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Un blog creato da fabio1972dgl il 18/12/2005

favole e scorpioni

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Bellissimo post, molto attuale: ateismo, tradimenti,...
Inviato da: Cassandra_nagra
il 30/04/2012 alle 18:30
 
Gia'...quanto e'vero.... Piacere Fabio
Inviato da: aural2
il 19/04/2012 alle 15:00
 
fabbbb... qua si comincia a preoccuparsi. eh!
Inviato da: laTremenda76
il 29/08/2011 alle 00:19
 
Tristissimo....!
Inviato da: lucciko75
il 23/08/2011 alle 10:41
 
Grazie di avermi permesso di leggerti.
Inviato da: lucciko75
il 17/08/2011 alle 12:56
 
 

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L'AMERICANO

Post n°63 pubblicato il 22 Giugno 2008 da fabio1972dgl

Washington, è un ragazzo brasiliano. Tutti lo chiamano l'americano, ma lui viene dal Brasile. E' arrivato qua con sua madre. Sua madre è una donna sulla quarantina, alta bella e giovane. In Brasile faceva la barista. Grossi seni, denti bianchi e gambe dure, faceva innamorare tutti gli uomini.
Di lei si è innamorato pure Giancarlo. E' lui che l'ha portata in Italia. Prima l'ha portata a casa e poi all'altare. Tanto innamorato di lei, che si è portato dietro pure Washington, questo bel ragazzo detto l'americano.

Washington fa il parrucchiere. Non per conto suo, ma in un negozio dentro al centro commerciale. Il lavoro gliel'ha trovato Giancarlo.
All'inizio il proprietario gli faceva solo scopare per terra, tenere le spazzole pulite e riordinare rasoi e colori.
Un pomeriggio il capo gli ordina di lavare una testa. Washington è colto di sorpresa, così senza preavviso e senza aver mai provato prima. Il proprietario prende da parte il ragazzo e sottovoce dentro ad un orecchio gli sibila poche istruzioni: "L'acqua non deve essere nè troppo calda nè troppo fredda. Con le mani non devi andare nè piano nè veloce. Guai se il cliente si lamenta". Washington è emozionato.
La testa che deve lavare è di un uomo di sessant'anni, quasi calvo. Ha i capelli solo sopra le orecchie e sulla nuca. In mezzo alla testa ha un neo brutto e peloso che sembra quasi un ragno. Una cosa orribile da vedere e da toccare. Washington lava quella testa schizzando un po' di schiuma sulla faccia del cliente, che però non si lamenta.
Il cliente è Giancarlo, il marito di sua madre.
Quel giorno Washington scopre l'odio.

Washington porta solo jeans attillati su sedere e gambe, indossa camicie e magliette aderenti e non ha un filo di pancia. Sembra proprio un modello. E' bello e lo sa. Non beve non fuma e non si droga. Sculetta e fa tanta palestra. Li lo chiamano l'"americana" da quando ogni giovedì sera segue il corso di step con le donne. Ma lui se ne frega, tira su la maglietta e mostra gli addominali allo specchio. Le donne del corso sono pazze di lui, con ogni scusa lo toccano e lo baciano. Lui sorride e salta, con il culo sempre più in alto.
Quando torna a casa dagli allenamenti spesso trova Giancarlo in tuta anche lui.
"Sono andato a correre, non ho più pancia, e guarda che gambe". A volte si azzarda a prendere le mani di lui e di posarsele sul corpo. Oppure si spertica in complimenti non troppo graditi " Stai diventando sempre più bello ragazzo mio, ed io invecchio".

Ormai al negozio i capelli li lava sempre lui. E' molto apprezzato, specie dalle donne. "Tu non lavi, tu massaggi, mi sento ritemprata" gli dicono.
Il primo di ogni mese si presenta anche Giancarlo. Ha sempre meno capelli ma non salta mai un appuntamento. Washington lo accompagna, gli mette l'asciugamano intorno al collo e gli regola lo schienale della poltrona. Usa modi gentili, ma queste visite lo irritano.
Giancarlo chiude gli occhi, e non per proteggersi dalla schiuma. Si lascia cullare dai movimenti morbidi del ragazzo. Sente le sue dita sulle tempie, i polpastrelli sulla fronte, prova in quei pochi minuti le più dolci carezze della sua vita.

