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Un blog creato da fabio1972dgl il 18/12/2005

favole e scorpioni

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Bellissimo post, molto attuale: ateismo, tradimenti,...
Inviato da: Cassandra_nagra
il 30/04/2012 alle 18:30
 
Gia'...quanto e'vero.... Piacere Fabio
Inviato da: aural2
il 19/04/2012 alle 15:00
 
fabbbb... qua si comincia a preoccuparsi. eh!
Inviato da: laTremenda76
il 29/08/2011 alle 00:19
 
Tristissimo....!
Inviato da: lucciko75
il 23/08/2011 alle 10:41
 
Grazie di avermi permesso di leggerti.
Inviato da: lucciko75
il 17/08/2011 alle 12:56
 
 

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UN CUORE SOLO

Post n°68 pubblicato il 22 Marzo 2009 da fabio1972dgl

Francesco è un ragazzino di sedici anni, bello, con spalle già larghe. Se ne sta seduto in disparte dentro gli spogliatoi della palestra, fruga nervosamente dentro lo zaino e con le labbra soffia in alto il lungo ciuffo che ha sulla fronte. Gli occhi, d'un azzurro cielo paradiso si muovono frenetici e scrutano tutt'intorno. Si muove lento, aspetta che tutti i suoi compagni finiscano di svestirsi prima di farlo anche lui. Sbuffa, finge di essere immerso in chissà quali pensieri, finge pigrizia. Non gli va di spogliarsi insieme agli altri, non gli va che qualcuno lo veda nudo. Non è per timidezza, lui ha un segreto da difendere. E allora si muove lento. Fa cenni con la testa come a dire "arrivo arrivo" ma più lo dice e più si frena. Aspetta che tutti spariscano dalla sua vista. Francesco ha il suo segreto, una cosa che nessuno deve sapere. I suoi testicoli sono dispari. E sono tre.

"Non ti spogliare mai nudo davanti agli altri", così gli raccomanda da sempre sua madre. E Francesco non si spoglia. Sa che è diverso, sa che nessuno lo deve vedere mai. Quante volte si è fermato da solo e nudo davanti allo specchio? Spalle braccia occhi gambe mani e piedi. Tutto perfetto e a coppie, due e ancora due. E quella maledetta palla li in mezzo, venuta chissà da dove. Come avere un grappolo d'uva tra le cosce, come avere un chiodo in mezzo alla fronte, come avere un buco dentro al cuore. E l'abbraccio di sua madre è solo un pianto insopportabile.
E la notte sempre quelle strane immagini. Vede se stesso dentro casa. Vede sua madre muoversi per le varie stanze, toccare gli interruttori e accendere le luci. E così suo padre, e così suo nonno. E vede i vicini di casa fare lo stesso. Una cosa facile per tutti, meno che per lui. Lui vede se stesso muoversi tra le stanze, pigiare i medesimi interruttori ma rimanere completamente al buio.

"Non ti spogliare mai nudo davanti agli altri". L'undicesimo comandamento, tutto per lui. "E davanti a chi mi potrei spogliare?"
La terza palla è grossa quanto una mela, forse più grande delle altre due e completamete priva di peluria. A chi potrebbe mai confidare simile segreto, chi l'ascolterebbe senza deriderlo? Chi lo comprenderebbe con un abbraccio?
Le ragazze a scuola trovano incredibile che un ragazzo così bello non ci provi mai veramente con nessuna di loro. Ormai sono tutte convinte che egli sia solo un romanticone mezzo rimbambito. Più scemo che bello. E lui è bellissimo.
"Perchè non vuoi mai fare l'amore, non ti piaccio forse?" Così finiscono sempre i suoi appuntamenti, come con Sara, l'ultima di una lunga serie.
Invece gli piace, eccome se gli piace. Gli piacciono i suoi occhi grigi e le sue lentiggini. Gli piacciono le sue tettine dure e il suo sedere alto. E da morire gli piace quella frangetta che porta su metà fronte che le dona quell' irresistibile aria da furba.

Con Sara vorrebbe confessarrsi, di lei è innamorato davvero. Le scrive così una poesia, per farle intendere qualcosa:

"Ti amerei anche se tu avessi cento bocche,
le bacerei tutte,
Ti amerei anche se tu avessi più di due tette
le conterei sempre pari
Ti amerei anche se fossi senza cuore
perchè tu sei l'amore".
La poesia non viene capita affatto. Come avere un buco in mezzo al cuore.

