogni loro parte, dalle radici fino alla punta più estrema. Si avvolgevano intorno a tutto quel che potevano afferrare e non lo lasciavano mai più. La sirenetta si fermò spaventatissima; il cuore le batteva forte per la paura, stava per tornare indietro, ma pensò al principe e all'anima degli uomini, così le tornò il coraggio. Legò per bene i lunghi capelli svolazzanti, affinché i polipi non riuscissero a afferrarli; mise le mani sul petto e partì passando come un pesce guizzante nell'acqua, tra gli orribili polipi, che allungavano i vischiosi tentacoli verso di lei. Vide ciò che ognuno di essi aveva afferrato, centinaia di tentacoli trattenevano le prede come tenaglie di ferro: uomini che erano morti in mare e caduti sul fondo si affacciavano come bianchi scheletri tra i tentacoli; remi di imbarcazioni e casse erano tenuti stretti, scheletri di animali e persino una sirenetta che avevano catturato e soffocato. Questa vista fu per lei la più spaventosa! Poi giunse in un'ampia radura di fango nel bosco, dove grossi serpenti di mare si rivoltavano mostrando i loro orribili denti gialli. Nel mezzo si trovava una casa fatta con le bianche ossa di uomini calati sul fondo; lì stava la strega del mare e lasciava che un rospo mangiasse dalla sua mano, come gli uomini fanno con i canarini quando gli danno lo zucchero. Quegli orribili grossi serpenti di mare erano chiamati «pulcini» dalla strega che lasciava le strisciassero sui grossi seni cadenti. «So bene che cosa vuoi!» disse la strega del mare «sei proprio ammattita! comunque il tuo desiderio verrà soddisfatto, perché ti porterà sventura, mia bella principessa! Vuoi liberarti della tua coda di pesce e ottenere in cambio due sostegni per camminare come gli uomini, così che il giovane principe si innamori di te e tu possa ottenere un'anima immortale!» La strega rideva così sguaiatamente che il rospo e i serpenti caddero a terra e lì continuarono a rotolarsi. «Arrivi appena in tempo!» riprese. «Domani, una volta sorto il sole non potrei più aiutarti e dovresti aspettare un anno intero. Ti preparerò una bevanda, ma con questa devi nuotare fino alla terra, salire sulla spiaggia e berla prima che sorga il sole. Allora la tua coda si dividerà e si trasformerà in ciò che gli uomini chiamano gambe. Soffrirai come se una spada affilata ti trapassasse. Tutti quelli che ti vedranno, diranno che sei la più bella creatura umana mai vista! Conserverai la tua aggraziata andatura, nessuna ballerina sarà migliore di te, ma a ogni passo che farai, sarà come se camminassi su un coltello appuntito, e il tuo sangue scorrerà. Se vuoi soffrire tutto questo, ti aiuterò!» «Sì» esclamò la principessa con voce tremante, pensando al principe, e all'anima immortale. «Ma ricordati» aggiunse la strega «una volta che ti sarai trasformata in donna, non potrai mai più ritornare a essere una sirena! Non potrai più discendere nel mare dalle tue sorelle e al castello di tuo padre; e se non conquisterai l'amore del principe, cosicché lui dimentichi per te suo padre e sua madre, dipenda da te per ogni suo pensiero e chieda al prete di congiungere le vostre mani rendendovi marito e moglie, non avrai mai un'anima immortale! e se lui sposerà un'altra, il primo mattino dopo il matrimonio il tuo cuore si spezzerà e tu diventerai schiuma dell'acqua!» «Lo voglio ugualmente!» disse la sirenetta, che era pallida come una morta. «Però mi devi ricompensare!» aggiunse la strega «e non è poco quello che pretendo. Tu possiedi la voce più bella tra tutti gli abitanti del mare, e credi con quella di poterlo sedurre; ma la voce la devi dare a me. Io voglio ciò che tu di meglio possiedi per la mia preziosa bevanda! Devo versarci del sangue, affinché il filtro sia tagliente come una spada a due lame!» «Se mi prendi la voce» chiese la sirenetta «che cosa mi resta?» «La tua splendida persona, la tua armoniosa andatura e i tuoi occhi espressivi, con questo riuscirai certo a conquistare il cuore di un uomo. Allora! hai perso il coraggio? Tira fuori la lingua così te la taglio; è il pagamento per quella potente bevanda!» «Va bene!» esclamò la sirenetta, e la strega mise sul fuoco la pentola per far bollire la bevanda magica. «La pulizia è un'ottima cosa!» disse mentre strofinava la pentola con alcune serpi legate insieme, poi si tagliò il petto e fece gocciolare il suo sangue nero, e il vapore assunse forme molto strane che facevano proprio paura. «Eccola qui!» disse la strega e tagliò la lingua alla sirenetta, che ora era muta e non poteva più né cantare né parlare. «Se i polipi volessero afferrarti, mentre passi di nuovo attraverso il mio bosco» spiegò la strega «getta una goccia di questa bevanda su di loro e le loro braccia e dita si romperanno in mille pezzi.» Ma la sirenetta non ebbe bisogno di farlo; i polipi si allontanarono spaventati da lei non appena videro quella bevanda lucente che teneva in mano come fosse una stella luminosa. Così passò in fretta per il bosco, per la palude e per il torrente che ribolliva.

