deepblue52 il 27/10/09 alle 21:54 via WEB
Come sempre quando sono nel pieno della tempesta, della crisi, penso a come ci sono arrivato, qui.
Non voglio iniziare dall’inizio, salto i preliminari, le cose comuni, insomma niente Adamo ed Eva. Glisso su Noè, e perfino Giulio Cesare. Un breve accenno magari lo meriterebbe Plinio, visto che sono convinto, chi sa perché, che sia un mio antenato. Forse perché il mio cognome potrebbe risalire al suo identificativo, Plinio “il Vecchio”.
Poi preferisco scendere ad epoche più recenti. Il mio riferimento è mio nonno da cui ho ereditato nome e cognome. Non l’ho conosciuto, perché è morto giovane, quando mio padre aveva solo quattordici anni. Ma nella mia famiglia è sempre rimasto un riferimento. Da bambino sentivo sempre mio padre che parlando con la madre, mia nonna, quando doveva dire qualcosa d’importante diceva, “Lo giuro su Babbo!”, e questo dava solennità assoluta a quello che diceva. Di questo nonno, importante, la nonna mi raccontava delle cose, ma spesso erano le stesse, ripetute. Quella che ricorreva più delle altre, in una specie di hit parade dei ricordi, era la storia della volta che in viaggio di nozze, era sparito per tre giorni, perché lei si era attardata a parlare con una sua amica alla stazione prima di salire sul treno e raggiungerlo. L’aveva accusata di trascurarlo e, offeso, se ne era andato. Ciò che mi colpiva ogni volta che sentivo questa storia, era la netta sensazione che mia nonna fosse orgogliosa del gesto di suo marito, e anche se ero piccolo, mi veniva da pensare a come avrebbe reagito una donna dei nostri tempi. Ora, mi vedo la sua reazione, per esempio, se solo avessi protestato per una trascuratezza ben più consistente, di quella di mia nonna, altro che sparire per tre giorni. Potevo sparire per sempre.
E pensare che era iniziata in modo così diverso.
Tanto per cominciare, tutto era iniziato da una complicità istintiva, immediata. Già dalla prima volta che l’ho vista con la gamba ingessata, dopo una caduta, dovevamo badare a coprire la sua assenza dal lavoro, e poi dovevamo rivederci presto per scambiarci di nuovo quegli sguardi d’intesa, perché lei mi era proprio piaciuta e anch’io non le ero indifferente. Così la complicità è stata il filo conduttore di un innamoramento, troppi legami di amicizia, con la sorella, della sorella con la mia quasi ex moglie, troppo per avviare un rapporto che non fosse complice.
Quest’atteggiamento mi affascinava, mi irretiva sempre di più, fino a farmi avere comportamenti mai immaginati nelle mie vite precedenti.
Sulla complicità si basava lo scambio di messaggi scritti sui muri, di fronte al suo ufficio, alla curva che portava a casa mia, all’ingresso del paesino termale dove stavo per un paio di settimane quella prima “nostra” estate.
Sulla complicità si basavano i nostri racconti, sulle nostre vite, prima della “nostra”. Sui nostri ex. Mi sentivo complice quando mi raccontava del pilota di linea, greco, conosciuto a Santorini, con cui aveva scopato già la prima sera, o del cuoco della marina austriaca, che invece aveva dovuto aspettare sei mesi. Era complicità anche quando raccontava di aver vissuto in una casa popolare a Milano, con uno che aveva strani giri, giocando a fare “la Pupa del Boss”. Come quando avendola portata al casinò di Venezia, si era giocata una cifra puntando alla roulette sul numero corrispondente all’età di lei. Mi raccontava della sua vita spericolata, fatta di eccessi alla Charles Bukowski. Io ascoltavo e, pur se non sempre prendevo per vero tutto, ero affascinato da quel modo alternativo di essere o, anche solo, immaginare di essere, e ne entravo a far parte, ne diventavo, appunto, complice.