Quella sera sono a casa soli. Non hanno mai parlato molto loro due, d'altronde cosa mai avrebbero dovuto dirsi, faticano anche solo guardarsi.
Washington si alza e va verso il bagno e apre l'acqua della doccia. Giancarlo allora si alza anche lui. La porta del bagno è solo socchiusa e Giancarlo tentato mette l'occhio dentro la fessura. Vede Washintgon nudo guardarsi alla specchio, magro e muscoloso, con il sesso in tiro. Giancarlo entra, Washington si volta senza sorpresa. Giancarlo trema, non sa perchè è li. O forse lo sa, e se ne vergogna.
Washington entra nella doccia e si lava davanti a Giancarlo che l'osserva quasi in lacrime. E' terrorizzato ed eccitato insieme non riesce ad andarsene.
"Passami un asciugamano" ordina Washington.
Giancarlo ne prende uno e glielo porge.
Ora sono vicini uno di fronte all'altro.
Washington si asciuga poi arrotola l'asciugamano bagnato al collo di Giancarlo che senza rendersene conto cade a terra senza fiato.
Ora si trova in ginocchio davanti a lui.
Washington strofina l'asciugamano sul collo di lui. Nè con forza nè con dolcezza. Le sue mani non sono nè veloci nè lente. Un colpo solo. Secco.

E cancella quel neo dalla sua vita. Per sempre.

 
 
 

IL SOLE

Post n°62 pubblicato il 04 Giugno 2008 da fabio1972dgl

T'inventerò. Credo che a forza di pensarci riuscirò a farti apparire in un luogo, in uno spazio. Non avrò bisogno di attrezzi o di chissà che aggeggi tra le mani. Gli occhi, chiusi, andranno benissimo.
Ti disegnerò come un bimbo disegna un sole in mezzo al cielo azzurro.
Come quei pasticci che da piccolo facevo anche io. Certi paesaggi con delle montagne alte fino alle fine del foglio e delle case enormi e curve, con certi camini da cui spuntava un fumo obliquo che si perdeva in mezzo ad un fiume nato dal nulla.
E quel sole giallo in mezzo al blu, colorato a tutta forza, al centro di tutto. Era la prima cosa che disegnavo, con incredibili raggi lunghi che abbracciavano. 

Così ti sto inventando io. Oggi, ieri, ieri l'altro, sempre.
Chissà la tua faccia quando mi vedrai. Nulla in me è al posto giusto: naso, casa, lavoro, capelli, ambizioni, tentazioni tutto è sparpagliato in uno sconclusionato disordine.
E' che io ho iniziato con il sole, e non sono andato avanti con il resto. E in quel poco c'ho messo tutta la malavoglia possibile.
Sbrigati a venire, prima che mi finisca il giallo.
Le montagne la prossima volta le disegnerò più basse, e sul fiume metterò una barca per farti arrivare. Promesso.
Sbrigati però, sto disegnando l'ultimo raggio. Ce ne sono tanti, enormi, per te.
E mi stanno morendo tutti in quel fiume nato dal nulla.



 




 
 
 

TILT EMOTIVO

Post n°61 pubblicato il 20 Aprile 2008 da fabio1972dgl

A quel tempo vivevo al terzo piano di una vecchia palazzina fatiscente con le facciate tutte scrostate. Un casermone orribile situato fuori paese e vicino alla stazione. Il mio appartamento rivolto verso nord aveva solo due finestre ed entrambe si affacciavano verso la montagna. Di giorno il sole non entrava mai, mentre la notte potevo sentire i lupi lamentare tutta la loro fame. 
Quaranta metri quadrati formavano una stanza pitturata di grigio e un bagno con piastrelle color vomito. Vomito originale tra l'altro, di qualche mio predecessore, mica vernice andata a male col tempo.
L'angolo cottura era un cucinino minusculo incastrato fra due pilastri dove potevo accendere al massimo una pentola alla volta. Io non cucinavo mai.
Non c'era un balcone e non avevo nè una cantina nè un garage. Avevo diritto al posto auto, il numero 18. Ma io non avevo la macchina.
Ero là in affitto e a parte il portinaio che tra l'altro non c'era mai, ero l'unico italiano.
Lavoravo come magazziniere in un centro commerciale. Scaricavo, spuntavo e smistavo la merce in arrivo. Capitava che lavorassi anche la domenica e che facessi straordinari. Ero sempre a corto di soldi.
Non avevo nemmeno la donna, anche perchè da mesi una specie di sfogo, simile all'acne ,mi sfigurava il collo e mezza fronte. Minuscoli foruncoli, a miglialia, si stavano mangiando la mia testa.
Andai da dottori, e farmacisti: "E' la manifestazione esterna di uno squilibrio interno, un tilt emotivo. Passerà. Per caso è sotto stress?"
Disgustato me ne andavo senza rispondere.