Vide il castello di suo padre, le luci erano spente nella grande sala da ballo; certamente tutti dormivano, e lei comunque non avrebbe osato cercarli: ora era muta e doveva andarsene per sempre. Le sembrò che il cuore si spezzasse per il dolore. Andò in silenzio nel giardino e prese un fiore da ogni giardinetto delle sorelle; gettò con le dita mille baci verso il castello e salì per il mare blu. Il sole non era ancora sorto quando vide il castello del principe e salì per la bellissima scalinata di marmo. La luna splendeva meravigliosa. La sirenetta bevve allora il filtro infuocato, e subito fu come se una spada a due lame le trafiggesse il corpo delicato; svenne e rimase distesa come morta. Quando il sole spuntò all'orizzonte, si svegliò e sentì un dolore lancinante, ma proprio davanti a lei stava il giovane principe, bellissimo, che la fissava con i magnifici occhi neri, così lei abbassò i suoi e vide che la sua coda di pesce era sparita e ora possedeva le più belle gambe bianche che mai nessuna fanciulla aveva avuto. Ma era tutta nuda e così si avvolse nei suoi capelli. Il principe le chiese chi fosse e come fosse arrivata fin lì, lei lo guardò dolcemente e tanto tristemente coi suoi occhi azzurri: non poteva parlare. Lui la prese per mano e la portò al palazzo. A ogni passo le sembrava, come la strega le aveva detto, di camminare su punte taglienti e su coltelli affilati, ma sopportò tutto volentieri, e tenendo il principe per mano salì le scale leggera come una bolla d'aria e sia lui che gli altri ammirarono la sua armoniosa andatura. Ricevette costosi abiti di seta e di mussola, era la più bella del castello, ma era muta, non poteva né cantare né parlare. Graziose damigelle vestite d'oro e di seta avanzarono e cantarono davanti al principe e ai suoi genitori, una di loro cantò meglio delle altre e il principe batté le mani e le sorrise. In quel momento la sirenetta si rattristò; sapeva che avrebbe saputo cantare molto meglio, e pensò: «Dovrebbe proprio sapere che io, per stare vicino a lui, ho ceduto per sempre la mia voce!» Poi le damigelle danzarono balli meravigliosi su una musica dolcissima; allora anche la sirenetta tese le braccia bianche, si alzò sulla punta dei piedi e volteggiò, ballò come mai nessuno aveva fatto; a ogni movimento la sua bellezza era sempre più visibile e i suoi occhi parlavano al cuore meglio dei canti delle damigelle. Tutti rimasero incantati, soprattutto il principe, che la chiamò la sua trovatella, e lei continuò a danzare, anche se ogni volta che i piedi toccavano terra, era come toccassero coltelli affilati. Il principe le disse che sarebbe dovuta rimanere per sempre con lui e le diede il permesso di dormire fuori dalla sua stanza su un cuscino di velluto. Fece preparare per lei un costume da amazzone, affinché potesse accompagnarlo a cavallo. Cavalcarono in mezzo ai boschi profumati, dove i verdi rami sfioravano loro le spalle e gli uccellini cantavano tra le foglie fresche. La sirenetta si arrampicò col principe sulle alte montagne, e nonostante i suoi piedi sanguinassero a tal punto che anche gli altri se ne accorsero, lei ne rideva e lo seguì fino a dove poterono vedere le nuvole spostarsi sotto il loro, come fossero state stormi di uccelli che si dirigevano verso paesi stranieri.

