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IL DUCE È...
Il Duce è quel mirabile architetto
che fu pur muratore e manovale
e costruì su l’armonia sociale
la Casa ove ciascun trova il suo tetto.
Egli è pur l’ortopedico perfetto,
il calzolaio senza alcun rivale
che raddrizzò l’italico stivale
togliendogli con garbo ogni difetto.
Maestro e servitor delta Nazione
egli il medico è pur pieno d’amore
che tanti ricondusse alla ragione,
E l’agile nocchier che non si spezza
né flette, ed è l’accorto agricoltore
che seminò per t’itala grandezza.
 
 

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Post N° 10

Post n°10 pubblicato il 29 Novembre 2007 da EAGLE3584
Foto di EAGLE3584

Criminali Comunisti Jugoslavi Ieri e Oggi

 Le vittime italiane dei Lager di Tito

(evviva il comunismo, evviva la libertà)

Giuseppe Spano aveva 24 anni e molta fame. In poco più di un mese aveva perso oltre 20 chili ed era diventato pelle e ossa. Quel 14 giugno 1945 non resistette e rubò un po' di burro. Fu fucilato al petto per furto.

Ferdinando Riechetti aveva 25 anni ed era pallido, emaciato. Il 15 giugno 1945 si avvicinò al reticolato per raccogliere qualche ciuffo d'erba da inghiottire. Fu fucilato al petto per tentata fuga.

Pietro Fazzeri aveva 22 anni e la sua fame era pari a quella di centinaia di altri compagni. Ma aveva paura di rubare e terrore di avvicinarsi al reticolato. II 1° luglio 1945 morì per deperimento organico.

In quale campo della morte sono

 state scritte queste storie?

A Dachau, a Buchenvald

oppure a Treblinka?

No, siamo fuori strada:

Questo è uno dei lager di Tito!

Borovnica, Skofja Loka, Osseh. E ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goli Otok, I'Isola Calva.

Pochi conoscono il significato di questi nomi. Dachau c Buchenvald sono certamente più noti, eppure sono la stessa cosa. Solo che i primi erano in Jugoslavia e gli internati erano migliaia di italiani. deportati dalla Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale e negli anni successivi, a guerra finita, durante I'occupazione titina. 

 

 I DEPORTATI DIMENTICATI IN NOME DELLA POLITICA ATLANTICA

Una verità negata sempre, per ovvi motivi, dal regime di Belgrado, ma inspiegabilmente tenuta nascosta negli archivi del nostro ministero della Difesa. Oggi il Borghese è entrato in possesso dei documenti segreti che, oltre a fornire l'ennesima prova dell'Olocausto italiano sui confini orientali, sono un terribile atto di accusa non solo nei confronti di Tito, ma soprattutto verso tutti i governi che si sono succeduti dal 1945 in poi. Partendo da quello di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, per finire con gli ultimi di Silvio Berlusconi., Lamberto Dini e Romano Prodi. Perchè nessuno ha parlato? Perché nessuno ha tolto il segreto ai documenti che provano (con tanto di fotografie) il massacro e le torture di migliaia di italiani? Semplice: la verità è stata sacrificata alla ragion di Stato. Vediamo perché.

Belgrado, nell'immediato dopoguerra, si avvia sulla strada dello strappo con Mosca ed il nascente blocco occidentale vuole a ogni costo che quel divorzio si consumi. Ma il costo l'ha pagato solo il nostro Paese il cui governo, per codardia, accetta supinamente di sacrificare sull'altare della politica atlantica migliaia di giuliani, istriani, fiumani, dalmati. Colpevoli solo di essere italiani.

"Condizioni degli internati italiani in Jugoslavia con particolare riferimento al campo di Borovnica (40B-D2802) e all'ospedale di Skofjia Loka (11-D-2531) ambedue denominati della morte" titola il rapporto del 5 ottobre 1945, con sovrastampato "Segreto", dei Servizi speciali del ministero della Marina. Il documento, composto di una cinquantina di pagine, contiene le inedite testimonianze e le agghiaccianti fotografie dei sopravvissuti, accompagnate da referti medici e dichiarazioni dell'Ospedale della Croce Rossa di Udine, in cui questi ultimi erano stati ricoverati dopo la liberazione, e da un elenco di prigionieri deceduti a Borovnica. Il colonnello medico Manlio Cace, che in quel periodo ha collaborato con la Marina nel redigere la relazione che, se non è stata distrutta, è ancora gelosamente custodita negli archivi del ministero della Difesa, lasciò fotografie e copia del documento al figlio Guido, il quale lo ha consegnato alle redazioni del Borghese e di Storia Illustrata.