La sera non uscivo mai. Preferivo il computer alla televisione. Facevo molte ricerche ma finivo sempre con il guardare donne nude.
Volavo per le città di tutto il mondo, Parigi, Londra, Barcellona ma atterravo sempre su tette e culi. 
Poi per lungo tempo mi presi una fissa per le web cam piazzate sul globo. Rimanevo incantato anche per ore ad osservare la gente passeggiare in queste grandi città. Mi piacevano quelle finestre, mi facevano sentire in giro, con qualcuno. Se guardavo dalla mia finestra vedevo solo una montagna nera.
Così dalla mia stanza osservavo la gente camminare per Manattan: donne grasse con prendisole a fiori, vecchi rugosi con sigari enormi, uomini con auricolari parlare come da soli. E ancora bambini, studenti, barboni.
Rimanevo affascinato dall' indolenza di certe immagini e di come la vita attraverso quei fotogrammi sembrasse ferma.
Forse era proprio per questo che mi piaceva passare il tempo così: vedere la vita attraverso quelle immagini e vederla così noiosa, uguale alla mia, leniva un po' la mia disperazione.
Migliaia di chilomentri e la noia della mia stanza era la noia di Manatthan, di Dublino o Zanzibar.
Non ero il solo a sprecare la vita, era questo pensiero a farmi sentire meglio.
Forse era solo una mia illusione, ma almeno per qualche ora dimenticavo di grattarmi i brufoli che avevo in faccia.

Il bisogno di una donna spesso si faceva lacerante. Vedere di continuo quelle immagini di donne nude al computer contribuiva solo ad aumentare la mia depressione. Ma non avevo soldi per uscire e fare serata, e i foruncoli ormai su tutto il corpo mi rendevano sensuale e affascinate come una merda di vacca.
Nessuna donna avrebbe mai voluto far aderire il proprio corpo al mio, forse nemmeno pagando.
Pensai più volte di portare una puttana a casa. Ma il mio appartamento era orribile. Anche gli scarafaggi più pelosi non osavano entrarci.
I miei condomini erano quasi tutti arabi e avevano nomi strani. Jamal, Hani, Hubayd. Marocchini, cingalesi albanesi, pakistani forse pure una coppia turca. Io non parlavo con nessuno, appena rientravo a casa dal lavoro mi chiudevo dentro e non uscivo più. Nessuno bussava alla mia porta, ed io comunque non avrei mai aperto ad alcuno.
I marocchini del piano di sopra facevo sempre un gran baccano .Lei non si sentiva mai, lui urlava sempre. Avevano bambini, sei o sette forse, che  ridevano e piangevano in continuazione. E non stavano mai zitti, uno strazio.
Ma più di tutti io mal sopportavo i pakistani del piano di sotto. Una donna e cinque uomini che dividevano un appartamento piccolo come il mio. Non facevano altro che arrivare con sacchi della spazzatura pieni di rose che di giorno rivendevano ai semafori.
Al supermercato compravano solo cipolle. Cipolle enormi come cocomeri e rosse come peperoni.
Mangiavano solo quelle, fritte in un olio che riulitilizzavano anche per diverse settimane di fila. Cipolle la mattina cipolle a mezzogiorno cipolle dopo il tramonto. 
Ogni sera si alzava un lezzo insopportabile che mi obbligava a chiudere le finestre. Allora mi portavo un fazzoletto alla bocca e con contrazioni del ventre cercavo di respingere i conati di vomito che mi nascevano in gola. Ma capitolavo sempre e con la faccia blu correvo in bagno a vomitare. Non mi ci volle molto tempo per comprendere perchè le piastrelle del bagno avessero quella tonalità di colore. 
Io pateticamente contribuivo a mantenerla viva, mentre ogni sera moriva un po' di me.

