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Un blog creato da fabio1972dgl il 18/12/2005

favole e scorpioni

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Bellissimo post, molto attuale: ateismo, tradimenti,...
Inviato da: Cassandra_nagra
il 30/04/2012 alle 18:30
 
Gia'...quanto e'vero.... Piacere Fabio
Inviato da: aural2
il 19/04/2012 alle 15:00
 
fabbbb... qua si comincia a preoccuparsi. eh!
Inviato da: laTremenda76
il 29/08/2011 alle 00:19
 
Tristissimo....!
Inviato da: lucciko75
il 23/08/2011 alle 10:41
 
Grazie di avermi permesso di leggerti.
Inviato da: lucciko75
il 17/08/2011 alle 12:56
 
 

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« UNO STONATOIL SOLE »

TILT EMOTIVO

Post n°61 pubblicato il 20 Aprile 2008 da fabio1972dgl

A quel tempo vivevo al terzo piano di una vecchia palazzina fatiscente con le facciate tutte scrostate. Un casermone orribile situato fuori paese e vicino alla stazione. Il mio appartamento rivolto verso nord aveva solo due finestre ed entrambe si affacciavano verso la montagna. Di giorno il sole non entrava mai, mentre la notte potevo sentire i lupi lamentare tutta la loro fame. 
Quaranta metri quadrati formavano una stanza pitturata di grigio e un bagno con piastrelle color vomito. Vomito originale tra l'altro, di qualche mio predecessore, mica vernice andata a male col tempo.
L'angolo cottura era un cucinino minusculo incastrato fra due pilastri dove potevo accendere al massimo una pentola alla volta. Io non cucinavo mai.
Non c'era un balcone e non avevo nè una cantina nè un garage. Avevo diritto al posto auto, il numero 18. Ma io non avevo la macchina.
Ero là in affitto e a parte il portinaio che tra l'altro non c'era mai, ero l'unico italiano.
Lavoravo come magazziniere in un centro commerciale. Scaricavo, spuntavo e smistavo la merce in arrivo. Capitava che lavorassi anche la domenica e che facessi straordinari. Ero sempre a corto di soldi.
Non avevo nemmeno la donna, anche perchè da mesi una specie di sfogo, simile all'acne ,mi sfigurava il collo e mezza fronte. Minuscoli foruncoli, a miglialia, si stavano mangiando la mia testa.
Andai da dottori, e farmacisti: "E' la manifestazione esterna di uno squilibrio interno, un tilt emotivo. Passerà. Per caso è sotto stress?"
Disgustato me ne andavo senza rispondere.

La sera non uscivo mai. Preferivo il computer alla televisione. Facevo molte ricerche ma finivo sempre con il guardare donne nude.
Volavo per le città di tutto il mondo, Parigi, Londra, Barcellona ma atterravo sempre su tette e culi. 
Poi per lungo tempo mi presi una fissa per le web cam piazzate sul globo. Rimanevo incantato anche per ore ad osservare la gente passeggiare in queste grandi città. Mi piacevano quelle finestre, mi facevano sentire in giro, con qualcuno. Se guardavo dalla mia finestra vedevo solo una montagna nera.
Così dalla mia stanza osservavo la gente camminare per Manattan: donne grasse con prendisole a fiori, vecchi rugosi con sigari enormi, uomini con auricolari parlare come da soli. E ancora bambini, studenti, barboni.
Rimanevo affascinato dall' indolenza di certe immagini e di come la vita attraverso quei fotogrammi sembrasse ferma.
Forse era proprio per questo che mi piaceva passare il tempo così: vedere la vita attraverso quelle immagini e vederla così noiosa, uguale alla mia, leniva un po' la mia disperazione.
Migliaia di chilomentri e la noia della mia stanza era la noia di Manatthan, di Dublino o Zanzibar.
Non ero il solo a sprecare la vita, era questo pensiero a farmi sentire meglio.
Forse era solo una mia illusione, ma almeno per qualche ora dimenticavo di grattarmi i brufoli che avevo in faccia.

