Creato da quattro.mani il 02/05/2007
Quando la fantasia non riesce più a stare dentro la mente,e corre via,imbratta i muri e riempie le righe dei diari.Quando si consumano le penne, e la voce non smette di raccontare i pezzi della storia creata per gioco..è il momento di agire!

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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 07 Maggio 2007 da quattro.mani

La scena che le si presentò era raccapricciante. Il corpo era in cucina, ma dalle tracce di sangue si capiva che era stato trascinato lì da qualcuno. Il volto tumefatto non lasciava dubbi, Mario si era difeso fino all’ultimo istante. Questo pensiero scatenò in Susan un moto di rabbia e dolore. Trattenne a stento le lacrime pensando alle due donne che aspettavano all’esterno.

“Avete trovato l’arma?” chiese, mentre osservava ogni particolare della casa facendosi spazio tra gli agenti della scientifica che meticolosamente analizzavano ogni cosa. Osservare era il suo metodo, osservava e assorbiva ogni sensazione. Registrava a livello inconscio. Il suo mentore, il dott. Daniel Scott le aveva ripetuto fino alla nausea che spesso la mente registra informazioni che sfuggono alla vista. Era stato così in parecchi casi. Quando tutte le strade sembravano chiuse lei era riuscita a trovare sempre qualcosa che agli altri era sfuggito. Riusciva ad entrare nella mente di chi commetteva i delitti, riusciva a pensare come loro. Questa sua dote era stata la sua fortuna e la sua rovina.

La voce profonda del comandante Wash la fece tornare alla realtà – “l’arma non è stata trovata, i miei uomini stanno cercando dovunque. Non ci sono segni di scasso, abbiamo richiesto i tabulati degli ultimi mesi e messo sotto sequestro computer e telefoni. Lei ha qualche brillante intuizione che ci porti velocemente alla risoluzione del caso?” Susan lo guardò con disprezzo. Non sopportava i suoi modi arroganti, l’assoluta mancanza di umanità. Eppure, non riusciva ad odiarlo. Qualcosa le diceva che lui non era sempre stato così. “La contatterò se dovessi avere una brillante intuizione, ora devo andare. Arrivederci capitano”

Uscì dal retro e si sentì una vigliacca. Ma non avrebbe retto ancora una volta gli sguardi delle due donne che in lacrime aspettavano all’esterno della loro abitazione. Mise gli occhiali scuri e si diresse verso la centrale a passo svelto. Si fermò come sempre nel parco che divideva praticamente a metà il suo quartiere. Un piccolo polmone verde in cui si rifugiava spesso tra una pausa e l’altra nelle lunghe giornate lavorative. Si mise a sedere sulla solita panchina e sorseggiò il caffè che aveva comprato lungo la strada. Aprì la borsa e tirò fuori il fascicolo. Cercò di eliminare almeno per quel momento i pensieri che la legavano al corpo senza vita che aveva visto poco prima. Prese un mucchio di fogli spillati insieme e cominciò a sfogliarli. A breve avrebbe dovuto incontrarlo e voleva essere all'altezza.

Era il suo diario. L’aveva scritto ogni giorno, tutti i giorni per cinque lunghi anni. Lo avevano trovato dopo l' arresto nella sua stanza, o meglio, era in bella mostra sulla scrivania. Lei era sicura che l’avesse lasciato lì perché fosse letto. In quelle pagine erano descritte, meticolosamente tutte le sue giornate, i conflitti interiori che lo avevano lentamente portato alla follia, la lotta contro se stesso fino ad arrivare alla completa separazione delle due personalità. C'erano i preparativi che faceva prima di ogni violenza, le parole che recitava, come un copione alle sue vittime. Erano descritte le torture mentali e fisiche che aveva inferto ad ognuna di loro in un crescendo di follia. C'erano i numeri di telefono, gli indirizzi e-mail. I nomi di amici e conoscenti. Per i primi tre anni aveva seguito uno schema preciso, tipico in soggetti come lui. Agiva da solo e le sue vittime erano perfette sconosciute. Nessuna di loro l'aveva denunciato. Poi, all'imporovviso qualcosa era cambiato nel suo modo di agire. Per circa sei mesi non aveva scritto più nulla e quando aveva ripreso sembrava non avere più il controllo delle sue azioni. Nella sua vita era entrata una persona, per un pbreve periodo era riuscito a tenere a bada se stesso, poi, quando lei lo aveva lasciato la rabbia era esplosa e l'aveva soffocato. Grazie a quelle pagine era riuscita a far radiare dall’albo degli psicologi la dott. che lo seguiva da una vita e che, per qualche motivo non lo aveva fermato quando ancora si poteva. Erano le ultime pagine che l’avevano particolarmente scossa. Erano completamente slegate tra loro, completamente diverse dal modo di scrivere abituale. La personalità remissiva, quella più fragile era scomparsa completamente, schiacciata dal “mostro che c’è dentro di me” come lui stesso si definiva in alcuni passaggi. La persona che più aveva amato era diventata la vittima del suo perverso gioco. Il diario finiva con una pagina bianca ad eccezione di una frase: “Perdonami per il male che ti ho fatto” Alex

Secondo i rapporti dei medici legali era solo il delirio di un pazzo, ma lei, ovviamente non era dello stesso parere. Quella frase era stata scritta per la persona che l’aveva denunciato. Susan smise di leggere e si appoggiò allo schienale della panchina. Chiuse gli occhi per un momento cercando di rilassare i muscoli contratti. Fece mente locale e ripassò a mente le domande che gli avrebbe fatto quel giorno. Non doveva mostrare esitazione, non doveva mostrare debolezza.

Mentre era assorta nei suoi pensieri sentì vibrare la tasca. Frugò nella tasca e tirò fuori il cercapersone. Il numero che lampeggiava non le era familiare. "strano" pensò, quel cercapersone era strettamente personale e poche persone conoscevano il numero. Si alzò controvoglia e ripose il fascicolo. Al primo telefono pubblico compose il numero che l'aveva cercata.

Dall'altro capo il telefono squillò. "susan... susan... non ti intromettere in cose che non ti riguardano... "

Susan urlò, "ma chi sei? cosa vuoi da me!!!" Mentre riagganciava senti un cellulare che squillava. Ebbe la certezza che quella suoneria fosse la sua.

 
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