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SUPPOSTA DEL GIORNO

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«Mi sono battuto perchè Enzo Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato».

Silvio Berlusconi a Tv 7, 15 febbraio 2008

 

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CANZONI CHE PARLANO

A te

Jovanotti

Safari

Il buon Baudo ogni anno ci ricorda che la canzone vincitrice del Festival è quella di cui la gente fischietta il motivo il giorno dopo la prima serata della kermesse sanremese. Sarà. Di questi tempi, però, la popolarità di una canzone si misura, oltre che con le vendite del cd singolo e con la quantità di download, anche con la presenza del brano su Youtube come colonna sonora di videoclip e audiogallery creati dagli utenti. Ecco perchè, secondo me, il brano A te, che Jovanotti ha inserito nel suo nuovo album Safari, è già un successo: non è uscito nessun videoclip, ma il popolo della Rete si è sbizzarrito a crearne a bizzeffe. Segno che questa canzone parla al cuore di molti.

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STO LEGGENDO...


Enzo Biagi

Manuale del Novecento

Rizzoli


A volte capita che non si ha molto tempo per leggere e iniziando un libro si rischia di non concluderlo mai. Allora le cose sono due: o uno si limita a leggere distrattamente i titoli dei giornali oppure si concentra sugli ingredienti dei biscotti della colazione. C'è una terza possibilità: i dizionari, divisi per voci, lunghe al massimo una pagina, che possono essere letti in qualsiasi momento libero, senza il rischio di perdere il filo. E' il caso di questo libro, in cui Enzo Biagi dice la sua sui protagonisti del secolo appena trascorso, personaggi, il più delle volte, da lui incontrati, anche se per pochi minuti. Uno dei tanti grazie che bisogna dire a questo maestro del giornalismo.

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ALBUM

Luglio 2005 013

Con Chicca e Giusi, il giorno della mia laurea, luglio 2005

Simo & Elvi

Con Simone, a Lecce, in piazza Mazzini, agosto 2005

Io al Sestriere

Al Sestriere, per le Olimpiadi Invernali, febbraio 2006

T'ann'ard! 

Con Gianpaolo al master, maggio 2006

Con Elena, durante lo stage all'Ansa, luglio 2007

CDSC01873

Con la mia macchina la notte della vittoria dell'Italia ai Mondiali, luglio 2007

IMG_0750

Sul circuito di prova di Quattroruote, febbraio 2007

A Perugia

A Perugia. il giorno della consegna del premio dedicato ad Ilaria Alpi, marzo 2007

 

Alla tipografia di Corriere e Gazzetta, maggio 2007

Con Nicola, ottobre 2007

 

MOMENTI DI VERO GODIMENTO

4 LUGLIO 2006

Dov’eravate? Sì, dove eravate quella sera? La sera del quattro luglio 2006. Alle undici, quando Fabio Grosso l’ha buttata dentro al 120’?  E poi si è messo a correre scuotendo la testa, con gli occhi del bambino che ha appena scartato il regalo di Natale? Non ci credeva neanche lui, ma con quel tiro a girare Grosso aveva appena regalato all’Italia la finale della Coppa Del Mondo.Dov’eravate? Non potete non ricordarvelo. Tutta l’Italia  è esplosa quando quel pallone si è infilato dietro le spalle di un Lehmann immobile, parabola imprendibile e irripetibile. Italia –Germania. Una partita soffertissima. Le porte  che sembravano stregate. Pali, traverse, parate. La palla che non vuole entrare. L’acido lattico che si fa sentire, perché si va ai supplementari, e la tensione aumenta. Meno male che non c’è più quel maledetto golden gol, che ci ha condannato agli Europei del 2000 e ai Mondiali del 2002.Ammettetelo. L’avete giocata pure un po’ voi, quella partita, dovunque foste. A casa vostra. Al lavoro, con un occhio o un orecchio rivolto verso la tv. Nelle piazze, che poi sono impazzite di festa. Per questo non potete non ricordarvi dov’eravate.
 

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Creato da: elvona il 24/10/2005
In continua evoluzione, ma non si sa verso dove

 

 
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CHI HA SPARATO ALLA VERITA'

Post n°96 pubblicato il 18 Marzo 2007 da elvona

Come se Ilaria non lo sapesse che la Somalia, oggi come allora, è una terra pericolosa. Che per le strade di Mogadiscio, piene di buche e di polvere,  è facile morire. Lo sapeva, Ilaria.  Era lì il 12 luglio 1993, quando vennero massacrati quattro giornalisti, due reporters britannici della Reuters, un fotografo tedesco dell’Associated Press, e un tecnico del suono. Viaggiavano su una Toyota. Tentavano di raggiungere una zona della città bombardata poco prima dagli americani. L’auto venne aggredita da una folla inferocita, a colpi di bastoni e pietre.

“In battaglia con il taccuino. Così muoiono i soldati della notizia”. Con queste parole Ilaria avrebbe poi descritto quella scena terribile, cui aveva assistito, a pochi metri di distanza.
    
La notizia del massacro arriva tra gli altri giornalisti. Le prime informazioni sono confuse. Non si sa chi e quanti siano i morti. I reporter italiani all’Hamama, l’albergo di Mogadiscio Nord che li ospitava, cominciano a contarsi. Ilaria non c’è.  Si teme che possa essere stata aggredita anche lei. Massimo Alberizzi, inviato del Corriere, dà l’allarme. Ilaria non si trova. Poi la sua voce compare sulle frequenze radio utilizzate dai giornalisti: “E’ tutto a posto, non vi preoccupate”.

