C’era uno strano rumore nel fondo delle orecchie, come un ronzio monocorde che arrivava fin nello stomaco. L’erba era verde in uno strano contrasto con il rosso del sangue e l’odore fetido dei corpi in putrefazione. Camminavo, o non camminavo … non so, forse non toccavo terra; i miei piedi non toccavano terra. Non avevo peso. Era come se nessun corpo fosse appeso ai pensieri che spaziavano liberi su quella landa
Una lacrima mi cadeva dagli occhi sulle gote, un istante polverizzato come quei cristi venuti da ogni dove a morire qui ai miei piedi. Poi un risuonare di note più acute, come di corde pizzicate o gocce d’acqua affilate che cadano in uno stagno d’argento: era la pioggia.
Però non aveva il rumore della pioggia, e un altro peso.
Un vento, da Sud, soffiava leggero; sollevava i petali di ciliegio che non avevano avuto la forza di rimanere aggrappati alle loro corolle e li portava verso di me come uno sciame chiaro, come chicchi di riso con le ali.
I cingoli continuavano a schiacciare la terra e spezzare le ossa offendendo tutti allo stesso modo. Sulla pelle d’acciaio si arrestò improvvisa una goccia d’olio scuro e le ombre degli uomini si tesero all’unisono verso ovest, lentamente, come fenicotteri dalle lunghe zampe magre, come girasoli con i piedi. Si ersero, i corpi senza vita, come se il sole appena nato potesse riscaldare i loro cuori fermi, e all’improvviso tutto svanì in quella luce accecante, anche il ronzio; e il deserto si stese immenso innanzi ai miei occhi.
Una donna scalza veniva verso di me sulla sabbia bruciata, cullava tra le braccia un figlio vivo, e un altro, morto, camminava silenzioso al suo fianco. Quando l’ebbi davanti sollevò lo sguardo al mio e la sua voce fece vibrare appena l’aria già calda
- V’è la stessa gloria di colui che dà la vita, nell’uomo che la preserva: ti prego, ferma la tua mano, possente messaggero di Abaddon.
Una lacrima mi cadeva dagli occhi e una bava d’olio rappreso segnava le gote d’acciaio brunito. Il tempo, veloce, era caduto; la notte, fuggita altrove a dar sollievo ad altri occhi.
Un’alba lucida rischiarava la pelle e l’orizzonte in quel turbinare candido di maggio, ed io pensai che era strano vedere un carro armato piangere. Poi la sua voce disintegrò ogni pensiero d’uomo, risucchiò a terra ogni sguardo, ogni parola. Le mura di Gerico erano crollate e tutto riprese a scorrere come il fiume.
È stata una roba di qualche minuto, forse non m isono nemmeno addormentato, è stato qualcosa di simile più ad un sogno ad occhi aperti, che ad un sogno vero e proprio. Quando il torpore mi ha lasciato avevo ancora chiari in mente i contorni di quelle visioni e il turbamento che mi avevano generato dentro, e istintivamente ho preso carta e penna e ho scritto tutto subito, prima che quelle sensazioni svanissero e io ne perdessi memoria, tutto qua :-)
Buona serata anche a te, Wood
Però, in effetti, a pensarci bene potrei essere stato contagiato dall’epica miltoniana.
Vedi cosa succede a frequentare da giovani le persone “sbagliate”!?! :-)
Vede, madame, l’uomo vorrebbe non avere limiti e non si rende conto che quelli che ha sono così lontani da ciò che egli è oggi, che solo per raggiungerli gli ci vorrebbe l’eternità. È come un granello di plancton che sente stretto l’oceano in cui nuota quando non conosce nemmeno i confini della pozzanghera in cui è nato.
Se le interessa il senso di quanto le ho appena scritto la invito a leggere la risposta che darò a madame Maddalena: avete attraversato il mio sogno partendo da due cardinali opposi incrociando le vostre strade giusto nel mezzo, dove il mio desiderio che le persone aprano gli occhi alle persone si scontra con la voglia di prenderle a calci nel culo.
Quanto a ciò che cerca di dissimulare il 99% delle donne quando chiude gli occhi ascoltando Estas Tonne… be’, potrei citare Jung a lei tanto caro, ma credo che la cosa si possa risolvere semplicmente rendendo noto l’unico pensiero che in quel momento attraversa la mente del campione femminile preso in considerazione, e cioè:
Dio quant’è bòno! Me lo farei anche a gennaio a cavallo di un lettino a Milano marittima: voglio andare a casa con la sabbia nelle orecchie, voglio!
Ti prego fai correre quelle dita su di me! Conciami a pelle di pecora e sbattimi come un tamburo la notte della taranta! Strizzami come una zampogna a natale! Suonami come si suonano i corni dell’apocalisse:
...trombami!
Un’immagine molto chiarificatrice, come può vedere.
P.S. Il pezzo cui mi riferivo non era, però, quello cui lei si riferiva “The song of the golden dragon”, ma un altro meno famoso “Between fire and water”.
Vede, io credo (ma non solo io) che per la paura di non avere occhi buoni al buio della vita, l’uomo abbia creato un dio smisurato. L’ha fatto a sua immagine e somiglianza e poi non è più riuscito a rassomigliargli.
Abaddon è solo l’impeto dilettantesco di orfani adolescenti che bramano la grandezza di un padre forse mai esistito; pretendenti acerbi lontani dalla creazione che cercano di eguagliarne la grandezza attraverso la distruzione e allo stesso tempo soffrono per ciò che distruggono.
È come la rabbia di un bimbo che non riuscendo a realizzare con le mani ciò che è nella sua mente distrugge l’aborto che ha creato per poi piangerne le spoglie che non potrà ricomporre.
V’è la stessa gloria di colui che dà la vita, nell’uomo che la preserva: se solo l’essere umano capisse che in questo è la sua smisurata grandezza.
Nel fondo dello scrigno di Pandora una minuscola luce ancora sopravvive. È appena sufficiente a rischiarare la strada, ma servono gambe pronte a percorrere quel sentiero, madame Madalena.