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l'attesa

Post n°299 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da dunhilludine

L’attesa non è farci passare addosso il tempo. Non può esserlo: il tempo se ne sta fermo lì: aspetta anche lui! In realtà siamo noi che lo attraversiamo. E l’attesa non è neanche una questione di spazio: vi sfido a disegnare chiaramente i luoghi dell'attesa. Hanno confini troppo labili. Sono Inintercettabili. Poi si spostano di continuo. Inafferrabili. Ti metti seduto, pronto ad osservare l’alba e poi invece ti accorgi che il sole deve ancora tramontare ad ovest. L'attesa poi non è una questione di occhi credo, ma più di mani.  Quando aspettiamo le nostre mani perdono la loro funzione umana. Non le usiamo più per opporci, per respingere, per disegnare nell’aria, per salutare. Ogni tanto le usiamo per arrenderci all'attesa, ma per lo più non le usiamo affatto: le mettiamo in tasca o le incrociamo, le lasciamo penzolare ai lati dei fianchi o le nascondiamo dietro la schiena. In realtà noi vorremmo perdere temporaneamente la coscienza e risvegliarci solo quando l'attesa non avrà più senso di esistere. E allora le nostre mani stringeranno altre mani, si sfregheranno fra di loro, toccheranno, accarezzeranno, afferreranno. Poi magari anche questo diventerà ricordo. Che tornerà in mente mentre aspettiamo qualcosa di nuovo. In fin dei conti, credo che noi siamo divisi in due lunghe, interminabili file: quella delle attese finite e quella delle attese appena iniziate, quelli con le mani solitarie ed inerti e quelli che ne stringono altre.

 

 
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