 

 MANCA IL CIBO MA ABBONDANO LE FRUSTATE 

"Le condizioni fisiche degli ex internati", premette il rapporto, "costituiscono una prova evidente delle condizioni di vita nel campi Jugoslavi ove sono ancora rinchiusi numerosi italiani, molti dei quali possono rimproverarsi solamente di aver militato nelle fila dei partigiani di Tito in fraterna collaborazione con i loro odierni aguzzini..."

Ai primi di maggio del '45, dopo la capitolazione tedesca, i partigiani di Tito controllano l'intera Istria, giungendo a Trieste e Gorizia prima degli anglo-americani. Sono i giorni del terrore, del calvario delle foibe, ma anche dell'altra terribile faccia della "pulizia etnica": le deportazioni. Sono migliaia gli italiani internati nei lager jugoslavi e poche centinaia faranno ritorno a casa, dopo aver subito terribili sofferenze.

"Il vitto era pessimo e insufficiente", racconta nel rapporto il carabiniere Damiano Scocca, 24 anni, preso dai titini il 1° marzo 1945 nella caserma del Cln di Trieste, "e consisteva in due pasti giornalieri composti da due mestoli di acqua calda con poca verdura secca bollita... A Borovnica non si faceva economia di bastonate; durante il lavoro sul ponte ferroviario nelle vicinanze del campo chi non aveva la forza di continuare a lavorare vi veniva costretto con frustate ... ". " ... Durante tali lavori", afferma il finanziere Roberto Gribaldo, in servizio alla Legione di Trieste e "prelevato" il 2 maggio, "capitava sovente che qualche compagno in seguito alla grande debolezza cadesse a terra e allora si vedevano scene che ci facevano piangere. Il guardiano, invece di permettere al compagno caduto di riposarsi, gli somministrava ancora delle bastonate e tante volte di ritorno al campo gli faceva anche saltare quella specie di rancio".

Le mire di Tito sul finire del conflitto sono molto chiare: ripulire le zone conquistate dalla presenza italiana e costituire la settima repubblica jugoslava annettendosi la Venezia Giulia e il Friuli orientale fino al fiume Tagliamento.

Antonio Garbin, classe 1918, è soldato di sanità a Skilokastro, in Grecia. L'8 settembre 1943 viene internato dal tedeschi e attende la "liberazione" da parte delle truppe jugoslave a Velika Gorica. Ma si accorge presto d essere nuovamente prigioniero. "Eravamo circa in 250. Incolonnati e scortati da sentinelle armate che ci portarono a Lubiana dove, dicevano, una Commissione apposita avrebbe provveduto per il rimpatrio a mezzo ferrovia. Giunti a Lubiana ci avvertirono che la commissione si era spostata ... ". I prigionieri inseguirono la fantomatica commissione marciando di città in città fino a Belgrado. 

 

 PRIGIONIERI UCCISI PERCHE' INCAPACI DI RIALZARSI  

"In 20 giorni circa avevamo coperto una distanza di circa 500 chilometri, sempre a piedi", racconta ancora Garbin ai Servizi speciali della Marina italiana. "La marcia fu dura, estenuante e per molti mortale. Durante tutto il periodo non ci fu mai distribuita alcuna razione di viveri. Ciascuno doveva provvedere per conto proprio, chiedendo un pezzo di pane al contadini che si incontravano... Durante la marcia vidi personalmente uccidere tre prigionieri italiani, svenuti e incapaci di rialzarsi. I morti, però, sono stati molti di più... Ci internarono nel campo di concentramento di Osseh (vicino Belgrado, ndr), avevamo già raggiunto la cifra di 5 mila fra italiani, circa un migliaio, tedeschi, polacchi, croati ... ".

Chi appoggia Tito nel perseguire il

suo obiettivo di egemonia sulla

Venezia Giulia?