Jih Lo è un chirurgo cinese, Francesco legge da sempre su internet e sui giornali le sue gesta in ambito medico. E' considerato un luminare della chirurgia mondiale anche se è contestatissimo dai suoi colleghi per i suoi metodi poco ortodossi. I giornali spesso lo bollano come uno squallido stregone in cerca di notorietà, ma molti risultati parlano per lui.
Francesco nella sua stanza conserva molti degli articoli a lui dedicati:

JIH LO DIVIDE TRE GEMELLI ATTACCATI DALLA TESTA
JIH LO RICOMPONE I PIEDI ALLO SCIATORE CADUTO NEL BURRONE
JIH LO APPICCICA DUE ORECCHIE NUOVE AD UN BIMBO NATO SENZA.
A diciotto anni, con i suoi genitori, Francesco parte alla volta della Manciuria.

Jih Lo in patria è quasi sconosciuto. Considerato un memico dalla nomenclatura al potere che spesso in passato ha criticato aspramente, vive quasi in clandestinità. Riceve in un lugubre stabile più simile ad una vecchia fabbrica che ad un ospedale.
Nemmeno l'ambulatorio è di livello.Tutto è povero e spartano. C'è un lettino mezzo rotto tenuto insieme con degli elastici, e un cervello in plastca che pende dal soffitto. Pochi sono gli strumenti da medico in bella vista. Un martelletto, un termometro e poco altro. Ma ci sono due cavatappi, un imbuto, e un pennello.
Francesco non crede possa essere lui, questo famoso dottore, a salvarlo.
Jih Lo ascolta la storia di Francesco, poi lo fa sdraiare sull'instabile lettino e inizia la visita. Tocca il ragazzo con il martelletto in vari punti del corpo poi passa il pennello sotto la pianta del piede, tutto in rigoroso silenzio. A fine visita alza le gambe al ragazzo e glele fa divaricare in aria mentre si volta in cerca di qualcosa. "Speriamo non prenda il cavatappi proprio ora" pensa disperato Francesco. Invece Jih Lo afferra una grossa lente arancione, più grande della sua stessa faccia e da vicino esamina i testicoli del ragazzo.
Finita la visita Jih Lo che fino a quel momento non ha detto mezza parola, comunica il suo responso:" Non la posso operare. In mezzo ai testicoli lei ha un pezzo di cuore in più".

Tornato dalla Cina Francesco si ritrova nuovamente solo, con tutto il peso del suo problema addosso. Pensa alle donne con squilibri alimentari, troppo grasse o troppo magre, o ai tanti ragazzi divorati dall'acne, o a quel tizio al bar della stazione con quel neo grosso e peloso proprio in mezzo alla faccia. Ma nessuno di loro ha un problema come il suo, niente è paragonabile alle sue tre palle. Spesso ricorda quella sera d'estate al mare, quando in vacanza con i suoi genitori ebbe il suo primo incontro d'amore. O di disamore.
In albergo conobbe Corinne una ragazza austriaca in viaggio in Italia dopo aver conseguito il diploma a pieni voti.
Dopo qualche ciao timido da parte di entrambi una sera Corinne invitò Francesco in camera sua a bere qualcosa. Lui per evitare complicazioni si mise addosso certi bermuda strettissimi legati in vita con un pesante elastico. Solo con un coltello da cucina avrebbe potuto svestirlo contro la sua volontà.
Ma la serata andò diversamente. Corinne si mise ad aprire bottiglie di birra a ripetizione e Francesco che non aveva mai bevuto alcool in vita sua, perse il controllo di se già dopo la prima sorsata. La ragazza, viste le deboli resistenze, si buttò su di lui baciandolo con passione ovunque. Francesco euforico si lasciò andare in preda ai sensi e, dimentico di se, si tolse i bermuda.
Corinne quasi svenne quando vide Francesco nudo. Ciò che la ragazza si trovò davanti non aveva niente a che fare nè con l'educazione sessuale studiata a scuola, nè con i filmetti pornografici visti a casa di amici. Un pene piccolo piccolo puntava il soffitto, e sotto di esso c'erano tre palle tre, con quella di mezzo enorme, più grande delle altre che pulsava come il cuore di un maratoneta allo sprint finale.
Corinne cacciò un urlo spaventoso che dopo tanti anni fischia ancora tra le orecchie di Francesco.
E nella mente del povero ragazzo si stampò per sempre l'immagine di lei che copre il suo sesso con un lembo della coperta.
"Ed io avrei un pezzo di cuore in più?" Riflette Francesco ripensando al medico cinese. "Si, infatti mi sanguina anche l'anima."

