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Post n°18 pubblicato il 29 Gennaio 2007 da thisdeadboy

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Con molto piacere proseguo un dialogo con Ardea Cinerea, copiando lo stile con cui mi ha gentilmente risposto sul blog suo.

[AC] La Creazione ovviamente non può essere *assolutamente* autonoma. Vi sono tre modi di considerare l'unità di Creatore e Creazione, che sono poi tre modi di concepire l'identità del Creatore e delle Creature: univoca, equivoca ed analoga. La univocità è quella che caratterizza il monismo e che io criticavo in quanto toglie ogni identità, senso e valore alle cose create. L'equivocità pone Creatore e Creature come assolutamente altri l'Uno dalle altre, di conseguenza diviene anche difficile ipotizzare un nesso, figuriamoci di creazione. L'analogia stabilisce delle somiglianze e delle differenze, ed è il solo modo di impostare la questione, a mio avviso, che permette davvero di capire qualcosa. Di conseguenza, e restando nell'ipotesi analogica, la creatura è creata finita e limitata, tuttavia relativamente alla sua natura, ai suoi scopi e finalità è creata *autonoma*, cioè è capace di essere legge a se stessa, è autoregolata. Ovviamente tale capacità le viene dalla somiglianza col Creatore, così come sempre da tale somiglianza viene la sua radicale libertà, che si fonda e radica - per analogia appunto - in quella stessa libertà assoluta con cui le cose sono state create.

L'impostazione, come negarlo, è corretta e nella sua necessaria "schematicità" permette un'ampio dialogo. Potrei collocare la mia posizione all'incrocio tra analogia e monismo. Poichè il mio pensiero è frutto di una riflessione in cui metto in gioco la mia fede. Tramite un atto di fede posso accettare, anzi meglio: posso pensare ciò che non può essere detto propriamente, posso pensare ad una creazione analoga ed allo stesso tempo univoca. Così come è atto di fede accettare l'univocità di Padre, Figlio e Spirito. Rubando un'analogia da Anselmo: la libertà della natura creata è analoga a quella che si ha tra la parola (creazione) e l'essenza (creatore). La parola è, per sua natura, autonoma rispetto all'essenza, tuttavia la sua bontà sta nel suo essere vicino all'essenza, ed in ultima analisi la miglior parola non potrà mai essere l'essenza parimenti non potrà mai esserci parola senza essenza.

[AC] Bisogna però stare attenti con questo discorso, perchè potrebbe portare a dire che ad esempio, la potenzialità dello stupratore di bambini (tanto per non fare il classico esempio dei campi di concentramento) di fare quello che fa è attualizzabile in quanto si trova in Dio. Ciò che aveva spinto i cabbalisti e poi altri, su su fino a Böhme, a parlare di un "male in Dio", per quanto come una specie di impulso oscuro da sempre sottomesso al Bene. Böhme ne parla come di una potenzialità che Dio previene dall'attuarsi. Daccordo sull'esempio dell'artista, il problema restando sempre uno solo: per poter parlare di Bene e Male e conferire un valore agli atti, atti che derivano dall'attualizzarsi appunto di possibilità, noi abbiamo bisogno della *libertà*: abbiamo cioè bisogno di poter dire che quella possibilità che si è realizzata poteva realizzarsi o meno. E questo sia che essa, successivamente valutata, sia considerata un bene, sia che sia considerata un male. Se manca questo è impossibile attribuire un qualunque senso e valore agli avvenimenti: tutto si appiattisce nella "necessità".
In merito a Cristo, io non penso sia stata una potenzialità non colta, seguo un percorso ermeneutico un po' diverso: credo che quanto si è attuato fosse perfettamente consequenziale con la natura stessa di Cristo in quanto Incarnazione. E, nella visione cristiana, con una visione del sacrificio che già permeava di sé la cultura ebraica e tutta la classicità

L'attenzione è sempre d'obbligo. A tale ragione è bene sottolineare che quando affermo l'esistenza reale, nell'essere divino, di ciò che è potenziale, nella creazione, mi riferisco solo ed unicamente a ciò che, per l'appunto, è nell'esistenza reale. Ora, per quanto lo consentono le mie capacità intellettive, il mio sentire è che nel reale divino non può esistere il male. Partendo da questo presupposto mi sento di negare ad ogni atto malvagio, violento, prevaricatore, ogni potenzialità e di conseguenza ogni significatività finale. Il male è relativamente reale, la sua non è potenza, è una "forza" cieca. Conseguentemente è vero che posso parlare di Bene e Male dall'attuarsi o meno di una potenzialità, ma, attenzione è qui forse la differenza tra le nostre posizioni, chiamo "bene" l'attuarsi di una potenzialità MA non chiamo "male" il non attuarsi di quella potenzialità. Chiamo "male" l'attuarsi di una non-potenzialità, poichè dal mio punto di vista potenzialità-bene-senso-reale coincidono, in altri termini chiamo "male" ciò che non trae il valore "dall'alto". In questo senso Cristo fu una potenzialità non colta a livello storico, ciò che accadde appare consequenziale poichè si è, appunto, attuato determinando la storia, ma in quel momento storico (momento che continuamente si attua ad un livello diverso) si ebbe veramente l'occasione di abbandonare il vecchio (la storia, la consequenzialità, in altri termini: il peccato);  in virtù dell'autonomia di cui parlavi la scelta non fù compiuta.

Grazie mille AC!

 
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