Quando al castello di notte gli altri dormivano, lei andava alla scalinata di marmo e si rinfrescava i piedi doloranti immergendoli nell'acqua fresca del mare, e intanto pensava a coloro che stavano nelle profondità marine.

Una notte giunsero le sue sorelle a braccetto, cantarono tristemente, nuotando sulle onde, lei le salutò con la mano e loro la riconobbero e raccontarono quanto li avesse resi tristi. Da quella volta tutte le notti le facevano visita, e una notte vide, lontano, la vecchia nonna, che da molti anni non era più salita in superficie, e il re del mare, con la corona in testa; tesero le braccia verso di lei, ma non osarono avvicinarsi alla terra come le sue sorelle. Ogni giorno il principe le voleva più bene, la amava come si può amare una cara fanciulla, ma non pensava certo di renderla regina; eppure lei doveva diventare sua moglie, altrimenti non avrebbe mai ottenuto un'anima immortale, e al mattino successivo al matrimonio del principe con un'altra sarebbe diventata schiuma. “Non vuoi più bene a me che a tutti gli altri?” sembrava chiedessero gli occhi della sirenetta, quando il principe la prendeva tra le braccia e le baciava la bella fronte. «Sì, tu sei la più cara di tutte!» diceva il principe «perché hai un cuore che è migliore di tutti gli altri, poi mi sei molto devota, e assomigli tanto a una fanciulla che vidi una volta, ma che sicuramente non troverò mai più. Ero su una nave che affondò, le onde mi trascinarono a riva vicino a un tempio dove servivano molte fanciulle; la più giovane mi trovò sulla spiaggia e mi salvò la vita, la vidi solo due volte; è l'unica persona che potrei amare in questo mondo, e tu le assomigli, e hai quasi sostituito la sua immagine nel mio animo. Lei appartiene al tempio e per questo la mia buona sorte ti ha mandato da me; non ci separeremo mai.» “Oh, lui non sa che sono stata io a salvargli la vita!” pensò la sirenetta. “Io l'ho sorretto in mare fino al bosco dove si trova il tempio, io mi sono nascosta tra la schiuma per vedere se arrivava gente. E ho visto quella bella fanciulla che lui ama più di me!” e intanto sospirava profondamente, poiché non poteva piangere. “Ma quella ragazza appartiene al tempio, ha detto il principe, e non verrà mai nel mondo, non si incontreranno mai più, e io sono vicino a lui, lo vedo ogni giorno, avrò cura di lui, lo amerò e gli sacrificherò la mia vita!”

Un giorno si venne a sapere che il principe si doveva sposare con la bella principessa del reame confinante, e per questo stava allestendo una splendida nave. Il principe sarebbe andato a visitare il regno vicino, così si diceva, ma in realtà era per vedere la figlia del re; e avrebbe portato con sé un ricco seguito. Ma la sirenetta scuoteva la testa e rideva; conosceva il pensiero del principe molto meglio degli altri. «Sono costretto a partire» le aveva detto «devo incontrare quella bella principessa; i miei genitori lo vogliono, ma non mi costringeranno a portarla a casa come mia sposa. Non lo voglio! Non posso amarla, non assomiglia alla bella fanciulla del tempio, come le somigli tu. Se mai dovessi scegliere una sposa, allora prenderei te, mia trovatella muta con gli occhi parlanti!» E le baciò la bocca rossa, le carezzò i lunghi capelli e posò il capo sul suo cuore, che sognò una felicità umana e un'anima immortale. «Non hai paura del mare, vero, mia fanciulla muta?» le chiese il principe quando furono sulla meravigliosa nave che doveva portarli nel regno vicino, e le raccontò della tempesta e del mare calmo, degli strani pesci e di quello che i palombari avevano visto sul fondo, e lei sorrideva ai suoi racconti, lei che conosceva meglio di chiunque altro il fondo del mare.

Nella chiara notte di luna, mentre tutti gli altri dormivano fuorché il timoniere, si appoggiò al parapetto della nave e guardò verso l'acqua trasparente; le sembrò di vedere il castello di suo padre e la vecchia nonna con la corona d'argento in testa che osservava, attraverso le correnti del mare, il movimento della nave. Poi giunsero alla superficie le sue sorelle, che la fissarono tristemente tendendo le mani bianche verso di lei; lei le salutò, sorrise, e avrebbe voluto dire che tutto andava bene, ma il mozzo si avvicinò e le sorelle si immersero nell'acqua, così lui credette che quel biancore che aveva visto fosse la schiuma del mare.