Francesco è un cinquantenne invecchiato male. Seduto su una panchina al parco riordina i soliti pensieri in testa. Della bellezza di un tempo non gli rimangono che le foto e gli occhi azzurri cielo paradiso. La terza palla invece è sempre li, più tonda e pulsante che mai. Da tempo ha smesso di sognare qualsiasi tipo di svolta mentre di notte è perseguitato dal solito incubo con quelle maledette luci che rimangono spente solo per lui.
Spesso pensa a come sarebbe andata la sua vita se anzichè difendere il suo piccolo cuore in più l'avesse mostrato al mondo, per quello che era.
Pensa a Sara, alla sua frangetta e al bene che non le ha dato. "Ma che cavolo scrivi" così commentò, ridendo, la sua poesia.
Pensa anche a Corinne, alla sua espressione esterrefatta, alle sue bestemmie in tedesco mentre indicava il suo corpo.
Pensa a Jih Lo e alla sua lente colorata da sembrare un lecca-lecca gigante, e al cervello forse neanche finto appeso al soffitto.
Rivede se stesso nell'angolo più buio degli spogliatoi nascondere il pezzo di cuore in più agli amici, come fosse una colpa.
La sua intima natura l'ha condannato alla più strana perversione: nonostante i tanti flirt avuti non ha passato mai una notte intera insieme ad una donna.
Tutte le sue storie d'amore sono iniziate e finite nella breve corsa di una cerniera lampo.

Seduto sulla panchina del parco Francesco guarda il mondo passare. Fa un freddo della malora e in lontanaza sente un cane abbaiare chissà quale affanno.
Si alza, cammina veloce tra le gente, contro il vento che fischia tra i vicoli.
Si ferma sotto il vecchio palazzo lungo la provinciale dove abita.
Prende le scale, misurando il peso dei piedi sui gradini, quasi per non fare rumore.
Quando entra l'appartamento è buio.
Chiude la porta dietro di se e inizia a spogliarsi.
Quando è completamente nudo rimane fermo, immobile per qualche minuto.
Poi cerca l'interruttore della luce. Accende la luce in soggiorno. Poi in camera, in bagno, e in corridoio.
Quando tutto è illuminato si ferma davanti allo specchio con una mano davanti ai testicoli, mentre con l'altra punta una pistola contro il suo petto.

Un altro buco in mezzo al cuore. 

 












 

 

 

 

 
 
 

EGIDIO

Post n°67 pubblicato il 23 Dicembre 2008 da fabio1972dgl

Egidio non aveva amici, non ne aveva mai avuti. Con il passare degli anni si era abituato alla cosa e si era convinto che fosse anche giusta la sua solitudine. Le persone, pensava, non s'incastrano tutte perfettamente le une alle altre. Ce ne sono anche di solitarie, per indole, non affini a nessuno. E lui appunto era una di queste.
Abitava in un piccolo appartamento nel centro città, di fianco alla banca dove lavorava. Usciva a piedi e tornava piedi, cinque giorni su sette. Gli altri due stava a casa. Dove andare?
I puzzles erano la sua passione. Ne comprava spesso qualcuno e ora ne aveva uno per le mani bellissimo: il veliero Amerigo Vespucci, venticinquemila pezzi, disegnato tra cielo e mare. La sera si sedeva nella sua piccola cucina e attaccava pezzi di cielo ad altri pezzi di cielo e pezzi di mare ad altri pezzi di mare immaginandosi con la mente imbarcato sulla nave che dalle sue mani prima o poi sarebbe apparsa.
Gli piacevano i puzzles perchè erano precisi, geometrici, perfetti, proprio come lui. E avevano sempre una soluzione. Per la sua esistenza invece soluzioni non ce n'erano.
Lui era come un pezzo di puzzle buttato per errore dentro la scatola sbagliata. Uguale ma diverso dagli altri, con nessuno di veramente simile che lo abbracciasse mai.

Egidio era un tipo preciso. Preciso con l'ordine, il lavoro, la gente. Si poteva definire una persona inquadrata, stabile. Dentro in realtà bolliva. L'immobilismo dentro cui viveva si mangiava giorno per giorno parti cospicue di tutto il suo essere, sgretolandolo fino alle ossa. La sua vita, se ne rendava conto, scivolava via, come se ad un puzzle ne venissero staccati i frammenti ad uno ad uno.
Con inerzia continuava la sua esistenza senza aspettarsi nulla dal domani.

La sua vita non si era mai incastrata la vita, così come i suoi piedi non avevano mai calcato la strada giusta.
La moglie se n'era andata senza tante parole:" Sono stufa" così gli disse una sera.
L'innamoramento inziale svanì ben presto sostituito da un perenne mutismo da parti di entrambi. La moglie non parlava per insofferenza e per odio verso il marito, che sembrava sereno, in quella vita da ospizio. Lui invece rimaneva zitto perchè non sapeva più cosa dire. Si era immaginato una vita domestica diversa, con tanta intimità. Aveva invece sposato una donna che lo sfidava, che lo esaminava, che lo giudicava. "Sono stufa" diceva.
Quell'ultima sera andarono in pizzeria. Ordinarono due birre piccole, e acqua naturale. Due margherite che mangiarono avanzondone i bordi duri e gommosi, e due caffè, uno macchiato caldo. Alle 21.45 erano già di ritorno a casa. "Sono stufa", e se ne andò. Un incastro andato male.