Naturalmente il leader del Pci Palmiro Togliatti , che il 30 aprile 1945, quando i partigiani titini sono alle porte di Trieste, firma un manifesto fatto affiggere nel capoluogo giuliano:

"Lavoratori di Trieste, il nostro

 dovere è accogliere le truppe di

Tito come liberatrici e di

collaborare con loro nel modo più

assoluto"

A confermare che la pulizia etnica è continuata anche a guerra finita sono le affermazioni di Milovan Gilas, segretario della Lega comunista jugoslava, che, in un intervista di sei anni fa a un settimanale italiano, ammette senza giri di parole: "nel 1946 io ed Edvard Kardelj andammo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana... bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Massacri di civili, violenze, torture, affogamenti di massa, mutilazioni... Così fu fatto"

 

 SKOFJA LOKA, L'OSPEDALE CHIAMATO "CIMITERO" 

E nei campi di concentramento finiscono anche i civili, come Giacomo Ungaro, prelevato dai titini a Trieste il 10 maggio 1945 "Un certo Raso che attualmente trovasi al campo di Borovnica", è la dichiarazione di Ungaro, "per aver mandato fuori un biglietto è stato torturato per un'intera nottata., è stato poi costretto a leccare il sangue che perdeva dalla bocca e dal naso; gli hanno bruciacchiato il viso e il petto così che aveva tutto il corpo bluastro. Sigari accesi ci venivano messi in bocca e ci costringevano ad ingoiarli".

I deperimenti organici, la dissenteria. le infezioni diventano presto compagni inseparabili dei prigionieri. "Fui trasferito all'ospedale di Skofja Loka. Ero in gravissime condizioni", è il lucido resoconto del soldato di sanità Alberto Guarnaschelli, "ma dovetti fare egualmente a piedi i tre chilometri che separano la stazione ferroviaria dalI'ospedale. ...Eravamo 150, ammassati uno accanto all'altro, senza pagliericcio, senza coperte. Nella stanza ve ne potevano stare, con una certa comodità, 60 o 70.Dalla stanza non si poteva uscire neppure per fare i bisogni corporali. A tale scopo vi era un recipiente di cui tutti si dovevano servire. Eravamo affetti da diarrea, con porte e finestre chiuse. Ogni notte ne morivano due, tre, quattro. Ricordo che nella mia stanza in tre giorni ne morirono 25. Morivano e nessuno se ne accorgeva ... "."Non dimenticherò mai i maltrattamenti subiti", è la testimonianza del soldato Giuseppe Fino, 31 anni, deportato a Borovnica ai primi di giugno 1945, "le scudisciate attraverso le costole perchè sfinito dalla debolezza non ce la facevo a lavorare. Ricorderò sempre con orrore le punizioni al palo e le grida di quei poveri disgraziati che dovevano stare un'ora anche due legati sospesi da terra; ricorderò sempre con raccapriccio le fucilazioni di molti prigionieri, per mancanze da nulla, fatte la mattina davanti a tutti..."."Le fucilazioni avvenivano anche per motivi futili ...", scrive il rapporto segreto riportando il racconto dei soldati Giancarlo Bozzarini ed Enrico Radrizzali, entrambi catturati a Trieste il 1° maggio 1945 e poi internati a Borovnica.

 PER ORE LEGATI A UN PALO CON IL FILO DI FERRO!

"La tortura al palo consisteva nell'essere legato con filo di ferro ad ambedue le braccia dietro la schiena e restare sospeso a un'altezza di 50 cm da terra, per delle ore. Un genovese per fame rubò del cibo a un compagno, fu legato al palo per più di tre ore. Levato da quella posizione non fu più in grado di muovere le braccia giacchè, oltre ad avere le braccia nere come il carbone, il filo di ferro di ferro era entrato nelle carni fino all'osso causandogli un'infezione. Senza cura per tre giorni le carni cominciarono a dar segni di evidente infezione e fuoriuscita di essudato sieroso purulento, quindi putrefazione. Fu portato a una specie di ospedale e precisamente a Skofja Loka. Ma ormai non c'era più niente da fare, nel braccio destro già pullulavano i vermi... AI campo questo ospedale veniva denominato il Cimitero…."Nel lager di Borovnica furono internati circa 3 mila italiani, meno di mille faranno ritorno a casa. A questi ultimi i soldati di Tito imposero di firmare una dichiarazione attestante il "buon trattamento" ricevuto. "I prigionieri (liberati, ndr) venivano diffidati a non parlare", racconta ancora Giacomo Ungaro, liberato nell'agosto 1945, "e a non denunziare le guardie agli Alleati perchè in tal caso quelli che rimanevano al campo avrebbero scontato per gli altri".