Il mattino dopo la nave entrò nel porto della bella città del re vicino. Tutte le campane suonarono e dalle alte torri suonarono le trombe, mentre i soldati, tra lo sventolare delle bandiere, presentavano le baionette lucenti. Ogni giorno ci fu una festa. Balli e ricevimenti si susseguirono, ma la principessa non c'era ancora, abitava molto lontano, in un tempio, dissero, per imparare tutte le virtù necessarie a una regina. Finalmente un giorno arrivò. La piccola sirena era ansiosa di vedere la sua bellezza e dovette riconoscere di non aver mai visto una figura così graziosa. La pelle era molto delicata e trasparente, e sotto le lunghe ciglia scure due occhi azzurri e fiduciosi sorridevano. «Sei tu!» esclamò il principe «tu che mi hai salvato quando giacevo come morto sulla costa!» e strinse tra le braccia la fidanzata, che era arrossita. «Oh, sono troppo felice!» disse alla sirenetta. «La cosa più bella, che non avevo mai osato sperare, è avvenuta! Rallegrati con me, tu che mi vuoi così bene tra tutti!» E la sirenetta gli baciò la mano, ma sentì che il suo cuore si spezzava. Il mattino dopo le nozze sarebbe morta, trasformata in schiuma del mare. Tutte le campane suonarono, gli araldi cavalcarono per le strade a annunciare il fidanzamento. Su tutti gli altari si bruciarono oli profumati in preziose lampade d'argento. I preti fecero oscillare gli incensieri mentre gli sposi si strinsero le mani e ricevettero la benedizione del vescovo.

La sirenetta, vestita di seta e d'oro, reggeva lo strascico, ma le sue orecchie non sentivano quella musica gioiosa, i suoi occhi non vedevano quella sacra cerimonia: pensava alla sua morte e a tutto quel che avrebbe perso in questo mondo. La sera stessa gli sposi salirono a bordo della nave, i cannoni spararono, e le bandiere sventolarono; in mezzo alla nave era stata montata una tenda reale fatta d'oro e di porpora, con cuscini sofficissimi, su cui la coppia di sposi avrebbe dovuto dormire in quella quieta e fredda notte. Le vele sventolavano al vento, e la nave scivolava leggera, senza scossoni, sul mare trasparente.

Quando venne buio si accesero le lampade variopinte e i marinai ballarono allegramente sul ponte. La sirenetta ripensò alla prima volta in cui si era affacciata sulla terra e aveva visto lo stesso splendore e la stessa gioia, si inserì nelle danze, volteggiò come fa la rondine quando viene inseguita, e tutti le mostrarono la loro ammirazione: non aveva mai ballato così bene. Sentiva i piedini come tagliati da coltelli affilati, ma non vi badò, le faceva più male il cuore. Sapeva che quella era l'ultima sera in cui vedeva colui per il quale aveva lasciato la sua gente e la sua casa, per il quale aveva rinunciato alla sua bella voce, per il quale aveva sofferto ogni giorno tormenti senza fine, che lui neppure poteva immaginare. Quella era l'ultima notte in cui avrebbe respirato la sua stessa aria; guardò verso il profondo mare e verso il cielo stellato: una notte eterna senza pensieri né sogni la aspettava, poiché non aveva un'anima, né poteva ottenerla. L'allegria e la gioia sulla nave durarono a lungo anche dopo mezzanotte; anche lei rise e danzò ma aveva pensieri di morte nel cuore. Il principe baciò la sua bella sposa e lei gli accarezzò i capelli neri, poi a braccetto andarono a riposarsi nella splendida tenda. Calò il silenzio sulla nave, solo il timoniere era sveglio al timone; la sirenetta pose le bianche braccia sul parapetto e guardò verso est, per vedere il rosso dell'alba: il primo raggio di sole la avrebbe uccisa. Allora vide le sue sorelle spuntare fuori dal mare, erano pallide come lei, i loro lunghi e bei capelli non si agitavano più nel vento, erano stati tagliati. «Li abbiamo dati alla strega, perché ti venisse a aiutare affinché tu non muoia questa notte. Allora ci ha dato un coltello; eccolo! vedi com'è affilato? Prima che sorga il sole devi infilzarlo nel cuore del principe; quando il suo caldo sangue bagnerà i tuoi piedi, questi riformeranno una coda di pesce e tu ridiventerai una sirena e potrai gettarti in acqua con noi e vivere i tuoi trecento anni prima di morire e diventare schiuma salata. Fai presto! O tu o lui dovete morire prima che sorga il sole! La nonna soffre tanto e ha perso tutti i capelli bianchi, e i nostri sono caduti sotto le forbici della strega. Uccidi il principe e torna indietro! Presto! non vedi quella striscia rossa nel cielo? Tra pochi minuti sorgerà il sole e allora morrai!» Sospirarono profondamente e si reimmersero tra le onde.

