Creato da matty.faggio il 12/10/2007

Fenomenologia&Musica

Riflessioni e spunti sulla filosofia sulla musica ed in generale su ciò che capita a tiro

 

 

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Prima osservazione su melodia e musica.

Post n°7 pubblicato il 19 Dicembre 2007 da matty.faggio
 

L'esperienza musicale è un'esperienza melodica. Siamo attratti da uno stimolo iniziale. Se l'esperienza fosse di tipo meramente sonoro, la fascinazione verso il fenomeno cadrebbe rapidamente. Ma sappiamo bene quanto la musica che ci prende più profondamente sia una tensione continua, un'attenzione che tra momenti più o meno concentrati non recede mai da quel legame iniziale che con un atto determinante ci introduce nell'ascolto  (atto che la psicologia può anche definire inconscio, ma che per la fenomenologia è il momento più evidente nel quale si palesa la coscienza).
Un amico ci fa ascoltare la parte di un brano che maggiormente lo ha colpito. Condividiamo i suoi gusti pienamente, ma rimaniamo indifferenti al passaggio che ci ha sottoposto. Egli semplicemente ha dato per scontato ciò che ha preceduto il passaggio, scambiando una parte ordinaria per una ininfluente.

   Quindi la melodia, nella pulsazione ritmica, ci conduce, ci prende per mano e ci illustra un percorso. La sua essenza temporale ha una funzione salvifica oggi, periodo nel quale abbiamo completamente distorto la temporalità in senso scientifico, determinista, paralizzante. Ci riporta senza alcuna domanda, senza alcuna riflessione, al rapporto vero con un (ed uno solo) fenomeno presente nell'oblio di tutto il resto. In questi tutto il resto abbiamo un grande cerchio comprendente i fatti extra-musicali ed un piccolo cerchio che include i fatti musicali d'accompagnamento allo sviluppo melodico. Evito di parlare di questi due cerchi ma arrivo al dunque del processo in atto che descrivo. Siamo di fronte dunque ad una "concentrazione", un ricadere in implosione di tutte le nostre facoltà in una esperienza che ci porta per se stessa1 dentro un mondo vario, poliedrico, direi popolato di fenomeni sonori (assai diversi) ma che nel momento stesso nel quale ci spinge lì dentro non ci lascia per un secondo veramente spaesati, ma ci offre subito gli strumenti della comprensione, della appropriazione e del godimento2.
   Siamo nella selva sconosciuta e sappiamo già come se ne esce. Ciò perchè il percorso musicale e melodico va parallelo a qualcosa, anzi a molte cose, le quali tutte riportano al nostro modo di vivere, al rapporto
a specchio della nostra coscienza. L'orecchio, relazionato all'uomo e non più analizzato separatamente, non è esterno alla coscienza e ci offre i dati più evidenti del comportamento coscienziale: identità, mutamento, diversità, i quark inscindibili della nostra percezione, che è percezione umana solo in quanto percezione temporale, rapporto continuo.
Il nostro momento di attenzione alla musica è quindi concentrazione su questi fenomeni fondamentali nell'esclusione di tutto il resto. Concentrazione che è possibile raggiungere anche senza musica. Il fenomeno musicale è l'analogon dei nostri movimenti di coscienza. Possiamo porci in rapporto diretto con questi movimenti anche senza la musica nella totale concentrazione verso un fenomeno. Ma questa cosa non si è mai insegnata in occidente, pur essendo un procedimento che inconsapevolmente tutti compiamo in diverso grado
3; dunque la musica ci viene in soccorso e la sempre maggior richiesta di musicalità che caratterizza la storia occidentale si spiega in questo senso: come un indirizzarci alla semplicità del nostro pensare e percepire, attraverso un linguaggio simile, analogo al nostro pensare e percepire.
   Identità, mutamento, diversità: l'ottava (Do-do). Due suoni diversi ma che sono già uniti dentro noi; l'origine di tutti i rapporti tonali a cominciare dalla quinta per arrivare alla scala. Il ritmo binario e ternario con il quale scomponiamo tutti i fenomeni regolari e i ritmi composti: presenza, assenza; agire, essere puro, (istinto) prima persona; osservarsi e riflessione, seconda persona e contemporanea relazione tra le due.
   Questo è il cammino che ha portato alla storia della musica occidentale, che è la storia di una musica tonale, intesa come musica che sviluppa un suono di riferimento secondo le proprietà con le quali quel suono entra in relazione analoga con la nostra percezione di identità, mutamento e alterità. I suoni più affini come un intervallo di quinta melodico ci riconducono, nell'alterità percepita, in modo più semplice alla  perdita di un suono passato verso uno nuovo, ad una novità non casuale, ma che meglio ci
ricorda ciò che abbiamo perso e più facilmente ritorna da dove era arrivato. Il suono iniziale al quale si ritorna (e questo è un consolidato luogo fenomenologico) non è lo stesso per la coscienza pur essendo lo stesso per l'analizzatore di onde: è carico di un significato che trascende la sua presenza isolata. E questo significato non è appaiato ad altri nel momento dell'ascolto ma è quello per noi in primo piano percepito anche (e soprattutto) da chi ignora l'esistenza del pentagramma. Siamo, infatti, stati condotti in un cammino melodico attraverso l'evidenza di rapporti semplici di cambiamento. Solo un rapporto semplice può coinvolgere la memoria e una musica che non coinvolga la memoria (non in senso storico, intendo la facoltà cioè di ritrovare un fenomeno complesso mediante un procedimento sintetico, un principio) la si può classificare come si vuole, ma non contiene quelle proprietà che hanno tramandato il senso della musica.