Egidio passava otto ore al giorno tra i numeri facendoli combaciare e pareggiandoli in dare come in avere, senza sbagliare nemmeno il più decimale degli arrotondamenti. A casa era uguale. Sparpagliava i suoi puzzles sul tavolo, che poi osservava, numerava, ed esattamente incastrava anche nel più difficile disegno. In tanti anni un solo puzzle non riuscì a risolvere: dalla sacra Sindone, il volto di Gesù. Fu una delusione per lui accorgersi quasi alla fine che nella confezione mancava un singolo pezzo. E non fu di certo lui a perderlo, di questo era sicuro. Scrisse una lettera di protesta alla casa produttrice del gioco ma non ricevette alcuna risposta. Allora ne scrisse un'altra ancora più risentita ,in cui chiese addirittura i danni morali. Dopo un mese gli arrivò una scatola del gioco identica a quella che aveva ma senza le scuse che si aspettava, anzi, con una sarcastica annotazione: "Si cerchi da solo il pezzo che le manca".
Egidio, offeso, buttò tutto nella spazzatura e lasciò l'opera incompiuta.
Da quel giorno però iniziò per lui una nuova e inaspettata sofferenza: l'insonnia. Con quella frase:" Si cerchi da solo il pezzo che le manca" a tormentarlo tra le palpebre chiuse.
Una notte in preda ai sospiri un nuovo pensiero intasò la sua mente: lui era il frammento mancante del puzzle incompiuto, smarrito e senza possibilità d'incastro in un'esistenza non a lui destinata. Si alzò nel cuore della notte e tirò fuori quel vecchio puzzle con quel volto di Gesù. Mancava un frammento solo, proprio sulle labbra. Con orrore, ragionò, ecco perchè Dio non gli parlava più. Ecco la causa della sua infelicità. Pose la testa su quel volto senza bocca e cercò di prendere sonno.

Il mattino dopo non andò al lavoro. Rimase a letto volutamente e ci rimase tutto il giorno fino a che non fu di nuovo notte. Poi si mosse come un automa. Aprì un cassetto e cercò un taglierino. Prese il veliero quasi ultimato e pronto per salpare e lo distrusse. E così fece per tutti i puzzles da lui completati negli anni: Parigi, le Alpi, la Via Lattea, due gatti siamesi, un quadro di Magritte e tanti altri ancora. Lavorò per tre notti di fila finchè non trovò un pezzo simile a quello che gli mancava. Con la lametta gli diede la forma e l'arrotondomento che gli servivano e attaccò il pezzo mancante al volto di Gesù, proprio sulle labbra.

Appese il puzzle in soggiorno, come fosse un quadro. Quel volto ora sembrava parlargli: Sussurava ad Egidio un nuovo orizzonte, pezzi di cielo uniti ad altri pezzi di cielo, fatto di angoli smussati e tagli alla precisione

Raccolse tutti i frammenti rimasti in giro per casa e li mise tutti dentro uno scatolone con l'intenzione di spedire tutto alla svelta. Poi prese carta e penna e scrisse sul bigliettino una sola riga:

"HO TROVATO IL PEZZO CHE MI MANCAVA".

 

                                                                   (Auguri di buon Natale a tutti)

 
 
 

BLACKOUT

Post n°66 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da fabio1972dgl

Le notti le passavo al Blackout uno dei bar più scalcinati e rozzi di tutta la provincia. Lo scelsi proprio per la sua trascuratezza perchè in fondo mi faceva stare bene. Nonostante la dentro tutto fosse malandato l'insieme galleggiava una spanna sopra lo squallore. E una spanna sopra era già abbastanza per me in quel periodo. Di giorno annegavo ben al di sotto.
Le sedie erano quasi tutte rotte e dondolanti sulle gambe. I tavoli in legno erano sfregiati da firme fatte con chiavi o coltelli alcune vecchie anche di vent'anni. Un televisore appeso al muro rimaneva costantemente acceso, anche se nessuno lo guardava mai. Il bagno era sul retro e di certo non dovevi chiedere la chiave al barista per usarlo come in certi raffinati bar. Io poi al bar potevo starci anche delle ore ma alla toilette non andavo mai. Non sono schizzinoso ma da sempre preferisco far pipì tra le piante. Una specie d'ossigenazione, un dare e avere con la natura.
Il bar era sempre buio. Luci accese al minimo, e musica country-rock di sottofondo. 
Di fronte al televisore c'era un appeso un poster che mi piaceva tanto. Raffigurava degli operai presi a fare la pausa pranzo su una gru a centinaia di metri d'altezza. Mi dava uno strano senso di benessere vedere quelle gambe a penzoloni sopra le case, sopra la città. Io non vedevo gli operai, vedevo l'equilibrio. Era questo che mi piaceva.