Quel pomeriggio non stavo bene. C'era un caldo pazzesco e l'odore rancido del piano di sotto s'era già diffuso in tutta la stanza. Non riuscivo nemmeno a collegarmi ad internet. Ciondolavo a letto mezzo nudo mulinando le gambe in aria. Non avevo niente da fare e non avevo dove andare.
Ma non mi andava nemmeno di starmene così come un recluso. Mi vestii, decisi di andare un po' giù nel piccolo cortiletto. Sarei rimasto la, almeno fino a quando non sarebbero arrivati gli albanesi che di solito vi stazionavano.
Non presi l'ascensore perchè avevo voglia di muovere un po' le gambe. Al secondo piano m'imbattei nella donna pakistana. Nonostante l'afa micidiale era vestita da capo a piedi. Aveva addosso come due lenzuola e tre coperte. Puzzava di cipolla, manco a dirlo. Credo che la usassero anche al posto del sapone. Al mio passaggio si fermò volgendo la faccia contro il muro.
E la rabbia che da sempre mi portavo addosso esplose in quel preciso istante.
Il primo ceffone glielo diedi per il giorno che partì dalla sua dannata terra.
Il secondo per l'odore di cipolla che mi faceva sorbire ogni notte. Il terzo per i vestiti sporchi e assurdi che portava. Al quarto ceffone era a terra e le fui sopra.
Piangeva ma non me ne importava nulla. La penetrai con odio. Un colpo per i miei brufoli sanguinanti, un colpo per le piastrelle che avevo in bagno e un altro ancora per tutti i lupi del mondo che lamentavano un po' di fame.
Venni pensando a una donna di Manhattan col prendisole a fiori in un orgasmo senza urlo.

Presi il primo treno per la capitale. Arrivai in città che era già mattina. 
Camminai un po' senza saper dove andare poi mi diressi verso il centro cittadino.
Ad un semaforo mi trovai di fronte un venditore di rose.
Nella sua pelle gialla non potei non rivedere la pelle di quella donna, e un senso di schifo verso me e verso la vita mi fece rabbrividire.
Fece il gesto di offrirmi quei fiori.
Serrai i pugni e strinsi la mascella.
Ignaro della mia sfida lui accennò un sorriso e fece ancora il gesto di offrirmi quelle rose.
"Spiacente amico, ma non sei il mio tipo".
Qualcuno rise alla mia battuta ed io sentii i foruncoli quasi asciugarsi un po'.
Ero pronto anche alla più tragica fine, ma sebbene dal gradino più basso rincorrevo un nuovo inizio.






 
 
 

UNO STONATO

Post n°60 pubblicato il 10 Aprile 2008 da fabio1972dgl

Quando balliamo la testa la muoviamo tutti allo stesso modo. Ad ogni colpo di basso o di rullante dondoliamo il collo su e giù, mandiamo gli occhi fuori dalle orbite e sorridiamo con mezza bocca.
Ma mica si balla con la testa. Si balla con le gambe. Quindi  bisogna essere armonici con il corpo, altrimenti mica è un bel vedere.
Io sono disarmonico. Non c'è ritmo cui riesca stare dietro. Non c'è tempo che il mio piede riesca a battere.
Siccome non riesco ad andare a tempo saltello freneticamente, come impazzito. Mi fermo e rinizio. Più che un ballo la mia è una specie di rincorsa.
Io poi, è come se fossi atono. Sono privo di qualsiasi estensione vocale. Canto così male che nessuno sentendomi mi ha mai lasciato finire una strofa.  E non ho mai cantato un solo ritornello in vita mia.
Ovunque mi trovi se solo provo ad accennare un motivetto già dopo qualche secondo si materializza il solito rituale: arriva chi, appoggiandomi fraternamente una mano sulla spalla, non mi chieda:" La sai tutta?".
Le note alte mi sfuggono in aria, mentre quelle basse mi cascano addosso.
Non sono fatto per ballare, non sono fatto per cantare.
Illuso, ho comprato una chitarra. Le vendono già scordate, ho scoperto.
Ho acquistato anche un manuale per studiarla. Il libro spiega tutto. Come accordare lo strumento, come arpeggiare, come tenere il tempo. Insegna accordi, scale, e stili.
Dopo otto mesi di studio ed esercitazioni l'unica cosa che ho imparato bene è allacciare la tracolla al manico.