 

 TORTURE NEI LAGER DI TITO

Per conoscere gli orrori di un campo di concentramento titino è opportuno riassumere i vari tipi di punizione, come emergono dai racconti dei sopravvissuti.

La prima è la fucilazione decretata per la tentata fuga o per altri fatti ritenuti gravi da chi comanda il campo, il quale commina pena sommarie. Spesso il solo avvicinarsi al reticolato viene considerato un tentativo d’evasione. L’esecuzione avviene al mattino, di fronte a tutti gli internati.

C’è poi il "palo" che è un’asta verticale con una sbarra fissata in croce: ai prigionieri vengono legate le braccia con un fil di ferro alla sbarra in modo da non toccare terra con i piedi. Perdono così l’uso degli arti superiori per un lungo tempo se la punizione non dura troppo a lungo. Altrimenti per sempre.

Altra pena è il "triangolo" che consiste in tre legni legati assieme al suolo a formare la figura geometrica al centro della quale il prigioniero è obbligato a stare ritto sull’attenti pungolato dalle guardie finchè non sviene per lo sfinimento.

Infine, c’è la "fossa", una punizione forse meno violenta ma sempre terribile, che consiste in una stretta buca scavata nel terreno dell’esatta misura di un uomo. Il condannato, che vi deve rimanere per almeno mezza giornata, non ha la possibilità nè di piegarsi nè di fare alcun movimento.

QUESTO ERA IL TRATTAMENTO CHE I PACIFICI COMUNISTI RISERVAVANO AI PRIGIONIERI NEI LORO LAGER

Queste persone, questi martiri, non hanno avuto (stranamente) una Anna Frank o un Primo Levi che li ricordasse, che testimoniasse l'orrore dei campi di concentramento comunisti. Alle vittime dei Nazisti non manca un solo quartiere che non abbia una strada a loro dedicata.

Le vittime dei regimi Comunisti passano da sempre inosservate... E già, Anna Frank e Primo Levi erano ebrei, quindi le vittime delle guerre sono sempre e unicamente loro: gli ebrei.

Le foto che seguono sono la testimonianza che le Stragi e le Deportazioni di massa, ad opera dei post-titini, esistono ancora. Io mi chiedo:

quante persone deve arrivare ad uccidere Milosevic prima di essere condannato a un nuovo Processo di Nurimberga?

E ancora... nel caso la guerra finisse, e i genocidi gli fossero giustamente attribuiti, il Tribunale Internazionale dell' Aia,

LO CONDANNEREBBE??


Dalla costituzione dello stato di Israele ci hanno bombardato costantemente di messagggi politici subliminali, al punto di farci vedere Auschwitz anche in una ragazza che beve la Coca Cola!

TUTTI GLI ALTRI ORRORI NON CI DEVONO RIGUARDARE?

Nell'attesa vana di una Nemesi Universale... ricontiamoci, puntigliosamente, "ancora una volta", gli Ebrei uccisi dal Nazismo!

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 27 Novembre 2007 da EAGLE3584
Foto di EAGLE3584

ETTORE MUTI
(1902-1943)

 

"Il più grande temerario d'Italia"

 