La prima volta che entrai al Blackout ero già ubriaco da un pezzo. Avevo da tempo rotto con tutti gli amici, e nell'abbandonarli ero rimasto solo. Non frequentavo nessuna donna in particolare, a parte una pazza che ogni tanto mi faceva compgnia con la sua solitudine. Si chiamava Sofia, una ragazza con un sedere enorme e la pancia piatta. Non mi piaceva ma ogni tanto ci si trovava a fare serata. Non sempre finivamo a letto. Lei non sempe ne aveva voglia e io non sempre arrivavo ad averne la forza. A parte lei ero praticamente solo con le serate tutte libere. Quella sera litigammo, ed io entrai al Blackout interrompendo il mio girovagare senza senso sulla statale.
Scelsi una sgabello attaccato al bancone, e ordinai del vino rosso.
C'era un vecchietto sulla sessantina, piccolino e con i capelli lunghi sul collo, seduto non lontano da me. Mi salutò con un ciao bonario, nemmeno ci avesse legato un'amicizia trentennale. Si chiamava Luigi, "Luis" come imparai a chiamarlo per tutte le notti a venire che passai li.

Uscivo appena dopo cena e ci si trovava sempre li, i soliti quattro, cinque con il barista.
Bevevamo vino tutto il tempo, prima qualche bicchiere, poi si ordinava una bottiglia e poi ancora qualche bicchiere. A turno pagavamo tutti, anche il barista offriva qualche giro, soprattutto quando vedeva che stavamo per andarcene.
Il barista si chiamava Bruno. Era grande e grosso e fumava anche dentro al bar. Era sempre incazzato, parlava solo di calcio e d'immigrati che odiava cordilamente. Urlava spesso. Nessuno osava contraddirlo, noi ci limitavamo solo a scegliere il vino, E certe volte non facevamo neanche quello. Bevevamo quello che stappava lui, senza fiatare.
La prima volta che lo vidi non da dietro al bancone quasi stramazzai a terra dallo spavento: al posto delle gambe aveva due querce secolari. Feci a cenno a Luis. "Tas". Taci mi disse, singhiozzando una risata carica d'asma.
Un altro avventore abituale era "Frack". Lo chiamavamo Frack perchè si presentava sempre elegante con certi abiti scuri e la cravatta. Ogni sera diceva di avere un appuntamento con una donna, ma rimaneva li a bere sempre fino a tardi, e spesso se ne andava solo quando ce ne andavamo via tutti. Si metteva tanto di quel profumo addosso che nessuno lo voleva vicino di sgabello.
C'era in lui qualcosa che non mi piaceva. Aveva una disperazione diversa dalla mia o da quella di Luis. Noi eravamo abbastanza rassegnati, lui si raccontava balle. E poi anche se cambiava abito ogni sera dalla giacca tirava fuori sempre un fazzoletto sporco e stropicciato. Una tristezza.
Noi tre eravamo quelli fissi poi, c'erano degli altri ma nessuno aveva la nostra forza di resistenza e la nostra costanza.
E poi c'era Silvana. Silvana era l'amante di Bruno. Portava stivaloni e pantaloni attillati. Beveva solo vino bianco. Aveva tette enormi, anzi abnormi ma molli e flosce. Erano così cadenti che se avesse mai voluto mettere un po' in mostra il seno anzichè slacciare un bottone della camicetta avrebbe fatto prima a slacciarsi direttamente i pantaloni. Una sera lo feci a notare a Luis. "Tas". Taci mi disse sfiatando una risata.
Le nostre serata erano queste. Vino, discorsi campati in aria e ancora vino. Luis, benchè il più vecchio era il propositivo di tutti. Voleva giocare sempre a scala e Bruno scazzatissimo ci passava un mazzo di carte rubato da chissà quale pattumiera. Le carte erano girate sempre una sopra l'altra e per metterle a posto ci voleva una mano ferma che nessuno di noi aveva.
Frack voleva giocare a soldi, io volevo farci su una bottiglia, a Luis bastava giocare. I punti li tenevamo a mente perchè nessuno si sognava di disturbare ancora Bruno.
Bruno era così, lo sapevamo.
Una volta gli chiesi della musica di sottofondo.
"Hey Bruno, bella la musica qua dentro, sono dei cd che hai fatto tu? Hai scaricato musica da Internet?
"E' la radio".
"Che radio?
"La radio che c'è sulla mensola".
"Intendevo dire che stazione"
Rosso in faccia e i pugni sul tavolo: "La radio, capito?"
Capii.
Ecco, questo era Bruno.
La partita finiva puntualmente quando toccava a Luis dare le carte. Nel mischiarle qualcuna gli cadeva regolarmente a terra, ma tutti noi al tavolo facevamo finta di nulla per non doverla raccogliere. Quando le distribuiva le lanciava male e le capovolgeva. Poi lasciava cadere le carte quasi tutte nello stesso punto che dopo un po' più nessuno capiva quali fossero da prendere e quali no. Allora ti chiedeva di contarle. Così veniva fuori che c'era chi ne aveva in mano quindici chi nove. Luis s'incazzava, diceva che non sapevamo giocare e buttava il mazzo di carte su un altro tavolo. Offeso.
Allora uscivamo tutti a fumare. Solo Bruno e Silvana potevano fumare dentro, ma ci facevano compagnia fuori.
Rimanevamo li con le nostre ombre lunghe a guardare la notte. Senza discorsi senza parole.  Avevamo capito solo una cosa della vita: che non l'avevamo capita. E quindi non avevamo molto da dirci. Nessuno di noi aveva sogni e pretese di riscatto. Semplicemente passavamo le notti in cerca di una risata evitando di andare a letto troppo presto, e troppo sobri. E ci riuscivamo sempre.
Eravamo come quegli operai sulla gru, distanti dalla città, con le gambe a penzoloni sulla vita. Vita che sfioravamo appena in un equilibrio che ci proiettava sempre al di fuori di essa.
Una sera presi da parte Luis e uscimmo fuori dal locale. Gli dissi che non sarei più passato dal bar.
"Tas, tas". Taci disse, sfiatando una risata, l'ultima. Rientrò dentro al bar senza di me.

