Creato da believeinyourdream97 il 09/08/2011

REASON TO BELIEVE

"Ho aspettato per molto tempo qualcosa che mi mostrasse le risposte che voglio, una ragione per credere in qualcosa di così forte. Ma non penso che questa ragione esista." Sum 41.

 

 

La bellezza

Post n°21 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da believeinyourdream97

“ Quando un predatore entra nella conchiglia nel tentativo di divorarne il contenuto e non ci riesce, lascia dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del mollusco, e l’ostrica si richiude e deve fare in conti con quel nemico, con l’estraneo. Allora il mollusco comincia a rilasciare attorno all’intruso strati di se stesso, come fossero lacrime: la madreperla. Ciò che all’inizio serviva a liberare e difendere la conchiglia da quel che la irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso e inimitabile. Così è la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessanti… ” Alessandro D'Avenia

~ La bellezza sta negli occhi di chi la guarda, così si dice.
Ecco, io sono d’accordo con questo. Perché, altrimenti, ci sono persone che distruggono paesaggi mozzafiato, e altre che invece rimangono ad ammirarli a bocca aperta? La bellezza… la bellezza è dentro ognuno di noi. Dobbiamo solo trovarla. Perché non dobbiamo prenderla agli altri per averla, ma cercarla dentro di noi. E imparare ad apprezzare quella che la natura ci regala. ~

" - Guarda. Tutto è distrutto. Gli alberi, i fiori, la casa… non c’è più niente. – Ale singhiozzava, in preda allo sconforto. La tempesta aveva fatto una bella confusione.
Nico le si avvicinò. – No. Guarda… - la abbracciò da dietro stringendola a sé, le prese dolcemente un braccio a indirizzò la mano verso i resti della loro vita. - Chiudi gli occhi… - bisbigliò all’orecchio di Ale, e la ragazza obbedì. Passarono alcuni minuti…- Ora riaprili. - Ale spalancò i suoi occhioni verdi. E vide ciò che prima non aveva considerato. Guardando tutto nel suo insieme, si vedeva solo una mucchio di macerie. Ma fermandosi a osservare, ci si accorgeva di altro: la casa era crollata, ma i pezza di legno e le pietre erano ancora intatti. Gli alberi caduti erano solo due o tre, ne rimaneva un’intera foresta. I fiori erano stati schiacciati, ma non sradicati.
Le lacrime si arrestarono sugli occhi di Ale, che si voltò e strinse Nico, nascondendo il viso sull’incavo del suo collo. Nico sorrise. – Vedi, basta cercare la bellezza anche nelle cose più piccole. Inoltre, guarda l’altro lato positivo: siamo entrambi vivi! – Ale sorrise, e alzò gli occhi su di lui. – Grazie… - mormorò. Nico si abbassò per baciarla.
Poi si avviarono verso la loro vecchia dimora. Pronti per ricominciare. "


~ Io al mattino, quando apro gli occhi, vedo la mia stanza in penombra, sento le coperte calde su di me, i muscoli indolenziti. E penso: “Che giorno è oggi?” Se ho già in programma qualcosa di divertente o comunque che mi renderà felice, mi alzo subito senza storie, e scendo per fare colazione. Se invece è una di quelle giornate grigie, magari piovose, in cui devo subirmi cinque ore si scuola, so di avere il pomeriggio pieno di compiti e tre o quattro ore di allenamento, allora mi nascondo sotto il cuscino e sbuffo. Però poi cerco di trovare, in quelle 15-16 ore di vita, qualcosa che possa farmi sorridere, che mi faccia comunque felice ripagandomi della fatica di sopportare quel giorno pesante, come il fatto che a scuola potrò chiacchierare con gli amici, sorridere e scherzare con loro, o che al pomeriggio prima dell’allenamento posso uscire o leggere un buon libro, insomma mi do una ragione di vivere anche quel giorno anche e non ne ho voglia. Trovo quella cosa, anche piccolissima, che possa colorare anche tutto i resto.
E’ così che continuo, inseguendo sogni e speranze sempre nuovi, fantasticando, immaginando, e vivendo ogni giorno e ogni minuto come fosse l’ultimo. E cercando la bellezza anche nelle cose più brutte o insignificanti. ~

 
 
 

La partenza di un amico

Post n°20 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da believeinyourdream97