Con lei ho scoperto il sesso, non imbavagliato da inibizioni. Il primo esempio di sesso orale, sfrondato da sensi di “colpa”, non sollecitato, spontaneo. Avevo accettato come naturale la sua richiesta di farle fare il test per l’HIV, per rassicurarsi, dopo le storie del suo recente passato. Ero suo complice, e non vedevo alcuna minaccia venire da quella direzione, e quindi anche il test per l’AIDS, serviva a cancellare i legami con il vecchio e aprire un nuovo capitolo.
Mi piaceva essere travolto da questo ciclone di emotività, che sconvolgeva la mia precedente esistenza di potenziale ribelle, sempre troppo ben comportato.
Lei aveva viaggiato molto di più di quanto io potessi, allora, immaginare, e mi fossi mai permesso. Ora potevo iniziare un mio viaggio verso terre straniere alle mie, medio borghesi abitudini.
Purtroppo in tutto ciò, c’era già la crisi che oggi è cresciuta come una sequoia, da quei semini, più piccoli di quelli del sesamo.
Paradossalmente non sono state le differenze di allora a separarci oggi, ma proprio la loro scomparsa, la mancanza di racconti, di cose da dirsi, niente più sorpresa né tanto meno emozione, questo ci ha uccisi. Di cosa dovremmo essere complici oggi? Difficile trovare intrigo nel mutuo e nelle bollette.
Gli amici sono un altro capitolo doloroso. Spariti quelli che erano amici davvero e i profittatori, sono rimasti intorno solo i “cadaveri”, come appropriatamente li definisce lei. E allora che si fa questa sera, avendo respinto l’idea di un’ennesima serata a base di “Burraco”, ci si rintana in casa a vedere per la quinta volta i tre film in tv, interrotti dieci volte da interminabili serie di spot pubblicitari, offerti dalle reti televisive del nostro generoso premier, che ci diletta con film e veline tette-culi, fino al rincoglionimento generalizzato.
Meglio un videogioco. Anche lì, però, un po’ più lentamente, ma il rincoglionimento arriva uguale.
Certo rimpiango la perduta complicità, ma quale? Certo era per la trasgressiva non convenzionalità, non per il furto. Quell’episodio mi ha segnato, scoprire che ne era capace, mi ha shockato, eppure l’ho perdonato, ma anche questo si è rivelato un errore. Ogni accettazione, ogni rimozione, è poi stata, evidentemente, scambiata come una debolezza, un assenso al compromesso. Già il compromesso e il sotterfugio, le vere tombe della trasgressione, della forza rivoluzionaria. Il patetico medio borghese che ero, che definisce “grigia pantofolaia” la tramontana, che aveva arruffato la mia vita. Sono lontani anni luce, i momenti di pathos che mi avevano fatto scrivere la descrizione di una notte con cena in barca come lo spartiacque che divideva la mia vita in un “prima” e in un “adesso”. Quell’emozione si è nebulizzata come un’onda di maestrale, sullo scoglio dell’inganno e del tradimento, che già mi aveva visto inconsapevole, protagonista ovviamente, non invitato. Costruivo un castello su fondamenta che qualcuno aveva corroso, e quando le mura cedevano, cadendo nelle voragini di menzogne e di umiliazioni, mi ostinavo a costruirne di più grandi, perché reggessero progetti sempre più ambiziosi, e gli scavi clandestini, ben lungi dal fermarsi si ripetevano seguendo schemi già visti, che solo io non vedevo. Anzi quando mi sembrava di vedere qualcosa di anomalo, mi si definiva “pazzo visionario”, e il progetto continuava a crescere e quindi a crollare. Mah a tratti ci ho creduto anch’io che stavo avendo stupide allucinazioni, e riprendevo calce e mattoni. Poi inciampavo in una buca del terreno e protestavo, m’incazzavo. Davanti a quelle buche che mi facevano cadere, mi si diceva, che non esistevano, che erano frutto del mio delirio. Ma io dal fondo della buca ne protestavo l’evidenza e di nuovo venivo tacciato di visionarietà. Una volta c’è stato anche un teatro di mezze ammissioni, finti pentimenti, ed io ho abboccato, come uno di quei pesci nelle vasche di allevamento ittico, che ingoiano l’amo anche senza l’esca, e ho proposto il matrimonio.
