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Binario 3 Est

Post n°95 pubblicato il 05 Novembre 2018 da korov_ev

Lo stridore delle ruote dure sulle lingue di metallo mi trapassa le tempie e fila dritto al cervello fermandosi giusto sopra l’occhio sinistro: non reagisco. Non ho la voglia neanche per un vaffanculo. Aggrotto un po’ la fronte e resto immobile sulle piante dei piedi fino a che il treno si ferma. Di fronte a me uno sportello si apre e facce spaesate si fanno tese. Sono animali in transumanza, ruminanti che lasciano l’ultimo pascolo di montagna per l’erba alta di collina; esseri anfibi che passano dall’acqua all’aria e devono chiudere le branchie, adattare i polmoni. Tutti di colpo a chiedere spazio, ad esplorarlo ed espropriarlo con una camminata alla John Wayne. Io resto immobile sulle piante dei piedi.
Quella fila disordinata di jeans sdruciti e giacche a vento consunte si srotola sul marciapiede come un fiume che dopo aver rotto gli argini rientra nel letto portando con sé pezzi di vita serrati nelle valige sformate o nelle sporte della spesa. Scorre da quella cataratta apertasi all’improvviso con uno sbuffo di pompe idrauliche e va a morire nelle viscere della terra lungo le scale appena lavate del sottopassaggio. Chissà, magari non muore, magari quella discesa non termina negli inferi, magari è solo un modo per fregare Caronte che aspetta sulla sponda di là con un mozzicone in bocca e l’occhio attento.
No, Caronte non lo freghi. Se n’è accorto eccome. Solo che non gli importa. Lui aspetta le sue, di anime dannate. Solo quelle che ha nell’elenco. Sono anime bionde su tacchi alti e con l’accento dell’est. Anche loro hanno jeans attillati e finti colli di pelliccia come la signorina Moncler qui di fianco a me, ma chissà perché non gli stanno bene, addosso. Sarà per quello smalto troppo acceso o per il trucco. Però gli occhi sono uguali. Gli occhi sì. Le pupille ristrette annusano la luce intorno circospette, incrociano le mie, ma è solo un attimo, poi sorridono rivolte ad un punto lontano e Caronte le guida di là: lo conosce anche lui il passaggio segreto che evita le traversine. Ormai non aspetta più sulle sponde del fiume infernale, se lo viene a pescare qui, quello che gli tocca.

O forse è proprio questo, l’Acheronte. Questo scorrere senza posa di vite con passato e futuro che si mischiano chiusi e rinchiusi nei trolley nuovi, nuovi o nei bagagli di cartone tenuti insieme con lo spago.

Lo scompartimento è vuoto. Guardo fuori dal finestrino la fiumana di corpi e anime  defluire lenta dal binario; la vedo attraversare l’atrio della stazione e perdersi in mille rigagnoli per le vie della città. Si sparpaglia e si raduna e si sparpaglia ancora. Scorre fin dentro i portoni dei palazzi, oltre il confine silenzioso delle case o dietro il riflesso di vetrine illuminate. Rivoli quasi smarriti che cercano accoglienza nel tepore familiare e rassicurante di piccole pozzanghere amorevoli.

Solo le anime bionde dell’est non si confondono. Ferme sul piazzale della stazione aspettano di essere traghettate.

Ci sono tanti gironi in questa città, e una sola circonvallazione.

 

 
 
 
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