Fermata a richiesta

Una sconosciuta nel buio

Sopra un nastro d’asfalto lucido di nero e pioggia corrono le macchine. Corrono dentro le piaghe di questa notte coi loro occhi brillanti di xeno e iodio che a vederli da quassù sembrano lucciole impazzite. Corrono e pare non vedano altro che strada e rabbia e tempo sempre troppo corto, sempre troppo perso.
Io non te lo volevo dire, signore iddio, ma c’è un dolore nel mezzo della notte, nel mezzo del nero della notte. E  intorno tanti fiori rossi sbocciati all’improvviso sul catrame e una tenebra che non conosco.
Cos’è questa morte che mi guarda con gli occhi sbandati come a dire: tu che c’entri?
- Non lo so. Io do alla luce, faccio nascere; io curo, accudisco.
- Tu… non eri tu, stasera, il mio appuntamento. Perché hai lasciato il tuo guscio di coccinella? Perché hai sporto le mani nell’oscurità?
- Non lo so, non lo so. Io do alla luce, faccio nascere; io curo, accudisco.
- E adesso? Adesso che non sei più?  Adesso che la notte è dentro e gli occhi sono spenti,  quanto vale la luce dei tuoi occhi? E quanto, quella del tuo ultimo cerino?
- Non lo so. Io do alla luce, faccio nascere; io curo, accudisco.
- Quanto vale adesso il tuo corpo racimolato al bordo della strada? Quanto, il tuo cuore di piccola fiammiferaia?
- Non lo so… non lo so.

Sul palco si sono spenti i riflettori; gli occhi orgogliosi di tua madre piangono al buio, oggi, e io che posso dirti? Io che non faccio nascere, io che non do alla luce, ma curo e accudisco. L’avrei fatto, io? Quanti pensieri, quante paure mi avrebbero stretto la gola, legato le caviglie? E quanti ne hai scacciati tu?
Non lo so… io non lo so.

N.d.r. Non serve a nulla, ma vorrei dedicare queste poche righe  alla dottoressa Eleonora Cantamessa  e a tutti coloro cui l’amore per la vita abbia fatto muovere  le mani o anche solo  sfiorato la mente e l’anima.