1 Espressioni come "per se stessa","in sè", ecc.. tipiche della fenomenologia indicano il ritrovamento di una evidenza di fronte alla quale non si può scendere ad ulteriori analisi: c'è veramente solo l'esperienza e la certezza (o la speranza) della fenomenologia che queste evidenze siano intersoggettive, riconducibili ad ambiti vitali presenti tali e quali in ciascuno. Le stesse parole non sono che un analogon di questa esperienza che espressioni come "per se stessa","in sè" cercano di riassumere ma non riusciranno mai ad animare. Infatti (ed è la mia esperienza personale) non vi è una comprensione graduale delle espressioni del tipo  "in sè" ma solo una iniziale enigmaticità sostanziale seguita dalla improvvisa e chiara percezione del significato di queste parole. Da qui la vacuità della parola nell'azione diretta volta a rendere coscienti e responsabili le persone, ma anche la necessità della parola disponibile a tutti per rendere chiare e nette le prese di coscienza, nel momento in cui ciascuno di noi le incontra nella propria vita (la parola come presenza umana).
2 In questo la musica non può proprio avere maestri con la parola ma solo maestri con la musica, possedendo già la musica quelle leggi immediate che, nel caso vi si ponga una libera concentrazione, sopravanzano senza la minima titubanza qualsiasi indicazione normativa.
3 Questa osservazione mi riporta alla scintilla di questa discussione. Ascoltavo un seminario di un professore riguardante la musica spettralista di un gruppo francese degli anni '70: musica colta che si rifaceva ai postwebernisti. I capisaldi: l'analisi degli spettri armonici nell'equiparazioni di strutture armoniche e non armoniche (rumori) e dei suoni transitori (suoni d'attacco e di decadimento). Il risultato sonoro, non lo dico per disprezzo verso l'effettivo lavoro compiuto da questi autori ma per rendere al maggior numero di persone l'effetto prodotto, era grossomodo 13 minuti di cigolar di porte con delle note di pianoforte al centro della composizione (da me accolte come acqua fresca pur non avendo tali note alcun andamento melodico).          

     Tristan Murail, compositore appartenente alla corrente degli spettralisti


Bene, osservavo questo professore profondamente concentrato nell'ascolto. Non intendo assolutamente accusarlo di ipocrisia o addirittura di finzione. Anzi son convinto che la sua concentrazione fosse reale, ma semplicemente non fosse (e non poteva esserlo) sul discorso musicale. Era la concentrazione di chi conosceva perfettamente le origini di quella "musica" e che su quei criteri estetici focalizzava la propria attenzione. Criteri che, beninteso, non sono assolutamente percepibili all'ascolto.
Come si può scorgere il lavoro sui suoni di attacco? Essi non hanno nulla di diverso dagli altri suoni, e trasportarti nell'esecuzione questi suoni non possono che avere a loro volta dei suoni d'attacco che li annunciano: quindi o noi dobbiamo distinguere questi suoni come suoni d'attacco e come visto non possiamo farlo, oppure l'operazione è puramente intellettualistica. Un intellettualismo ancora più esacerbato di quello schoenberghiano. In quel caso l'operazione aveva comunque un effetto sensibile, negli spettralisti non c'è nemmeno questo magro riscontro per l'orecchio.
Qualcosa di umano lo aveva veramente trovato nella sua introspezione, nel mettersi le mani strette atttorno al viso, con gli occhi chiusi che appena si scorgevano. ma quel quid non concerneva il fatto musicale (del quale di lì a poco dimostrò di ignorare i procedimenti compositivi).  
Concludeva affermando che questa musica era ricca, profonda e complessa (brutto segno) e che già nel nascere correva il rischio di diventare musica per soli musicologi. Dunque il quadro è: la piccola schiera di musicologi, divisa al proprio interno e con pochi eremiti portatori della verità del destino della musica, in un oceano di anime inconsapevoli del significato che una certa corrente potrebbe avere per la loro formazione musicale. Questo professore è, oggi, uno dei musicologi più stimati che tiene conferenze in giro per l'Italia. Nessuno obietta a questo caso limite; significherebbe negare l'evoluzione darwiniana della musica. Questo professore parla ai giovani e il fatto mi preoccupa: non l'incomprensione del singolo, ma la trasmissione dell'incomprensione.

 
 
 
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