Non vi preoccupate. Quante volte l’avrà ripetuto Ilaria ai suoi genitori? Loro non ci avevano neanche provato a trattenerla. Era determinata, Ilaria. Voleva ritornare in Somalia, nonostante la situazione stesse peggiorando. Nonostante ci fosse già stata altre volte, l’anno prima, a più riprese. Ma non le bastava. Voleva raccontare il ritiro del contingente italiano, il fallimento della missione internazionale di pace che lasciava la Somalia in una situazione peggiore, se possibile, di quella precedente alla missione stessa. Voleva raccontare di una terra che stava per essere definitivamente  abbandonata al suo dolore. E, soprattutto, voleva raccontare di chi, sul dolore di quella terra, aveva fatto grandi affari.

Era appena tornata dalla ex–Jugoslavia e già voleva ripartire, ma non c’era nessun operatore RAI disponibile ad accompagnarla. E’ il destino degli inviati. Devono muoversi in coppia, come gli sbirri, con un operatore. Complementari e indispensabili l’uno per l’altro.  Allora Ilaria aveva pensato a Miran Hrovatin, un cineoperatore freelance della Videoest di Trieste, conosciuto in Bosnia, qualche settimana prima.

“Pronto Miran? Ho bisogno di qualcuno che venga con me in Somalia”. Miran non ci aveva pensato due volte ad accettare. L’idea di vedere un posto nuovo lo entusiasmava. E poi con Ilaria aveva trovato un buon feeling. Così l’11 marzo s’imbarca insieme ad Ilaria a Pisa, su un aereo militare. Destinazione Mogadiscio.

“Torno presto, non preoccuparti, è come una vacanza”. Miran aveva rassicurato la moglie Patrizia, prima della partenza. Voleva sdrammatizzare. Sapeva che lei era  contraria a quel viaggio, anche se non era certo il primo in una zona a rischio. Sapeva che lei aspettava con più apprensione le sue telefonate, dopo la morte di  Marco Luchetta, Alessandro Ota, Dario D’Angelo, a Mostar, sotto i colpi delle granate, appena qualche settimana prima. “Sarò prudente, ma il lavoro è lavoro” aveva tagliato corto. E a Miran il suo lavoro piaceva.

“Bosaso, Mugne, Shifco (fondi FAI)…1400 miliardi di lire…dove è finita tutta questa impressionante mole di denaro?” Questa domanda Ilaria l’aveva appuntata su uno dei suoi taccuini, ma se la portava dentro. Voleva vedere con i suoi occhi quella strada, la Garoe – Bosaso, perfettamente asfaltata, che collegava il nulla al nulla. Voleva vedere quelle navi, donate dalla cooperazione italiana alla Somalia come pescherecci, ma che in realtà venivano usate per trasportare rifiuti tossici e armi. Quelle armi che stavano insanguinando la Somalia.Dopo quattro giorni a Mogadiscio, Miran e Ilaria volano a Bosaso. Per vedere con i loro occhi quello di cui si sussurrava: che sulla tragedia della Somalia qualcuno in Italia ci guadagnava. Insomma, Ilaria e Miran cercavano la verità. E non volevano tenersela per se’.

 Le domande più scomode si tengono per ultime. E’ un modo per non irritare l’intervistato sin dall’inizio del colloquio. Un trucco del mestiere. Infatti Ilaria, prima di arrivare alla domanda sulle navi donate dalla cooperazione, parla di tutt’altro con Abdullay Mussa Bogor, meglio conosciuto come il sultano di Bosaso. Non appena Ilaria nomina quelle navi, Bogor improvvisamente diventa evasivo. Gioca a non rispondere, tanto che Miran smette di girare. Poi ricomincia. Si è reso conto che il sultano sta dicendo qualcosa d’interessante. Ma Bogor si accorge che la telecamera è stata riaccesa. Fa capire che non vuole essere ripreso mentre dice quelle cose.  Per Ilaria è la conferma che le voci sul traffico d’armi  sono vere. Il giorno stesso telefona al Tg3, dice che lei e Miran stanno per rientrare a Mogadiscio, che ha un buon servizio. Quel servizio non andrà mai in onda. 
 

"Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri".

Così Joseph Pulitzer esortava i giornalisti a fare il loro mestiere. Cercare la verità, a costo di venirne inghiottiti. Perché le verità umane, purtroppo, non sono quasi mai piacevoli. Fanno male. A chi le scopre, in primo luogo.

Chissà cosa farebbe Ilaria, se fosse ancora qui. Chissà cosa direbbe della sua Somalia, delle Corti islamiche, dei bombardamenti americani. Oggi Ilaria avrebbe 46 anni. Chissà se sarebbe rimasta inviata di guerra o avrebbe condotto il tg da Roma. E Miran? Lui di anni oggi ne avrebbe  58. La loro vita si è fermata su una Toyota scassata a Mogadiscio, il 20 marzo 1994.  Sono passati 13 anni, e ancora non sappiamo chi ha sparato alla verità.

Elvira Pollina


Con questo articolo ho vinto il premio del concorso Festival Internazionale del Giornalismo, sezione carta stampata, "Ilaria e Miran, una storia ancora da raccontare".

A Perugia

http://www.festivaldelgiornalismo.com/concorsi.html

 
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