Invidio chi fischietta con facilità qualunque melodia, chi è in grado di tirare giù le note di una canzone appena ascoltata. Io davvero non riesco, e la cosa  un po' mi fa stare male.
Credo ci sia al mondo un'armonia che io non sarò mai in grado di percepire.
Così come credo ci sia una parte di me che rimarrà sempre inascoltata.
Io vivo in una tonalità tutta mia.
Non sarei un buon elemento per nessuna orchestra, per nessun coro.
Direttore, tenga pure in tasca la sua bacchetta, con me non serve.
Mi domando solo se mai troverò qualcuno disposto ad ascoltare le mie stonate canzoni.
Qualcuno che dirà : "Cantala tutta, Fabio. Canta per me".
Fino alla fine











 
 
 

UNA NOTTE

Post n°59 pubblicato il 14 Marzo 2008 da fabio1972dgl

Appesa alla parete c'è una gigantografia della BUD e sotto c'è Silvia che balla mezza nuda tutta la musica che ha in corpo. Le sue tette saltano a sessanta colpi al minuto. Il barista, un tipo grosso con maglietta sudata e la scritta MACHO sui pettorali, non smette di fissarla. Prepara quasi solo gyn-lemon, mettendo a caso tonica, gyn e ghiaccio.
Dall'altra parte del locale ,Diego, un tipo magro con gli occhiali scuri in testa osserva il movimento. Ha il culo incollato al pilastro e con un piede tiene il tempo. Qualche metro più in la c'è Rossella che balla in mezzo alla pista, è completamente fatta dopo che qualcuno le ha messo una pastiglia in bocca con la bocca.
Davanti all'ingresso dei bagni c'è Riccardo, ha già vomitato due volte ed ha l'uccello in tiro. Ha una mano in tasca e di continuo si tocca la punta del pisello per farselo venire duro duro.
Il barista con le ascelle sempre più sudate  è tutto incazzato perchè non trova più i limoni. Grida, "Stefano". Ma Stefano non arriva. "Stefano!".
Qualcuno ha presentato a Serena un certo Matteo. Vanno di lingua seduti sui divanetti e Matteo non si accorge che il  telefonino gli scivola dalla tasca e va sul pavimento. Finisce vicino al piede di Diego che con noncuranza gli tira una pedata e lo lancia lontano.
Alessandro e Andrea sono fermi impalati come due coglioni da almeno un'ora, non hanno ancora bevuto nulla perchè ai bar c'è troppa coda . Hanno addosso la giacca del vestito elegante che di solito non mettono mai e le camicie sono abbottonate fino al collo. "Hai visto quella?" . "Figa se l'ho vista". Ma non si muovono di un millimetro.
Silvia ha voglia di fumare, ma non ha più sigarette. Passa davanti al bancone del bar e vede che il barista la fissa come un ebete.
"Hai una sizza?" Chiede Silvia.
Il barista pianta li tutto e cerca le sigarette che ha nascosto da qualche parte dietro il bancone.
"Allora ce l'hai o no?" Silvia si spazientisce.
Il barista non le trova, le avrà prese quel coglione di Stefano, pensa, che dove cazzo sia finito ancora non si sa.
"Stefano" chiama il barista "Stefano!" Ma Stefano non arriva. Il barista si arrabbia ancora dice "aspetta" ma Silvia è già andata via bestemmiando un porcavacca.

Riccardo vede un cellulare in terra, lo tira su e se lo mette in tasca con estrema naturalezza, poi continua a menarselo per averlo duro duro.
Alessandro ed Andrea vanno verso il bar con il bigliettino della consumazione gratis tra le mani. Il barista è sempre più nervoso, cerca Silvia con lo sguardo e serve ai clienti sbobbe micidiali.
Alessandro in mezzo a tutta la calca e con una musica martellante ai massimi decibel chiede qualcosa di leggermente alcolico ma non dolce, magari un po' fruttato con poco ghiaccio e senza limone.
Andrea a ruota dice "Due".
Il barista dice "Cosa?"
Andrea dice un'altra volta due.
Il barista capisce libre, prepara due cuba e li passa ai due coglioni.

Vibra un cellulare dentro la tasca di Riccardo, non il suo, ma quello che ha tirato su da terra. E' una certa Cristina, Riccardo va verso i cessi e dice "Pronto".
"Stronzo, ma dove cazzo sei, non si sente nulla" dice Cristina.
"A ballare" risponde Riccardo.
"Ma non dovevamo scopare io e te stasera?".
"C'è casino non sento" dice Riccardo mentre sente il pisello indurirsi un'altra volta.
"Dai cavolo Matteo" piagnucola la voce al telefono ."Ho voglia".
Riccardo a quelle parole interrompe la chiamata, memorizza il numero di Cristina sul suo cellulare, si chiude dentro il cesso e scatta una foto al suo pisello duro duro. Manda l'immagine a Cristina: SONO UN AMICO DI MATTEO, SE VUOI VENGO IO.
Dopo qualche minuto gli arriva un sms: TI ASPETTO, CHIAMAMI.