"Ecco. Ero davanti alla porta di legno scuro della camera di Maicol. Dall'altra parte di quel pannello c'era lui, probabilmente steso sul suo letto ad ascoltare musica, o seduto alla scrivania a leggere... mi fermai ad immaginare immaginare i suoi capelli, arruffati e ribelli come al solito, e ripensai al suo sorriso luminoso, ai suoi occhi sempre sorridenti... chissà cosa avrebbe pensato dopo aver saputo cosa ero venuta a dirgli. Non riuscivo a credere che quella sarebbe stata davvero l'ultima occasione di vederlo. Trattenendo il fiato, bussai piano. Uno, due... - Avanti. -
La sua voce... così profonda, gentile..
Abbassai la maniglia. Ero pronta? Oh, no. Non sarei mai stata pronta a lasciarlo.
Mi feci coraggio, e aprii. La camera di Maicol era esattamente come l'avevo immaginata. Piccola, rettangolare, e in un disordine totale. Il letto era in fondo, sull'angolo delle pareti, accanto ad una grande portafinestra aperta sul giardino. Era disfatto, le lenzuola e la coperta a terra. Sopra erano appoggiati due o tre libri dalle copertine interessanti. Alla parete opposta al letto stava un'alta libreria, i cui tomi erano per metà a terra ad ingombrare il pavimento. Accanto a questa, ovvero di fronte a dove mi trovavo io, c'era una piccola e semplice scrivania. Il caos che vi regnava era indescrivibile. La lampada accesa proiettava ombre sui fogli e le penne sparsi sul ripiano, e portapenne, scotch, matite, pile, cavi per il cellulare, forbici, libri, quaderni, tutto era stato lasciato lì. Il PC si era salvato, e stava in fondo, chiuso. Vicino alla sedia, era appoggiata la sua chitarra elettrica. Nera e fuxia, bellissima. Che bello quando la suonavamo insieme.... quando io cantavo le sue canzoni e lui mi accompagnava con il suono vibrante di quello strumento che amava tanto...
Scossi la testa. Non dovevo pensarci, altrimenti tutto sarebbe stato ancor più difficile da mandare giù. E infine, lui. Era seduto a terra, sul tappeto, la schiena contro il muro e le gambe tirate su al petto. Stava leggendo. Le cuffie alle orecchie, come sempre, muoveva leggermente la testa al ritmo della musica che stava ascoltando. I capelli gli accarezzavano le guance magre. Sorrisi. Il suo viso, nascosto dal ciuffo biondo, lo conoscevo benissimo. Indossava una felpa nera e un paio di bluejeans. Appena varcai la soglia, si voltò verso di me, sorridendo. Mi sentii scaldare dentro, e sorrisi anch'io, anche se dentro ero tristissima perchè stavo per perderlo.