Io invece scesi dalla gru.

 
 
 

UNA GIORNATA AL MARE

Post n°65 pubblicato il 06 Settembre 2008 da fabio1972dgl

Al bivio anzichè andare diritto prendo l'autostrada. Guido e intanto chiamo il caporeparto. Pronto, si sono Fabio, oggi non posso venire al lavoro, mi è successa una cosa. No, oggi non vengo, magari entro sul tardi. Porto mia madre in un posto e mio padre in un altro, sai loro non guidano. Si fai pure il foglio, metti ferie, metti rol, metti quel che ti pare, firmo io.  Si lo so che c'è tanto da fare, ma ora sono in autostrada. Metto giù.
Bisogna uscire dal quadrato dice Ziofumo. E la vita si cambia, cambiandola un po' giorno per giorno. Oggi niente lavoro, oggi corro dietro al caso.
Vorrei andare al mare, ma il cielo è nero ovunque. Esco alla prima uscita.

Cammino per Orta. S. Giulio, tra i suoi vicoli e le rughe. Turisti inglesi ridono sguaiati davanti ad un cartello scritto in inglese. Vado a leggerlo anche io, ma non trovo l'errore. Fissano la casa dove anni fa apparve su di un muro l'immagine di padre Pio. Mi fanno alcune domande. Mai visto padre Pio in vita mia rispondo. Scattano foto, al cartello e ridono ancora. Cammino e la pioggia è sempre più fitta. Ed io che volevo andare al mare.
Ad una bancarella provo un berretto di paglia, poi uno da baseball, poi uno da cow boy. La cinesina quando metto quello da baseball ride. Ho il naso più lungo della visiera dico. Ride ma non ha capito nulla. Venti euro dice. Capisce quel che vuole. Allora comicio a gesticolare come faccio quando voglio fare il buffone, alzando le mani e mostrando il cielo. Vorrei un cappello di fustagno con la visiera a punta. Mi guarda, perplessa. E un panama montecristo ce l'hai? Come risposta mi mostra una sciarpa di lana con certi rombi colorati. Meglio lasciare perdere, senza rancore le dico e me ne vado.
Piove sempre più forte, vado a ripararmi sotti i portici. Guardo cartoline. Le passo ad una ad una. Ne ho una trentina in mano, tutte con il sole. Una ragazza magra continua a fissarmi. Ma non le ho spezzato il cuore con i miei occhiali bagnati, è semplicemente la commessa.
Vorrei una cartolina senza il sole dico. Non piove mai qui, le chiedo sotto il nubifragio. La ragazza ride. Ridono tutti qui, deve essere l'aria.
Il cielo è nerissimo e una nebbia pesante nasconde le montagne.
Con l'auto raggiungo un centro commerciale già affollato di gente. Tutti hanno fatto come me oggi? Faccio su e giù per i piani cercando di passare il tempo dignitosamente. Ma la noia è li, e quasi subito prende il sopravvento. Passo davanti una vetrina, i manichini sono nudi. Due ragazzine fissano il punto dove dovrebbe esserci il pisello, e corrono via ridendo.
Mi siedo su una panchina e guardo la gente sfilare, chi di corsa e chi sbadigliando. Una signora anziana si siede vicino a me. Piove e non può tornare a casa, suo figlio  passerà a prenderla dopo il lavoro, dopo le sei. E sono le tre e mezza. Mi dice che suo marito è morto il mese scorso ma lei compra ancora il vino che beveva lui. Mi dice che ha preso poche cose che lei mangia spesso ma mangia poco. Riso in bianco di giorno e pollo la sera. Le dico che anche un mio amico mangiava così quando si era fissato con la palestra. Chiedo se anche lei fa pesi, ridiamo assieme. Tira fuori dai sacchetti due yougrt, me ne offre uno. Oh grazie no. Lei beve il suo. Avrei preferito il vino, ma quello non me lo offre, quello è per suo marito. Quando mi alzo per andarmene mi lascia con il saluto più bello:" Salute".
Cambio monetine con dei gettoni e comincio a giocare a tennis ad un videogioco. Continuo a perdere. Non c'è modo di buttare la palla di la. Faccio diverse partite e cambio ancora i soldi. Una ragazzina mi guarda giocare. Devo essere uno spettacolo pietoso. Mi dice che sbaglio i tasti. Mi dice lei quando schiacciare il rosso o quando il blu. Perdo lo stesso. Le dico se vuole giocare. Dice di no, metto due gettoni e la sfido. Schiaccia quei tasti come una matta. Sembri una dattilografa le dico. Faccio solo un punto e solo perchè lei fa doppio fallo. Finiamo di giocare e lei scappa da sua madre che le chiede chi era quel signore. Oh cavolo sono io quel signore.
Vado verso l'uscita. La porta girevole continua a buttare dentro gente. Piove ancora e io sono stufo di guardare il cielo. Non mi rallegra nemmeno l'idea che dovrei essere al lavoro.
Poi mi arriva un messaggio da un collega. E' una foto, SIAMO TUTTI QUI, recita la didascalia. Foto di gruppo con birre medie in bella vista.
Aspetto un po' e poi chiamo. Sono tutti al bar. Una tromba d'aria ha provocato un guasto elettrico agli impianti e hanno mandato tutti a casa. Manco solo io. C'è anche l'impiegata bionda che mi piace, ha chiesto di me. Ad essere li.
Ma tu dove sei ora? Con i piedi dentro una pozzanghera rispondo: al mare.