La sirenetta sollevò il tappeto di porpora della tenda e vide la bella sposina dormire col capo sul petto del principe, si chinò verso di lui e gli baciò la bella fronte, guardò verso il cielo dove la luce dell'alba si faceva sempre più intensa, guardò il coltello affilato e poi fissò di nuovo gli occhi del principe, che in sogno pronunciò il nome della sua sposa; solo lei era nei suoi pensieri, e il coltello tremò nella mano della sirena. Allora lo gettò lontano tra le onde, che brillarono rosse dove era caduto: sembrava che gocce di sangue zampillassero dall'acqua. Ancora una volta guardò con lo sguardo spento verso il principe; poi si gettò in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma. Il sole sorse alto sul mare, i raggi battevano caldi sulla gelida schiuma e la sirenetta non sentì la morte, vedeva il bel sole e su di lei volavano centinaia di bellissime creature trasparenti; attraverso le loro immagini poteva vedere la bianca vela della nave e le rosse nuvole del cielo, la loro voce era una melodia così spirituale che nessun orecchio umano poteva sentirla; così come nessun occhio umano poteva vederle. Volavano nell'aria senza ali, grazie alla loro stessa leggerezza. La sirenetta vide che aveva un corpo come il loro, e che si sollevava sempre più dalla schiuma. «Dove sto andando?» chiese la sirenetta, e la sua voce risuonò come quella delle altre creature, così spirituale che nessuna musica terrena poteva riprodurla. «Dalle figlie dell'aria!» le risposero. «Le sirene non hanno un'anima immortale e non possono ottenerla se non conquistando l'amore di un uomo! La loro esistenza immortale dipende da una forza estranea. Anche le figlie dell'aria non hanno un'anima immortale, ma possono conquistarne una da sole, tramite le buone azioni. Noi andiamo verso i paesi caldi; dove l'aria calda e pestilenziale uccide gli uomini, noi portiamo il fresco. Spandiamo il profumo dei fiori nell'aria e portiamo ristoro e guarigione. Se per trecento anni interi continuiamo a fare tutto il bene che possiamo, otteniamo un'anima immortale e possiamo partecipare all'eterna felicità degli uomini. Tu, povera sirenetta, lo hai desiderato con tutto il cuore; anche tu, come noi, hai sofferto e sopportato, e sei arrivata al mondo delle creature dell'aria: ora puoi compiere delle buone azioni e conquistarti un'anima immortale fra trecento anni!»

La sirenetta sollevò le braccia trasparenti verso il sole del Signore e per la prima volta sentì le lacrime agli occhi. Sulla nave era ripresa la vita e il rumore; vide che il principe e la sua bella sposa la cercavano, e guardarono tristemente verso la schiuma del mare, quasi sapessero che si era gettata tra le onde. Invisibile baciò la sposa sulla fronte, sorrise al principe e salì con le altre figlie dell'aria su una nuvola rosa che navigava nel cielo. «Fra trecento anni entreremo nel regno di Dio!» «Anche prima potremo arrivarci» sussurrò una di loro. «Senza farci vedere entriamo nelle case degli uomini, dove c'è qualche bambino; ogni volta che troviamo un bambino buono che rende felici i suoi genitori e merita il loro amore, il Signore ci abbrevia il periodo di prova. Il bambino non sa quando entriamo in casa, ma noi gli sorridiamo per la gioia, e così ci viene tolto un anno dei trecento che ci toccano; se invece troviamo un bambino cattivo e capriccioso, allora dobbiamo piangere di dolore e ogni lacrima aumenta di un giorno il nostro tempo di prova!»

 
 
 
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