Il bisogno di una donna spesso si faceva lacerante. Vedere di continuo quelle immagini di donne nude al computer contribuiva solo ad aumentare la mia depressione. Ma non avevo soldi per uscire e fare serata, e i foruncoli ormai su tutto il corpo mi rendevano sensuale e affascinate come una merda di vacca.
Nessuna donna avrebbe mai voluto far aderire il proprio corpo al mio, forse nemmeno pagando.
Pensai più volte di portare una puttana a casa. Ma il mio appartamento era orribile. Anche gli scarafaggi più pelosi non osavano entrarci.
I miei condomini erano quasi tutti arabi e avevano nomi strani. Jamal, Hani, Hubayd. Marocchini, cingalesi albanesi, pakistani forse pure una coppia turca. Io non parlavo con nessuno, appena rientravo a casa dal lavoro mi chiudevo dentro e non uscivo più. Nessuno bussava alla mia porta, ed io comunque non avrei mai aperto ad alcuno.
I marocchini del piano di sopra facevo sempre un gran baccano .Lei non si sentiva mai, lui urlava sempre. Avevano bambini, sei o sette forse, che  ridevano e piangevano in continuazione. E non stavano mai zitti, uno strazio.
Ma più di tutti io mal sopportavo i pakistani del piano di sotto. Una donna e cinque uomini che dividevano un appartamento piccolo come il mio. Non facevano altro che arrivare con sacchi della spazzatura pieni di rose che di giorno rivendevano ai semafori.
Al supermercato compravano solo cipolle. Cipolle enormi come cocomeri e rosse come peperoni.
Mangiavano solo quelle, fritte in un olio che riulitilizzavano anche per diverse settimane di fila. Cipolle la mattina cipolle a mezzogiorno cipolle dopo il tramonto. 
Ogni sera si alzava un lezzo insopportabile che mi obbligava a chiudere le finestre. Allora mi portavo un fazzoletto alla bocca e con contrazioni del ventre cercavo di respingere i conati di vomito che mi nascevano in gola. Ma capitolavo sempre e con la faccia blu correvo in bagno a vomitare. Non mi ci volle molto tempo per comprendere perchè le piastrelle del bagno avessero quella tonalità di colore. 
Io pateticamente contribuivo a mantenerla viva, mentre ogni sera moriva un po' di me.

Quel pomeriggio non stavo bene. C'era un caldo pazzesco e l'odore rancido del piano di sotto s'era già diffuso in tutta la stanza. Non riuscivo nemmeno a collegarmi ad internet. Ciondolavo a letto mezzo nudo mulinando le gambe in aria. Non avevo niente da fare e non avevo dove andare.
Ma non mi andava nemmeno di starmene così come un recluso. Mi vestii, decisi di andare un po' giù nel piccolo cortiletto. Sarei rimasto la, almeno fino a quando non sarebbero arrivati gli albanesi che di solito vi stazionavano.
Non presi l'ascensore perchè avevo voglia di muovere un po' le gambe. Al secondo piano m'imbattei nella donna pakistana. Nonostante l'afa micidiale era vestita da capo a piedi. Aveva addosso come due lenzuola e tre coperte. Puzzava di cipolla, manco a dirlo. Credo che la usassero anche al posto del sapone. Al mio passaggio si fermò volgendo la faccia contro il muro.
E la rabbia che da sempre mi portavo addosso esplose in quel preciso istante.
Il primo ceffone glielo diedi per il giorno che partì dalla sua dannata terra.
Il secondo per l'odore di cipolla che mi faceva sorbire ogni notte. Il terzo per i vestiti sporchi e assurdi che portava. Al quarto ceffone era a terra e le fui sopra.
Piangeva ma non me ne importava nulla. La penetrai con odio. Un colpo per i miei brufoli sanguinanti, un colpo per le piastrelle che avevo in bagno e un altro ancora per tutti i lupi del mondo che lamentavano un po' di fame.
Venni pensando a una donna di Manhattan col prendisole a fiori in un orgasmo senza urlo.

Presi il primo treno per la capitale. Arrivai in città che era già mattina. 
Camminai un po' senza saper dove andare poi mi diressi verso il centro cittadino.
Ad un semaforo mi trovai di fronte un venditore di rose.
Nella sua pelle gialla non potei non rivedere la pelle di quella donna, e un senso di schifo verso me e verso la vita mi fece rabbrividire.
Fece il gesto di offrirmi quei fiori.
Serrai i pugni e strinsi la mascella.
Ignaro della mia sfida lui accennò un sorriso e fece ancora il gesto di offrirmi quelle rose.
"Spiacente amico, ma non sei il mio tipo".
Qualcuno rise alla mia battuta ed io sentii i foruncoli quasi asciugarsi un po'.
Ero pronto anche alla più tragica fine, ma sebbene dal gradino più basso rincorrevo un nuovo inizio.






 
 
 
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