Rossella balla con gli occhi chiusi e vede come dei draghi nuotare nel mare. Canticchia musica che non sente e parla con gente che non vede. Qualcuno la palpa o la spinge lei ride e urla "Finiscila". Continua a ballare facendo cerchi con le gambe e giravolte con la schiena. Balla con il sorriso stampato in faccia. Vede strani colori muoversi davanti alle sue palpebre chiuse, vede del fumo trasformarsi in una carrozza trainata da cavalli, vede se stessa ballare nuda su una spiaggia con mille palme d'oro. Qualcuno la palpa o la spinge ancora e lei urla  "Finiscila" un'altra volta. Ride convulsamente e una ciocca di capelli le finisce in bocca.

Matteo si accorge che è senza cellulare, se è caduto è caduto qui pensa, ma non lo trova. Non ricorda, forse l'ha lasciato in auto. Lo cerca per tutta la sala. Serena lo tira per un braccio: "Ma come mi lasci qui così?".
Matteo non risponde si butta in terra e continua a cercare il suo telefono, alza i cuscini dei divanetti finchè non arriva un buttafuori grosso così che gli dice " Che cavolo stai facendo, non sei mica a casa tua".
Matteo fa per reagire ma il gorilla lo zittisce subito.
"Prova ad alzare un solo cuscino e ti lego la fronte vicino ai polpacci".
In quel mentre passano Alessandro ed Andrea. Alessandro è bianco in volto ed ha una mano davanti alla bocca. Corre verso il bagno, ma non fa in tempo, e si vomita sulla giacchetta quel suo strano beverone leggermente alcolico ma non dolce, un po' fruttato con poco ghiaccio e senza limone. Che poi era un cubalibre senza coca cola.
Riccardo va a ritirare il suo cappotto in tutta fretta, vuole  chiamare alla svelta questa Cristina perchè chiunque sia di certo non è vergine, anzi. Mentre cammina per la sala lascia il telefonino che ha raccolto da terra su un tavolino e scappa via.

Rossella ha voglia di bere e di sedersi, è stufa di seguire con lo sguardo quei disegni di luce che il cervello le mette davanti agli occhi. Si siede ad un tavolo dove ci sono bicchieri mezzi vuoti e pieni di ghiaccio, comincia a bere da ognuno un po', mentre i suoi occhi sono preda di ogni allucinazione.
Rossella si accorge che sul tavolino tra i bicchieri c'è un telefonino, fa per prenderlo e proprio in quel momento inizia a vibrare. Risponde senza nemmeno pensare. "Pronto".
E' Cristina che sta chiamando, vorrebbe risentire Matteo, ma quando sente la voce di Rossella rispondere al telefono sente montare dentro di se una tale gelosia che scoppia a piangere. E poi inizia ad insultare:
"Troia, troia chi sei!? Dov'è Matteo?"
Rossella ha il cervello pieno di sangue, urla "cosa vuoi da me, chi ti conosce" ride isterica. Sta male ha freddo. "E non sono una troia". Chiude la telefonata.
Beve con una cannuccia i rimasugli avanzati dentro i bicchieri di quel tavolino. Le sembra di vedere dei nani ballare una danza tirolese. Si stropiccia gli occhi e i nani vanno via.
Il telefono vibra ancora. E' Matteo che chiama con il cellulare di Serena. Forse non me l'hanno rubato pensa. Rossella risponde nuovamente :" Pronto".
"Chi è che parla?" dice Matteo.
"Bello, sei tu che hai chiamato". Risponde atona Rossella.
Matteo sente montare dentro di se un'indiciblie rabbia:
"Troia, troia chi sei? Ridammi il mio cellulare".
Rossella ora scoppia a piangere. "Perchè ce l'avete tutii con me, sono qua sola completamente sola, sempre sola. Perchè tutti m'insultate?". Chiude il telefono,e piange. Si sente male. Sente le tempie pulsare forte, vede tutto nero e stramazza a terra con il telefonino di Matteo in mano.
Diego li di fianco nota tutta la scena, e nonostante per farlo debba schiodare il culo dal pilastro va a chiamare il buttafuori.
"Va che c'è una tipa stesa per il lungo sul pavimento" Dice con aria annoiata.