Io e Maicol eravamo amici fin dall'infanzia. Eravamo andati a scuola insieme, sempre, e avevamo scelto lo stesso liceo. Per questo doverlo lasciare mi faceva così male. Lui era il mio migliore amico, il mio confidente, la mia guida, il mio sostegno. Senza di lui, come avrei fatto?
- Speravo fossi tu – sorrise Maicol, alzandosi. Lasciò il libro sul pavimento, e si tolse le cuffie, abbandonandole sulle spalle. Poi venne verso di me, e mi attirò a sè per abbracciarmi. Non opposi resistenza, e mi lasciai andare al suo volere, stringendo il suo corpo caldo. Il solo pensare che non avrei mai più potuto farlo mi provocò stilettate di dolore alla pancia. Dovevo dirglielo.
- Sono venuta... perchè devo dirti una cosa. - il mio tono serio preoccupò evidentemente Maicol, e il sorriso gli morì sulle labbra.
- Sembra importante... - mormorò, alzando le sopracciglia. La sua espessione sospettosa mi opprimeva più della tristezza che sentivo dentro.
- Infatti lo è. Maicol, io non so come dirtelo... - mi presi la testa fra le mani, cercando le parole che mi servivano per dirgli la verità.
Lui mi afferrò le braccia dolcemente, scostandomele dal viso. Prese le mie mani tra le sue, cullandole lentamente, e mi accompagnò fino al letto. Ci sedemmo. Stavo tremendo.
- Respira – sussurrò. La sua voce dolce mi fece sentire meglio. - Sai che a me puoi dire tutto. Su, parla... -  Respirai a fondo. Una, due, tre volte. Mi feci coraggio e... glielo dissi.
- Devo partire. -
Un silenzio pesante gravò attorno a noi, ci avvolse, un silenzio opprimente e maligno. Poi Maicol rise, una risata nervosa. Ma perchè fa così? Non gli importa niente che io me ne vada?
- Haha, bene, dove vai di bello? Per quanto stai via? Io l'ho sempre detto che ti ci voleva una bella vacanza... - Stava scherzando? O veramente aveva frainteso?
Maicol, perchè devi rendermi le cose più difficili?
- No. Maicol, io... io parto. Parto davvero. Me ne vado. Per sempre. - spiegai in tono lapidario. La risata di Maicol si zittì all'improvviso.
- Stai scherzando, spero... -
- No, Maicol... Non sai quanto vorrei scherzare... Ma purtroppo è tutto vero. I miei genitori hanno deciso che devo trasferirmi anch'io lì con loro... con effetto immediato. - le lacrime mi salirono agli occhi, inarrestabili. Non provai nemmeno a fermarle, era una battaglia persa dal principio. Lasciai che mi rigassero le guance, lente e crudeli. Chiusi gli occhi. Non volevo vedere l'espressione sul volto di Maicol.
- Oh... oh. - Sperai che capisse, che potesse comprendere come mi sentivo. Che non ci fosse bisogno di dire che mi sarebbe mancato terribilemtne, che ci saremmo sentiti ogni giorno attraverso internet, chiamate, sms, che il legame con lui era troppo profondo per essere troncato così, all'improvviso, e che prima o poi ci saremmo rivisti... E lui capì. Lo seppi perchè, senza esitazione, avvolse le braccia attorno a me e mi strinse a sè in un abbraccio forte, saldo, il simbolo della nostra amicizia. Non fu necessario dire altro, perchè i nostri cuori potevano comunicare e dirsi tutto anche senza l'aiuto della voce. Spesso un gesto d'affetto vale più di mille parole.
Condividevamo lo stesso dolore. Entrambi sapevamo che sarebbe stato difficile andare avanti senza la costante e rassicurante presenza dell'altro al proprio fianco, ma se quello era il nostro destino, avremmo affrontato a denti stretti quella nuova realtà, e quelle difficoltà, per quanto fosse triste e doloroso.
Partii due giorni dopo, il tempo di fare le valige.
Era una giornata triste, grigia, come se anche il sole non approvasse la mia partenza. Il momento più duro fu quello in qui salutai Maicol. Era venuto alla stazione, dove stavo aspettando il treno con i miei genitori. Non gliel'avevo chiesto, perchè sapevo che anche lui stava male quanto me per quel distacco, ma lui venne di sua spontanea volontà. Ero vicino ai binari, quando mi sentii chiamare da dietro.
- Susanna... -
Non ebbi bisogno di pensare per attribuire la voce al proprietario. Mi voltai di scatto e con uno slancio fui tra le sue braccia, allacciata al suo collo. Lo stringevo forte, e piangevo. Non volevo perderlo.
- Non mi perderai mai, Su... - mi sussurrò allorecchio, sfiorandomi la nuca con le sue labbra calde. Rabbrividii, e mi scostai per guardarlo negli occhi. Quegli occhi limpidi e profondi che non sapevano mentire.
- Io sarò sempre qui... - aggiunse, portando la mano al mio petto, nel punto in cui c'era il cuore. Il suo gesto mi fece sorridere, ma d'impulso chiesi – Non mi dimenticherai, vero? -
Maicol sorrise, un dei suoi sorrisi irresistibili, e si avvicinò ancora a me, fino a sfiorare il mio naso con il suo, mormorando – Come potrei dimenticarmi di te? -
Sorrisi. Lo attirai a me di nuovo, e lui mi strinse a sè con forza, fin quasi a farmi male. Quando sentii che la mia spalla si stava bagnando, temetti di morire. Non aveva mai pianto... quindi anche lui stava veramente soffrendo...
Maicol continuò a stringermi, e quando si scostò fu per asciugarsi gli occhi e mormorare – Torneremo insieme, Su. Te lo prometto. In un modo o nell'altro, io sento che ci ritroveremo. Perchè altrimenti, come farò a vivere? -
Stavo per rispondere, quando un fischio mi fece tornare alla realtà.
Il treno stava arrivando. Abbracciai ancora una volta Maicol. Poi, senza una parola, ci staccammo e lui indietreggiò. Mi sorrise.
Sentii urlare il mio nome: era mio padre. Lo raggiunsi, senza spostare lo sguardo da Maicol. Salii sul treno, e fuori dal finestrino salutai con la mano.
Maicol sorrideva ancora. Un'unica lacrima, argentea e limpida, gli solcò il viso.
Le porte si chiusero. Il treno fischiò.
E partì.
Non staccai gli occhi da Maicol finchè non divenne solo un puntino nero in lontananza.
Poi, sedendomi, concessi alle lacrime di scendere, unendosi in un pianto disperato.
Ma, in fondo al cuore, sentivo qualcosa. Qualcosa di caldo, come una fiammella accesa, che mi illuminava e mi spingeva a tener duro. La SPERANZA. "

 
 
 

Quando una cosa ovvia può non essere la Verità...

