Creato da korov_ev il 06/02/2013

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Nutrire, proteggere

Post n°38 pubblicato il 20 Novembre 2013 da korov_ev

Oggi il dipartimento della protezione civile mi ha tributato una benemerenza per l’attività svolta in occasione del sisma che colpì l’Aquila  nel 2009, ma io non ho fatto nulla. Io non ho sofferto, non sono morto; io ho solo faticato. A volte mi chiedo a cosa servano le parole.
L’altro ieri un padre è morto mentre cercava di salvare suo figlio dall’onda di piena. È morto con le mani svuotate; con la speranza di averlo salvato e col timore di non esserci riuscito. E' morto facendo quello che il suo istinto di padre gli ha imposto di fare, ma quanto dolore può sopportare il cuore di un uomo?
L’altro ieri un padre, un marito, ha visto sua moglie e sua figlia trascinate via dalla corrente e impotente è sopravvissuto. Gli è stato negato il diritto di fare, di agire, perfino quello di morire: quali parole, adesso, potranno tenerlo in vita?
La parola padre ha una radice indoeuropea (Pa) che in origine aveva il duplice significato di “nutrire”  e di “proteggere”: un padre è colui che nutre e protegge. E per nutrire e proteggere bisogna esserci! Quando sono lontano dai miei figli a volte ci penso e ho paura.
Loro c’erano. Loro c’erano e  non è bastato. E non so chi dei due si sia “salvato”, proprio non lo so.  Non lo so se il mio cuore saprebbe sopravvivere ai miei figli.
Quanto dolore può sopportare il cuore di un uomo? Quanto, quello di un padre?

 

 
 
 
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