Il caso ci cammina a fianco e ci tiene per mano, forse non c'è bisogno di saltare. Inutile cercare di afferrarlo, è lui che ci tieni stretti, qualche volta è come un abbraccio e ci fa una carezza altre volte se ne frega e ci lascia da soli.
La strada ad ogni bivio la sceglie lui.
Ziofumo fai andare quelle dita, ma non troppo. Stasera passo io, e ti voglio bello sveglio






 
 
 

IL MIO AMICO GIOVANNI

Post n°64 pubblicato il 11 Luglio 2008 da fabio1972dgl

"Sono Giovanni".
"Giovanni chi"? Dico spazientito al maledetto citofono.
"Oh Fabio, sono Giovanni, Ziofumo, il tuo migliore amico".
Gli apro il portone e lo faccio salire.
A parte che non è il mio migliore amico, visto che io di amici non ne ho nè di migliori nè di peggiori, credo che l'ultima volta che qualcuno l'abbia chiamato con il nome di battesimo fu durante il servizio militare. E forse solo la prima settimana. Per tutti lui è Ziofumo.
Lo faccio entrare. La stessa faccia stravolta e gli stessi vestiti di sempre. Porta una felpa colorata e un giubbino smanicato sopra. Estate e inverno sempre alla stessa maniera.
Prendo da bere e lo faccio sedere.
"Allora?" Chiedo.
E allora se ne sta seduto immobile a fissare il tavolo. Mica si muove. Sta li impalato come statua di bronzo. Nemmeno assaggia la birra che gli ho messo davanti. E sospira. Sospiri lunghi e profondi, prende l'aria direttamente dai talloni.
Poi attacca: "Il mondo è una piastrella":
Ecco, hai fatto bene a citofonare. Meno male che sei passato a dirmelo. Non rispondo nulla, aspetto che vada avanti da solo.
"La vita è così. Tante piastrelle una in fila all'altra in una stanza senza porte".
Ora è tutto più chiaro, sorrido.
"Dai Fabio, non ridere. Se vengo a parlarne con te è perche siamo amici. Sei l'amico migliore che ho."
Ne dubito, io non sono nè il meglio nè il peggio per nessuno, da almeno trentacinque anni.
"Vedi Fabio, la vita è così". Con le dita disegna rettangoli immaginari sul tavolo. "Viviamo tutti nel solito quadrato. Non ne usciamo mai. Vedi io ti dico questa cosa, ma tu non mi prendere per pazzo per fumato o per altro, sto parlando seriamente."
Si passa la mano tra i capelli, fissa un punto sul tavolo che diventa il punto del suo discorso, intorno a quel punto disegna un rettangolo. "Vedi, noi siamo qui, e da qui non ci muoviamo. La solita via, i soliti passi".
"Beh, si possono mischiare le carte nella vita" dico a mia sorpresa interessato.
"Eh no, allora non mi ascolti". Quasi gli trema la voce. Abbassa la testa sul tavolo e fissa il punto di prima. Anche io abbasso la testa. Fissiamo tutti e due quel punto del tavolo per cinque minuti, in silenzio. Poi ci guardiamo, per altri cinque. Mi guarda attonito. Io non dico nulla per non confonderlo.
"Non è che hai del vino, che la birra mi gonfia un po'"
Mi sa che è andato in confusione da solo.
Prendo una bottiglia di vino rosso, un Sangiovese d'annata che spaccherebbe lo stomaco anche ad un gorilla.