Post n°19 pubblicato il 14 Dicembre 2011 da believeinyourdream97

 

 

Noi siamo spesso vittime di illusioni.
Ci convinciamo di qualcosa che ai nostri occhi appare ovvio,
ma che può non esserlo realmente.
Leggete...

 

<< Gyrsì... >> mormorò Hars, con la voce tremante dalla paura.
La strana creatura si avvicinava sempre di più, e loro erano bloccati contro la sudicia parete stinta. Gyrsì, senza staccare gli occhi dal mostro, fece correre la sua mano lungo la parete, fino ad arrivare a sentire il calore di quella dell'amico. La afferrò stringendola con forza, intrecciando le dita alle sue. Rimasero immobili, fissando la creatura mostruosa che avanzava inesorabile verso di loro. Aveva forme indistinte, come sfuocate: sembrava indossare tanti mantelli neri, l'uno sopra l'altro, e le zampe bianche e ossute che ne fuoriuscivano erano pallidissime e quasi spettrali. L'oscurità della stanza opprimeva i due ragazzi, che non sapevano come fare per scappare. All'improvviso, dal nulla si accese una fulgida luce bianca, che li avvolse a fare come da scudo ai loro corpi. La luce sembrò dare fastidio al mostro, che ringhiando ferocemente per la preda perduta fu costretto ad andarsene, correndo via lungo il corridoio. Hars stava trattenendo il fiato, e aveva sentito la presa di Gyrsì farsi più ferrea sulla sua mano. La violenta luce scomparve tanto velocemente così come era arrivata.
I due ragazzi non avrebbero saputo dire cosa fosse successo, nè come, nè perchè, ma una di una cosa erano certi: ora potevano fuggire. Senza lasciare andare le mani, corsero insieme fuori dal maniero, correndo verso la foresta. Continuarono fino a quanto non raggiunsero una piccola radura tra gli alberi. Qui si fermarono, senza fiato e con i polmoni in fiamme, per riposare.
<< Tu... tutto bene? >> sussurrò Hars con voce roca. Gyrsì era stesa accanto a lui, le braccia strette al petto, e ansimava. La ragazza annuì, senza guardarlo in faccia.
Hars sospirò, voltando lo sguardo. Gli faceva male vederla lì, così bella e impossibile. Sistemandosi i ciuffi di capelli scuri, cercò mentalmente le parole per riuscire ad esprimere ciò che aveva bisogno di dire.
<< Senti... io devo chiederti scusa >> sbottò, la voce rotta dalle lacrime che cercava di reprimere a fatica. << Insomma... sono stato uno stupido, mi sono comportato da cretino, non avrei dovuto lasciarti sola. Io volevo solo esplorare il castello, ma dovevo immaginarlo che c'erano fin troppi pericoli. Non metto in dubbio il fatto che tu sappia cavartela benissimo anche senza di me, ma... dovevo essere con te, ecco. Invece... >> sbattè forte il pugno a terra, chiudendo gli occhi e premendoli per non piangere. << Quando avevi bisogno di me, io non c'ero. >> concluse sottovoce, con la voce mista di rabbia e rammarico. << Sono solo un povero illuso. Ma... scusa, ecco. Sarò quel che sarò, ma almeno mi sento in dovere di chiederti scusa. >> Sospirò ancora, e le prime lacrime iniziarono a rigargli il viso abbronzato.
Gyrsì era rimasta sinceramente colpita. Si avvicinò ad Hars, gli scostò dolcemente il braccio dal viso, e afferrò il mento del ragazzo, perchè la guardasse.
<< Cos'è che ti tormenta, Hars? >> sussurrò, accarezzandogli la guancia e sorridendo.
Hars si irriggidì. Possibile che lei sapesse?...
<< Hars, sfogati. Sai che ti puoi fidare di me. >> lo incoraggiò Gyrsì, inginocchiandosi alla sua altezza.
<< Non... non è facile da spiegare >> mormorò Hars, il viso in fiamme.
<< Ma non è impossibile... >> replicò la ragazza, senza smettere di sorridere.
Nei pochi secondi che seguirono le sue parole, l'aria rimase immobile, in un silenzio opprimente e carico di parole non dette.
<< Tu... tu lo sai già, vero? >> sussurrò il il giovane, quasi impercettibilmente.