Il buttafuori è esasperato, stasera stanno tutti male. Qui ci scappa il morto. "Ma quanta roba mette dentro i bicchieri quel tipo al bar, come cavolo lavora. Ora mi faccio sentire".
Rossella si riprende. Il buttafuori non vorrebbe chiamare l'ambulanza che è sempre un gran casino poi spiegare poi dire. L'aiuta a stare diritta, la sorregge. Rossella vaneggia qualche parola poi ride. "Finiscila" urla e con le poche forze che ha prova ancora a ballare, a tenere il tempo.
Il buttafuori porta Rossella in una zona tranquilla e la fa sedere su un divanetto. Sembra stia meglio. "Non ti muovere" e va al bar prenderle un po' d'acqua.
Va dal barista e lo aggredisce a muso duro:" Quante volte ti abbiamo detto di annacquare tutto? Stai facendo ubriacare tutti qua dentro. Devi mettere il ghiaccio dentro i maledetti bicchieri che fai. Ghiaccio a volontà. Ghiaccio. Dammi una bottiglietta d'acqua. Dopo ne riparliamo".
Il barista stanchissimo non riesce nemmeno a difendersi.
Al bancone arriva un'altra volta Silvia con le sue bocce nude in aria.
"Allora questa sigaretta? Ho anche un ventino da spendere". E fa l'occhiolino.
Il barista in un bagno di sudore cerca il tutto ma non trova nulla. C'è gente che aspetta e reclama. Lui da retta solo a Silvia. Avrebbe bisogno di un po' d'aiuto.
"Stefano" chiama il barista. "Stefano". Ma Stefano non arriva e Silvia se ne va.

Silvia si piazza davanti alla porta e con fuori metà tette scrocca l'ultima sigaretta.
Passano Alessandro ed Andrea, loro non fumano. La guardano. "Hai visto quella?". "Figa se l'ho vista".
Rossella crolla, è stanchissima. Si sdraia sui divanetti. Tiene per un po' gli occhi chiusi, cerca così di scacciare gli ultimi fantasmi. Alla fine si addormenta. Il telefonino di Matteo le scivola dalle mani e cade in terra. In quel mentre passa Diego, nota il cellulare sul pavimento e con la solita indifferenza gli tira una pedata e lo lancia lontano tra tavolini e sedie e due vasi di piante.
Passano anche Serena e Matteo. Matteo non si da pace per la perdita del telefonino Mentre cammina sposta tavoli e sedie, si guarda in giro. Sta per sollevare una pianta ma vede arrivare da dietro il buttafuori.
"Provaci".
Matteo ricorda bene la storia della fronte e dei polpacci. E allora non ci prova.

E' tardissimo, l'orario di chiusura. Il bar non distribuisce più nulla e la musica è ridotta al minimo. Nessuno parla. Nessuno ne ha voglia.
Il deejay augura la buona notte. "VI raccomando ragazzi, sabato prossimo vi voglio ancora tutti qua, pieni di energia per un'altra indimenticabile serata. Proprio come questa".








 
 
 
 

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UNO SGUARDO ALTROVE

 

IO

Io amo, non corrisposto, l'ozio

scrivo due post al mese
uno lo pubblico
l'altro lo cancello

questo mese ho pubblicato quello sbagliato:

questo.

Se qualcuno
per caso,
trovasse una bozza piena d'amore

sappia
che era la mia.

Rimasta mio malgrado
lettera morta.

 

I MIEI MIGLIORI AMICI

Fante John  John Fante

immagine

Charles Bukowski

 

DA LEGGERE E RILEGGERE

DINO BUZZATI  - Un Amore -

JOSE' SARAMAGO  - l'Uomo Duplicato -

ERRI DE LUCA  - Il Contrario di Uno -

CHARLES BUKOWSKI  - Panino Al Prosciutto -

JOHN FANTE  - Chiedi Alla Polvere -

 

MUSICA IN AUTO

GOMEZ  - Split the Difference -

NEGRAMARO  - Mentre Tutto Scorre -

MAD SEASON  - Above -

ROLLING STONES  - Hot Rocks  1964-1971 -

VINICIO CAPOSSELA  - Canzoni a Manovella -

 
 
 
 

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