"Vedi Fabio, puoi mischiare le carte quanto vuoi, ma in mano ne hai una o due. Sei sempre li, inglobato in una situazione, in un meccanismo già predefinito. Ti sposi? Sei su quella piastrella. Divorzi? Saltelli sull'altra. Non ti sposi? Manco a dirlo, ce n'è una pronta da una vita, di vita così. Oh Fabio, non c'è nulla da fare, non si può uscire dal quadrato. Vedi io ti parlo così, ma tu non mi prendere per pazzo per fumato o per altro. Fabio non ci sono vie di fuga, devi ammetterlo."
"Ma dai, cosa dici, cambiare donna, cambiare lavoro, non è scompaginare la vita?"
"Cambiare donna, cambiare lavoro". Mi fa il verso con la voce. "Puoi cambiare casa, farti biondo, iscriverti in palestra, partire per l'India come no, mettere al mondo un figlio o due, poi puoi avere un'esperienza gay e allora?". E' stravolto.
"Non c'è spazio per vivere davvero. Fabio vivacchiamo tutti dentro al nostro quadrato chiusi tra paure ed abitudini, ci crediamo protetti ma invece siamo legati ai nostri schemi mentali. E quando ce ne accorgiamo è tardi e siamo vecchi per fare tutto". Spossato beve un sorso di vino, e fa una faccia strana.
"Vuoi saperne un'altra? Io non ho foto. Non esistono mie foto. Ho trentasei anni e non ho foto mia. Dov'ero a venticinque anni Fabio?".
"Stavi in piazza a vendere fumo".
"Si ok, ma che facevo, cosa speravo, dove andavo, nessuno lo sa, e non c'è una foto, una foto sola a ricordarlo. Non ho forse vissuto Fabio?".
Ora da una sorsata alla birra. "In piazza mi conoscono tutti, tutti mi salutano, padani, immigrati, ricchi, drogati e carabinieri."
"A proposito ma perchè non ti hanno mai arrestato?"
"Ma se la lo vendo anche a loro il fumo, Fabio".
Già giusto.
Non parla più, stringe forte il bicchiere tra le mani come a voler afferrare tutta la vita che gli è sfuggita negli anni.
"E se mi facessi prete, o frate? Mi ci vedi come frate Fabio?"
Provo a immaginarlo. Vedo una felpa colorata e un giubbino smanicato sopra una tonaca.
"No, non ti ci vedo Ziofumo"
"Nemmeno io".
Rimaniamo un po' in silenzio, poi si alza mi saluta e se ne va.
Vado in cucina a lavare i bicchieri. Guardo le piastrelle, le osservo ad una ad una. Tante vite tutte uguali. Con un dito seguo la via di fuga tra una e l'altra. Faccio tutta la parete, fino a quando le piastrelle non finiscono contro il muro bianco.

No Giovanni, non ti prendo per pazzo, per fumato, o per altro.







 
 
 
 

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UNO SGUARDO ALTROVE

 

IO

Io amo, non corrisposto, l'ozio

scrivo due post al mese
uno lo pubblico
l'altro lo cancello

questo mese ho pubblicato quello sbagliato:

questo.

Se qualcuno
per caso,
trovasse una bozza piena d'amore

sappia
che era la mia.

Rimasta mio malgrado
lettera morta.

 

I MIEI MIGLIORI AMICI

Fante John  John Fante

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Charles Bukowski

 

DA LEGGERE E RILEGGERE

DINO BUZZATI  - Un Amore -

JOSE' SARAMAGO  - l'Uomo Duplicato -

ERRI DE LUCA  - Il Contrario di Uno -

CHARLES BUKOWSKI  - Panino Al Prosciutto -

JOHN FANTE  - Chiedi Alla Polvere -

 

MUSICA IN AUTO

GOMEZ  - Split the Difference -

NEGRAMARO  - Mentre Tutto Scorre -

MAD SEASON  - Above -

ROLLING STONES  - Hot Rocks  1964-1971 -

VINICIO CAPOSSELA  - Canzoni a Manovella -

 
 
 
 

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