<< Io so molto... ma voglio sentirlo dire da te, altrimenti non è lo stesso >> disse lei.
Hars abbassò lo sguardo. Sentiva il viso bruciare nei punti in cui la pelle di lei lo aveva sfiorato, e il suo cuore gli faceva quasi male tale era la velocità dei suoi battiti. Eppure gli mancava il respiro.
<< Io... >> il ragazzo deglutì. Non ci riusciva...
<< Tu? >> lo inclazò Gyrsì.
<< Io... io... >> Erano parole semplicissime... eppure faticavano ad uscire dalle labbra di Hars, ormai al limite della disperazione. << Io... io... >> Caspita, sembrava che la voce gli morisse in gol quando stava per dirlo. Era troppo difficile accettare la realtà... << Oh, insomma!! Io... IO TI AMO!!! >> urlò allora, con tutto il fiato che aveva in gola, singhiozzando. Si alzò in piedi di scatto, e corse via, inseguito dalla voce della ragazza che lo chiamava. Era disperato, fuori di sè. Sapeva che ora non sarebbe più riuscito a vederla, perchè lei non avrebbe mai potuto ricambiarlo, mai. Inoltre si era comportato da debole, come un bambino... Corse finchè non gli mancò il respiro, e le gambe gli cedettero. Così cadde al suolo, stremato, e rimase a terra, la faccia premuta contro l'erba umida e le foglie cadute, ansimante.
Ma Gyrsì lo aveva raggiunto.
<< Hars... ti prego, non fuggire ancora! >> singhiozzò la ragazza, arrivandogli vicino. Stava piangendo. Ma il giovane si era già alzato, e indietreggiando balbettò << Scusa... scusa ma non posso... tu non mi vorrai mai e... e io non riesco a rimanere senza di te... quindi... quindi devo andarmene >>
Provò a girarsi per andarsene di nuovo, ma Gyrsì con uno scatto veloce lo intercettò, gli afferrò il braccio facendolo voltare su sè stesso, e lo baciò a tradimento.
Tutto era avvenuto in pochi attimi, senza il tempo di realizzare cosa fosse realmente successo.
Le labbra di Hars erano morbide, calde e dolci, e Gyrsì le baciava con un misto di disperazione e desiderio, mentre allacciava le braccia al collo del ragazzo.
Hars era senza fiato. Senza parole, e assolutamente al colmo della felicità. Per quante notti aveva sognato un momento come quello... per quanto tempo la loro immagine aveva occupato i suoi desideri... e ora tutto era così reale, ma allo stesso tempo difficile da credere... Eppure Gyrsì era davvero lì, stretta fra le sue braccia, e lui davvero aveva le labbra premute sulle sue, in quel dolce contatto che lo scaldava dentro... Hars sentiva uno strano languore infondersi nel suo stomaco, un misto di piacere e paura che lo annientava, mentre socchiudeva le labbra per ricambiare il bacio di Gyrsì. Il corpo premuto a quello della ragazza, lasciò che lei gli si stringesse contro, facendo scorrere le mani tremanti lungo la sua spina dorsale e i suoi fianchi, attirandola a sè con crescente passione.
I ragazzi non avevano bisogno di chiarire nulla. Ora sapevano qual'era la Verità.
E, mentre consumavano una dolce notte d'amore insieme, trovarono il tempo per discutere sui loro sentimenti, tenuti segreti per troppo tempo ma finalmente usciti alla luce del sole.


Hars aveva paura.
Una paura sciocca ma giusta,
quasi "amara", se vogliamo.
Lui era convinto che la ragazza di cui era innamorato
non avrebbe mai potuto ricambiarlo.
E invece...

Ma questo non vale solo per l'amore.
Ci sono molti altri esempi di vita
che ci possono fornire uno spunto
per una rilfessione in merito a questo argomento.
Ad esempio, avete mai avuto occasione di vedere
il cartone "L'Incantesimo del Lago"?
Il principe Derek credeva che il cigno fosse solo una minaccia,
e non si era accorto che la ragazza che aveva accanto
in realtà non era quella che amava.
Eppure c'era una frase che gli ronzava per la testa,
che non sapeva spiegarsi...
"Non è quello che sembra!"