Ettore Muti nasce a Ravenna il 22 maggio 1902, figlio di un impiegato dell'anagrafe. Di carattere rude sin da ragazzino, a soli 13 anni viene espulso da tutte le scuole del Regno per aver preso a pugni un professore. Non si scompone molto per questo fatto e a 14 anni scappa di casa per andare a combattere nella Prima guerra mondiale (1916), ma i Reali Carabinieri ne scoprono l’età e lo rispediscono a casa. L'anno seguente (1917) ci riprova a riesce ad entrare negli Arditi. Al fronte si distingue per le imprese spericolate e per l’incredibile audacia. Si rende famoso quando il reparto di 800 uomini al quale appartiene viene mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare. Il suo gruppo riesce nell'impresa, ma, quando alla fine arriveranno i rinforzi, degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso.
Terminata la Guerra Vittoriosa è tra i Legionari di Fiume con D’Annunzio. Il Vate gli dirà “Voi siete l'espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un'offerta senza misura, un pugno d'incenso sulla brace, l'aroma di un'anima pura”, soprannominandolo “Gim dagli occhi verdi”. In quei giorni incontra Mussolini, da cui resta folgorato e per il quale conserverà sempre una vera e propria venerazione. Tra i fondatori delle Squadre d'azione nel ravennate, più che alla politica preferisce le corse in automobile e le scazzottate contro i rivali. Il 29 ottobre 1922 è alla testa dei Fascisti che occupano la Prefettura di Ravenna in contemporanea agli avvenimenti della Marcia su Roma.
Nel 1923 è Comandante della coorte Miliziana di Ravenna, nel 1924 è nominato Console della MVSN. Nel settembre 1926 si sposa con Fernanda, figlia del banchiere Mazzotti, che tenterà invano di opporsi alle nozze. Nel 1929 nascerà la sua unica figlia, Diana.
Nel 1927 viene gravemente ferito in un attentato a Ravenna. In seguito viene spostato a Trieste dove comanda la III Legione della Milizia Portuale. Qui incontra il Duca Amedeo d'Aosta, di cui diventerà grande amico, che lo convince ad entrare nella Regia Aeronautica (1936), con il grado di Tenente.
Si distingue in Etiopia e in Spagna. Nelle fasi finali del conflitto africano entra nella Squadriglia Disperata con Ciano, col quale stringerà una forte amicizia, Farinacci e Pavolini. In Ispagna, con lo pseudonimo di Gim Valeri, guida invece una sua Squadriglia bombardando i porti spagnoli, guadagnandosi varie medaglie d'argento e, nel 1938, una d'oro. Dalla Spagna torna con il soprannome di “Cid alato” e viene insignito dell'Ordine Militare di Savoia. Nel 1938 parte per l'Albania dove si guadagna, alla guida delle truppe motorizzate, un'altra medaglia che lo fa diventare a buon diritto il petto più decorato d'Italia.
Nel 1939 Mussolini lo chiama alla Segreteria Nazionale del PNF per sostituire Starace. La sua nomina desta stupore perché se gli sono unanimemente riconosciute doti militari e coraggio inesauribile, meno evidenti sono le sue capacità politiche. Infatti non riesce a operare quel rinnovamento del Partito auspicato da Ciano, che l’aveva proposto, e Mussolini.
Scoppiato il secondo conflitto mondiale, è in seguito sostituito alla Segreteria del Partito da Adelchi Serena (ottobre 1940) ed è nella Regia Aeronautica per prendere parte attiva alla guerra col grado di Tenente Colonnello. Combatte prima in Francia, poi nei cieli d'Inghilterra con grande valore, ma si accorge subito che la guerra è stata affrontata con colpevole approssimazione e leggerezza. Smette di frequentare i Gerarchi, perdendo quella fiducia che riponeva nel Duce e anche l'amicizia che aveva con Ciano.
Nell'estate del 1943 entra nel Servizio Informazioni Militari. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, Muti manifesta apertamente il suo sdegno e si ribella a Badoglio, il quale lo rimprovera aspramente e lo pone agli arresti. La notte del 24 agosto 1943 a Fregene, in Provincia di Roma, viene vilmente assassinato dai partigiani mentre i Carabinieri lo stanno portando in carcere.
Porterà il suo nome, durante i 600 giorni di Salò, una delle più famose Brigate Nere, famosa purtroppo in negativo, che non rese certo onore all'eroe a cui era intitolata.

 
 
 

Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 23 Novembre 2007 da EAGLE3584
Foto di EAGLE3584

Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri valori, ma più ci pensiamo e più siamo orgogliosi di quello che siamo e non vorremmo cambiare mai!I nostri ideali sono contro la droga, contro l’immigrazione, contro l’aborto, Dio Patria e Famiglia, contro la pedofilia e contro ogni forma di maltrattamenti dei bambini e per la protezione degli animali.

 

La droga, di qualsiasi genere, molti non si rendono conto di quanto sia una cosa letale, una forma di suicidio lento e trucidante e una sofferenza non solo per la persona stessa che assume sostanze stupefacenti, ma anche per le persone che gli stanno accanto per quelle che gli vogliono bene, per quelle che lo vorrebbero aiutare. Ai nostri giorni sempre più minorenni ne fanno uso, cominciano sempre per scherzo con una canna e poi, senza accorgersi della gravità dopo poco passano già allo spinello come se la loro vita fosse un gioco, ma in quel gioco ogni boccata di fumo e una boccata di aria che togli alla tua vita. Non basta dire che drogarsi è una cosa sbagliata bisogna esserne convinti veramente, ma stiamo diventando tutti troppo fragili e facilmente influenzabili dal giudizio degli altri, che mettiamo in pericolo la nostra vita per non farci deridere e per far parte di un gruppo!!!!