Anche un’altra volta ho accettato un sacco di condizioni contro una, per ricominciare, e non ha funzionato, perché la rinuncia ad un abuso è stato, poi, col tempo, ritenuto un inammissibile ingerenza, nella propria vita. Mi fa incazzare, come la pretesa che i maltrattamenti e le torture di Guantanamo siano un fatto interno degli USA. E’ paradossale che se rifiuto l’abuso, è un ingerenza, un inquisitorio atteggiamento poliziesco, se taccio, allora sono consenziente e addirittura definito partecipe.
Basta.
Meglio solo che invischiato in questo squallore.
Qualche giorno fa ho provato invidia, quando ho visto la mia segretaria diventare di tutti i colori in viso, perché si è emozionata a veder comparire il fidanzato sull’uscio dello studio. Mi piacerebbe che qualcuno provi un’emozione al mio comparire che non sia noia e fastidio. L’altra cosa che mi fa andare fuori di testa è che tutti quelli che mi circondano, i miei pazienti, mi ritengano socievole, spiritoso e quasi professionalmente miracoloso, e a mia moglie sembra sbagliato e sgradevole anche il più insignificante dei gesti, o la più piccola parola, o espressione del volto. Possibile che mi rapporti con lei, ormai, in modo solo negativo?
Possibile.
Qualche dubbio ce l’ho sul versante più propriamente professionale, anche perché i miei pareri sono stati avversati per principio, accettando suggerimenti di massaggiatori, agopuntori, cattedratici falliti, guaritori in trasferta, ma poi è risultato che quanto avevo indicato era stato confermato col passare del tempo, ma ovviamente, mai riconosciuto.
Il vento che si percepisce oggi non è più la bora di cui scrivevo una vita fa, che sconvolgeva la mia testa, il mio pensiero, oggi sulla mia rosa dei venti c’è l’appiccicoso scirocco, e speriamo che non piova, che se no, è sabbia.
Una patina rossastra, scivolosa che appiattisce tutto, e tutto scompare, come durante quella tempesta desertica che a Luxor, ci costò un giorno d’inedia sul Nilo e di conseguenza, poi, una notte terrifica e senza meta per le strade di Milano, in attesa del treno che ci riportasse a casa, avendo perso la coincidenza prenotata.
Adesso, forse per crederci ancora vivi, litighiamo su tutto, ci rimproveriamo tutto. Anzi ormai nemmeno questo. Ci detestiamo, e recriminiamo in genere, a priori, in silenzio o peggio, con terze persone. Così, per convincerci sempre più di quanto l’altro sia stronzo. Tanto, che le nostre porcate, siano almeno giustificate e legittimate dall’altrui comportamento di merda. Ci spiamo in cagnesco, con la malcelata speranza di trovare conferme e prove per il verdetto, già emesso, di colpevolezza aggravata, dell’altro, che così può essere, senza appello fustigato e crocefisso, con nostro gran sollazzo. Barabba, Barabba. Grida la nostra folla interiore, inferocita. Meglio un assassino, un puttaniere, una squallida, acida depressa, che quello che avevamo creduto il nostro Amore.
(Rispondi)
|
Inviato da: emilytorn82
il 23/12/2016 alle 13:01
Inviato da: emilytorn82
il 23/12/2016 alle 13:00
Inviato da: diletta.castelli
il 23/10/2016 alle 16:28
Inviato da: sexydamilleeunanotte
il 26/08/2016 alle 11:41
Inviato da: esternoluce
il 29/12/2015 alle 17:37