 

 
 
 

Guardati intorno. Pensa a ciò che hai. Allora, non vale la pena di Vivere?

Post n°18 pubblicato il 04 Dicembre 2011 da believeinyourdream97

 

Questo racconto l'ho scritto io.
Forse potrà risultare banale, o uguale a tanti altri.
Ma spero sia anche in grado di farvi riflettere.
Perchè, purtroppo, ci accorgiamo dell'importanza delle persone intorno a noi solo quando ormai le abbiamo perse...

Seth aveva 16 anni. I suoi genitori litigavano in continuazione, e lei doveva subirne le conseguenze. I suoi amici erano fumatori alcolizzati che la importunavano e ne approfittavano di lei. Il suo ragazzo c’era solo quando voleva lui, e la tradiva spesso con qualcun’altra. Seth non era felice. Proprio per niente. Seth odiava la sua vita. Seth odiava doversi alzare ogni giorno per sentire gli urli del padre e le proteste della madre, per entrare in classe la mattina ed essere vittima delle critiche più crudeli e pietose, non sopportava gli insegnanti che volevano a tutti i costi che lei andasse bene a scuola… Seth odiava sé stessa. Si odiava per essere così debole. Iniziò a protestare. Si chiuse in sé stessa, e divenne sempre più irritabile. Un giorno vide il suo ragazzo mentre baciava un’altra. Ricordando il calore delle sue labbra morbide e il suo corpo irresistibile, gli concesse un’altra possibilità. Una settimana dopo, Seth colse nuovamente il ragazzo nell’attimo in cui stava baciando la stessa ragazza di solo qualche giorno prima. Ma ancora lo perdonò. Seth non resisteva più. Seth odiava la sua vita. Seth odiava tutto, non capiva che senso avesse ancora vivere. Seth voleva morire. Seth parlò ai suoi genitori, che fecero pace. Seth provò a chiarirsi con gli amici, e per un periodo tutto andò meglio. Seth voleva chiarire anche con il ragazzo, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Lui per lei era tutto, era parte di lei. Era pazza d’amore, ma non le bastava. Seth prese una decisione.
La mattina dopo, i suoi genitori non la trovarono. Gli amici la cercarono, ma era scomparsa. Il ragazzo la chiamò, la cercò, ma lei non c’era. Trovarono una lettera sul suo letto, che diceva: “So che vi ho deluso, perché ho deluso pure me stessa. So che dovevo cambiare, ma voi non mi avreste accettata comunque, perché io c’ero per voi, ma voi mancavate a me. So che avrei dovuto parlarvene prima, ma non sarebbe servito, probabilmente. So che lasciarvi così non ha senso. So che forse mi odierete per la mia decisione, ma io non ho più motivo di vivere. Anzi, un motivo ce l’ho ancora. E’ LUI. Lui e solo lui. Ma non ha voluto ricambiare l’amore disperato che gli offrivo, ed ora è troppo tardi.
Addio a tutti. Vi voglio bene.”
Il ragazzo rimase devastato da quelle parole. E comprese in pochi secondi che la sua vita era legata a quella di lei, e che aveva sbagliato a comportarsi così. Perché lui la amava, l’aveva sempre amata… ma non aveva avuto il coraggio di dimostrarglielo. E ora… ora che lei non c’era, capiva quanto grande fosse stato il suo errore. Corse, corse via. Scappò da tutti, l’unica di cui aveva bisogno era lei. E sapeva dove trovarla. Arrivò alla stazione quando ormai era buio. Lei lo aveva aspettato tutto il pomeriggio, perché sperava ancora in un suo rimorso. Ora il  ragazzo la vide, bellissima, un punto bianco nell’oscurità della notte, che percorreva gli ultimi passi prima di raggiungere i binari. Il ragazzo corse ancora, senza fiato… Arrivò da lei, proprio mentre il treno usciva dalla galleria poco distante… La abbracciò da dietro, la strinse a sé, godette di quella sensazione di calore, di quel fuoco che solo lei sapeva accendere. La fece voltare, e le sfiorò la nuca con le labbra, sussurrandogli all’orecchio: “Io ti ho sempre amato… e ti amo ancora… Scusa se te lo dico solo adesso…” Lei non rispose. Piangeva. Il ragazzo la strinse più forte, e la baciò dolcemente, mentre i fari del treno li abbagliavano. “E’ troppo tardi, ormai…” mormorò Seth. “Lo so… ma ora almeno non sarai più sola” replicò il ragazzo, baciandola ancora. Si strinsero in un ultimo, disperato abbraccio…
e poi il buio e le luci del treno si confusero in sfumature di colori troppo crudeli.