 

Noi diciamo NO non ci stiamo a lasciare che la nostra vita prenda una via di non ritorno, non ci stiamo che siano gli altri a decidere per noi, non ci stiamo a morire perché noi la vita la amiamo!!!!! 

 

Siamo contro l’immigrazione perché siamo stanchi di uscire di casa e vedere gente che parla in africano, in russo, in marocchino, in tunisino e quant’altro…siamo in Italia?? La nostra nazione, la nostra patria sta diventando punto di ritrovo di tutte le razze, ma che Italia è se non ci abitano italiani?? La patria è la nostra eppure ogni giorno ci rendiamo conto, che in alcuni paesini ci sono più stranieri che italiani, che si stanno costruendo per loro moschee, chiese evangeliche, ritrovi per immigrati, gli aiuti che prima andavano a famiglie povere italiane ora vanno a stranieri…ma perché?? Loro valgono più di quanto vale un italiano?? E poi non riusciamo più a vedere un giornale che negli articoli di cronaca nove volte su dieci ci sono casi che riguardano immigrati: albanesi che rubano, marocchini che stuprano, tunisini che spacciano e non continuiamo perché ci schifiamo ad andare avanti, perché se vi dovessimo scrivere tutto quello che gli stranieri fanno qui metterebbero una censura alla pagina!!!

 

Allora diciamo ognuno al suo paese, ridateci la nostra patria perché l’Italia sia degli italiani!!!! 

 

L’aborto, le leggi sono favorevoli, già perché a volte alla vita non si da nessun valore come se noi abbiamo il potere di darla e toglierla quando più ci fa comodo! Anche se ancora all’inizio quello che si uccide con l’aborto è un bimbo, un tenero piccolo corpicino che con la sua vita ci fa entrare a far parte di un mondo che solo con i suoi occhi possiamo vedere, un modo ai colori dell’arcobaleno, un mondo dove non esistono i problemi, dove la cosa più importante è sorridere alla vita; ma con l’aborto si spezzano migliaia di sorrisi ancora prima di dargli la possibilità di farli! Pagheranno l’errore dei loro genitori (anche se chi pratica l’aborto non si può chiamare genitore) ad alto prezzo, perché quell’errore che nasce con l’incoscienza quei bimbi lo pagheranno con la loro vita! Un tributo che vale due occhi che non si apriranno mai per vedere la luce di quell’arcobaleno, un tributo che vale il loro mondo!

 

Il nostro è un grido che vuol dire un no all’aborto ed è per la coscienza di chi lo pratica e di chi lo permette perché l’aborto è un omicidio!!!!! 

 

Dio, Patria e Famiglia tre valori sui quali è sempre stato fondato il fascismo e che ora da veri camerati sento nostri !! 

Dio perché ci sia una sola religione quella dei cristiani, perché nei nostri cuori entri il Signore e crediamo in Lui ringraziandolo ogni giorno che ci ha dato la vita senza mai scordarci che si è sacrificato su una croce per darci la salvezza e ci ha perdonato e ci perdona ancora per tutte le volte che cadiamo nelle trappole del male, per tutte le volte che lo cacciamo dalla nostra vita e per tutte quelle bestemmie che gli rivolgono contro!!!

 

Patria perché ci sia una sola vera Nazione la nostra Italia, che sia unita e che abbia la forza di poter affrontare il mondo, che sia degnamente rappresentata e che nell’insieme delle nazioni non sia solo una piccolo punto dell’Europa, ma che sia il centro dell’Europa per la quale senza non ne sa stare!!! La nostra casa, la nostra lingua e tutte le nostre caratteristiche non vengano perse mai, ma tramandate di generazioni in generazioni e che siamo fieri di essere italiani senza mai vergognarcene!!!

 

Famiglia perché sia uno di quei valori che non si cancellino mai, che resti il rispetto dei nostri Padri e delle nostre Madri, che si abbia la forza di essere a nostra volta genitori per dare un futuro alla nostra nazione e che ai nostri figli si insegnino ad amare la vita e tutto ciò che regala!!!