Allora, che senso ha togliersi la vita così?
Seth ha sbagliato.
Ha sottovalutato sè stessa, ed il suo ragazzo.
Seth non aveva ancora capito che Vivere non è solo respirare.
Vivere è accorgersi di chi ti sta intorno, è contare sempre su tutto ciò che abbiamo, e non sottovalutarlo.



 

 
 
 

Quando un amico muore per salvarti

Post n°17 pubblicato il 23 Novembre 2011 da believeinyourdream97

 

Questo è un racconto che ho scritto io, ma che può essere di esempio a chiunque. Perchè nel mondo il Male è presente, anche se noi non lo vediamo con i nostri occhi.
Ma un Amico, un Amico VERO, può fare la differenza.

- CALIAH! - urlò Demug, disperato. L'amica stava correndo verso di lui, ma l'assassino le era ormai alle costole.  Il ragazzo si volse e ripercorse tutta la strada all'indietro, correndo in soccorso a Caliah. Le arrivò dietro, le cinse i fianchi con le braccia e la sollevò. La povera ragazza era ormai senza fiato, e dopo un lamento di protesta ignorato dall'amico lasciò cadere la testa, chiudendo gli occhi.
"Ti prego, fa che sia ancora viva... Dammi la forza di andare avanti!" Demug implorava così Dio, o chi per lui, perchè lo aiutasse a resistere e non mollare. Aveva i polmoni in fiamme, era stremato e non sentiva più le gambe, che proseguivano sa sole a una velocità allucinante. Ormai non era più cosciente di dove andava, l'importante era scappare, fuggire dalla morte certa. Erano stati avvistati alcuni minuti prima, e quell'uomo senza cuore non prometteva niente di buono. Capitavano ogni giorno episodi così: bambini che perdevano la vita perchè uccisi da disertori o pazzi. Ma Demug non voleva lasciarsi andare al suo destino, voleva vivere!
Non riusciva a voltarsi, ma l'ombra sul terreno gli suggeriva che era riuscito a distanziare il loro inseguitore. Era un ladro, probabilmente, o peggio ancora un soldato nemico, che li avrebbe sicuramente raggiunti ed uccisi. E lui non aveva dove andare, non sapevo dove nascondersi. "Perchè? Perchè questa guerra così maledettamente insulsa? Non gli basta che stiamo a rantolare nel fango, vivendo nella sporcizia e mangiando immondizia?" Demug ebbe un moto di rabbia, ma riuscì a contenersi volgendo lo sguardo sul viso stanco di Caliah, poggiato al suo petto. Erano così belli i suoi capelli scuri, anche se sporchi di fango... E il suo corpo esile, che tanto lo affascinava... Questi pensieri ebbero il potere di spingerlo a continuare, senza fermarsi. Ormai il suo respiro aveva lasciato il posto ad un rantolo soffocato, ma quello che gli interessava era portare in salvo almeno Caliah.
Non seppe mai per quanto corse ancora. Secondi, minuti, forse ore.
Doveva essere il crepuscolo quando si fermò. Decise di farlo perchè non sentiva altro rumore se non quello dei suoi passi, perciò poteva essere sicuro che almeno per un po' non avrebbero avuto brutte visite.
Stese a terra la ragazza, e si lasciò cadere al suolo, privo di sensi.
Caliah lo ritrovò lì, circa due ore dopo. Il cielo stellato era aperto su di loro, nero e senza fine, e la luna brillava rischiarando il luogo in cui si trovavano. Erano nel deserto. Dune e dune di sabbia si alzavano all'orizzonte, su una vasta landa dorata che incuteva timore.
Alla ragazza servì un po' di tempo per ricordare quanto era successo. Appena le immagini di qualche ora prima tornarono ad affollarle il cervello, come pezzetti di un puzzle che finalmente si ricongiungono, Caliah inorridì,  e si voltò vero Demug.
"DEMUG!! Mio Dio, ti prego, salvalo!"
Si mise a cavalcioni del suo corpo magro e stanco, e gli accarezzò una guancia incrostata di sale. Aveva pianto. Gli scostò dagli occhi un ciuffo di capelli biondi, che gli cadevano arruffati dietro le orecchie e sopra la testa. Non si svegliava.
La ragazza iniziò ad aver paura. Lo scosse piano, afferrandogli le spalle, poi con movimenti sempre più veloci e disperati.
Era sul punto di piangere, quando Demug finalmente aprì gli occhi, piano.
- Demug! - esclamò Caliah, affondando il volto sul suo collo. Lo abbracciò forte, tenendolo stretto fin quasi a soffocare. Il ragazzo rimase immobile, inerte sotto le sue braccia. Non riusciva a muovere un solo muscolo.
- Co.. come stai? - mormorò Caliah, guardandolo negli occhi.
A fatica, Demug rispose rantolando - Meglio... ora... ora che sei sveglia... e che so che sei viva... - storse la bocca in quello che voleva essere un sorriso, ma che mutò subito in una smorfia di dolore.
- Stai male? - chiese Caliah, allarmata.
- Ssh... - sussurrò lui, sospirando. Alzò piano piano la testa, appoggiandosi ai gomiti. -  Ehmm.. devo ancora dirti una cosa... prima.. insomma, prima... prima che... -
- PRIMA DI CHE COSA?? - gridò Caliah, scoppiando in lacrime. Perchè sapeva quello che Demug stava pensando. - Tu sei vivo, sei qui, siamo salvi! E per merito tuo! Possiamo farcela... - singhiozzò in tono disperato, mentre un masso sembrava le scendesse sul cuore. Perchè era consapevole, anche se non voleva accettarlo, che anche se erano vivi non significava che lo sarebbero rimasti. Perchè erano in mezzo ad un deserto, senza cibo nè acqua, con solo pochi stracci addosso, sporchi e sfiniti... e lui stava malissimo.. erano finiti. E senza più speranze.
- Ssh... vieni qui... c'è una cosa che devo darti... - mormorò a fatica Demug, avvicinandosi a lei  più che poteva.
- Co.. cosa? - sussurrò Caliah, piangendo in silenzio.
- Questo... ricordalo, quando mi penserai... - e prima di terminare la frase, le labbra del ragazzo erano già su quelle di Caliah, che sorpresa rimase rigida per poco, prima di baciarlo a sua volta, stringendolo forte. Rimasero uniti a baciarsi, i respiri intrecciati, fino a quando la ragazza non avvertì la pesantezza del petto di Demug, fermo contro il suo seno, e il respiro del ragazzo farsi sempre più debole, fino a spegnersi del tutto. Le sue labbra morbide erano rimaste immobili sotto il tocco di Caliah, e i suoi occhi si erano chiusi. Per sempre.
La ragazza pianse molto. Tutte le lacrime che aveva in corpo. Rimase accasciata sul corpo esanime di Demug per molto e molto tempo, fino a quando un soldato della loro patria che passava di lì non li trovò e li portò indietro con sè.

Ora sono passati quarant'anni da quell'episodio. Caliah ha 56 anni, ed abita in una catapecchia in mezzo al deserto, accanto ad una piccola oasi dove ha sepolto il corpo di Demug.
Dopo la morte dell'amico, aveva seriamente preso in considerazione l'idea di suicidarsi, perchè la sua anima tornasse con quella di Demug. Ma si era detta che lui era morto proprio per evitarle questo, per salvarla, per farla vivere. E quindi continuò a vivere, a fare del bene a tutti, ad aiutare chi aveva bisogno di lei, proprio come un tempo aveva progettato insieme al suo amico.
Ricorderà sempre il giorno dopo il loro salvataggio, quando sul quotidiano del paese vicino era uscito l'articolo sul suo amico, tratto dall'intervista che le avevano riservato i giornalisti, con il titolo a caratteri cubitali che diceva:
"Ragazzo morto per salvare un'amica".

Cosa ne pensate? L'ho inventato, perciò "ogni riferimento a fatti, luoghi o personaggi esistenti nella realtà è puramente casuale". Ho voluto creare qualcosa di mio, per immedesimarmici più a fondo, per provare quello che una persona prova quando vede un amico morire davanti ai suoi occhi.
La nostra Caliah è viva per merito di Demug, che le ha salvato la vita portandola in salvo, e pagando con la sua, di vita.
Questo per ricordare che "chi trova un amico, trova un tesoro"!


 

 
 
 

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