 

Siamo contro la pedofilia e qualsiasi altro maltrattamento dei bambini perché solo gente infame si può permettere di prendersela con chi non ha la forza di difendersi, ma soprattutto gente che non merita il regalo della vita perché chi spezza l’innocenza e la spensieratezza di bimbi non ha diritto ad essere trattato come una persona umana, ma peggio delle bestie!! I bambini nei loro sguardi devono avere quegli occhi persi nella felicità, che riflettono la luce che brilla nei loro cuori non devono esserci bambini che nei loro occhi vedi la paura, il terrore di rimanere chiusi soli in una stanza, il disprezzo di vedere una persona approfittare e abusare di loro!!! Ma come si può avere il coraggio di fare delle azioni simili, come si può spezzare la giovinezza di dolcissimi bimbi togliendogli quello di più bello che hanno quando sono piccoli: la loro purezza?! Ma chi non ha neppure la coscienza di cui vergognarsi quando toglie ad un bambino il diritto alla felicità e glielo sostituisce con un dovere forzato di paura?!

Noi vorremmo che non accadano più queste cose e che ogni bimbo abbia la sua vita e che la possa vivere felice basta alla pedofilia!!!!

Gli animali non meritano di essere uccisi solo a scopo di soddisfare qualche capriccio di qualche donna borghese per poterli indossare nelle pellicce!! La vita non esiste solo per gli uomini ma anche per cani, gatti, uccelli, conigli e tantissimi altri animaletti!! Animali che se capitano in mani sbagliate possono capitare in mani di gente che li usa come cavia da laboratorio, senza nessun ritegno torturandoli e spruzzandogli addosso o negli occhi pozioni che per loro sono letali!!! Non è giusto che si usino degli animali per fare ciò e non è giusto che questo non faccia pensare a fare in modo che si impediscano l’utilizzo di quei poveri animali, magari cuccioli, in cose così schifose, ma soprattutto non è giusto che si dia poca importanza a loro che sono a volte gli animali che ci fanno compagnia a capitare nelle mani di quegli aguzzini perché se ciò fosse fatto ad alcune persone bene in vista non so perché ma dopo qualche giorno uscirebbero leggi che lo impediscano!!!

Basta all’uccisione di animali come cavie per esperimenti e da usare per pellicce!!!

 
 
 

GLI SKINHEADS

Post n°7 pubblicato il 23 Novembre 2007 da EAGLE3584
 
Foto di EAGLE3584

GLI SKINHEADS

Vogliamo parlare degli Skinheads perché, purtroppo, su questa parola ci sono tanti pregiudizi e tanti argomenti <STUPIDI> che infangano persone che credono in un solo ideale e sono pronti a combattere contro chi non lo rispetta.

Gli skinhead nascono in Inghilterra nel 1969 con l'incontro tra Mods e RudeBoys che danno vita alla prima ondata della scena skins. Nascono anche tanti gruppi che prendono il nome Skinheads, ma che non hanno niente a che fare con i veri Skinheads. Nella metà degli anni ‘80 Ian Stuart Donaldson leader del gruppo Skrewdriver fonda l’etichetta musicale WHITE NOISE RECORDS e nel 1987 sempre lo stesso Donaldson da vita alla rivista BLOOD AND HONOUR che raccorda in tempi brevissimi tutti i naziskinheads del Regno Unito, del Canada, degli Stati Uniti e dell’Europa che nel frattempo erano sorti.Ci furono anche tanti scontri con gli oppositori rossi che secondo i loro piani non volevano la cultura Skinheads. Passando ai giorni nostri vediamo che tante persone ignoranti e pieni di pregiudizi parlano degli Skinheads come Naziskin, ma in realtà questa parola è nata dai mass-media e purtroppo ancora oggi viene sulla bocca di tanti!!!

Gli Skinheads sono persone che vogliono rispetto della propria patria e non vogliono vedere una società multirazziale che porta solo male e disordine alla Nazione. Parlano di problemi della nazione, discutono come tanti altri di rimediare per fare della nostra una società migliore. Ma tutto questo per alcuni è violenza e disordine. Ma per fortuna ci sono anche tantissime persone che credono negli Skinheads ed ogni giorno si accorgono che Lottare per la nostra Patria è Vita!!!

                                

MAI  DOMI!!!!!!!!!!

 
 
 

Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 19 Novembre 2007 da EAGLE3584
Foto di EAGLE3584

5 dicembre 1746: la rivoluzione di Portoria
La rivoluzione genovese scoppiata in Portoria fa parte degli avvenimenti della guerra per la successione austriaca. Morto Carlo VI nel 1740, sua figlia Maria Teresa dava per certa la sua successione ritenendo che la «legge salica», la quale vietava alle donne la successione al trono d'Austria, fosse stata abolita dal padre. Di diverso avviso erano Prussia, Francia e Spagna che la ritenevano ancora vigente: infatti venne eletto imperatore il duca di Baviera che prese il nome di Carlo VII. Genova cercò di restare fuori dalla contesa.

Ma il suo tentativo fallì per l'antica rivalità con i Savoia; questi ultimi, in compenso degli aiuti che avrebbero prestato all'Austria, ebbero da Maria Teresa la promessa della cessione di diverse terre tracui il marchesato di Finale acquistato dai Genovesi da Carlo VI per una rilevante somma. «Una sottigliezza formale è che Genova entra in guerra contro il Piemonte, non contro l'Austria...» scrive Teofilo Ossian De Negri. Ai Genovesi non rimase che allearsi con gli spagnoli e i francesi, attirandosi le ire degli austriaci. E mentre all'inizio della guerra pareva che le sorti fossero propizie agli alleati genovesi, più tardi la situazione si invertì e Genova rimase da sola alle prese contro il nemico. Gli Austriaci sotto il comando del generale Brown superata la Bocchetta scesero a Campomorone e il 4 settembre 1746 entrarono in San Pier d'Arena. Il giorno 6 settembre i Genovesi dovettero accettare le gravosissime condizioni imposte dal generale austriaco Botta Adorno.

Una volta padroni gli austriaci chiesero con prepotenza grandi quantità di denaro e armi che la Repubblica possedeva per la sua difesa. Era il 5 dicembre 1746 sul tramontare quando un drappello di soldati austriaci trascinava per la via di Portoria il mortaio «Santa Caterina» prelevato alla Cava dalle alture di Carignano. Ad un certo punto la strada sprofondò sotto il peso del mortaio. I soldati chiesero in malo modo un aiuto alla gente del posto e quando un caporale alzò il bastone contro un uomo per farsi ubbidire, finalmente il popolo perdette la pazienza. E quando, gridando «Che l'inse?» (ovvero "che la incominci?" o forse "che la rompo?"), un ragazzo, il Balilla, lanciò il primo sasso, una pioggia di altri sassi venne scagliata sugli invasori austro piemontesi che furono costretti ad abbandonare il mortaio e a darsi alla fuga. Una lapide ricorda l'avvenimento: si può scorgerla all'angolo di via XX Settembre e via 5 Dicembre, strada di Portoria che è stata denominata proprio con la data dell'inizio della rivoluzione contro l'oppressore austro piemontese.

Balilla
Traendo liberamente da Vito Vitale (Breviario della Storia di Genova, Genova, 1955), ricordiamo che un punto molto controverso è l'identità personale dell'ardito monello che generosamente diede il segnale dell'insurrezione. Poiché nessuna narrazione storica e poetica contemporanea e nessun documento dà il nome del fanciullo di Portoria (anzi per lo più ne è taciuto anche il gesto) si è arrivati a sostenere che si tratti di pura leggenda. Ma la sua esistenza non può essere messa in dubbio: un dispaccio del veneziano Cavalli al suo governo in data 23 gennaio 1747 (quindi a poco più di un mese dall'avvenimento) parla di un manifesto del «nuovo governo» contenente la frase: «la prima mano onde il grande incendio si accese, fu quella di un picciol ragazzo, quel dié di piglio ad un sasso e lanciollo contro un ufficiale tedesco». Un ragazzo dunque che, non potendolo individuare, chiameremo col nome eternato da Goffredo Mameli: Giovanni Battista Perasso. Bisogna infatti ammettere che l'identificazione personale di Balilla in Giambattista Perasso, nato nel 1729 nella parrocchia di Pratolongo di Montoggio, è apparsa a un secolo di distanza, nel 1845. A lui si è contrapposto, nel 1865, un altro Giambattista Perasso nato nel 1735 nella parrocchia di Santo Stefano, in Portoria. La Società Ligure di Storia Patria, invitata dal Municipio e dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1927 a riferire sulla vessata questione ha risposto che, allo stato attuale delle conoscenze e della documentazione, non è possibile identificare con sicurezza il «ragazzo delle sassate». Diciamo quindi col Donaver che il monumento di Portoria anziché un eroe rappresenta «l'ardire generoso d'un popolo che, giunto al colmo dell'oppressione, spezza le sue catene e si rivendica la libertà».

 
 
 
 
 

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