FERNANDO EROS CARO

CONTRO LA PENA DI MORTE

 

YAQUI (POPOLO)

Gruppo etnico di indiani d’America che vive prevalentemente nello stato messicano di Sonora, lungo il fiume Yaqui. Popolazione appartenente al ceppo linguistico uto-azteco, gli yaqui possedevano una coesione sociale, tradizioni, costumi e forme di governo tanto solidi e radicati, che né gli spagnoli né i gesuiti riuscirono mai a sottometterli totalmente. Il forte spirito di autonomia indusse gli yaqui a creare, durante la guerra d’indipendenza del Messico, una confederazione di indios nello stato di Sonora. In seguito, la ribellione degli yaqui al governo di Porfirio Díaz portò alla loro decimazione. Nel censimento del 1990 il gruppo contava 13.000 unità, stanziate, oltre che in Messico, anche in Arizona

 
Non stare a piangere sulla mia cenere.
Non sono la'. Non sono morto.
Io sono mille venti che soffiano.
Io sono lo splendore nella neve.
Io sono le lacrime che luccicano nei tuoi occhi.
Non piangere per me. Non sono morto.
Io sono il sole sui tuoi capelli: guardami.
Io sono dappertutto.
Per favore, non stare a piangere per me.
Non sono la'. E non dormo..
 

 

ORSO CHE CORRE - CLARENCE RAY ALLEN

WA-DO Ya-nu a-di-si (grazie Orso che corre) per averci insegnato la vita. WA-DO per la tua umanità e per l'amicizia che ci hai offerto. Buon viaggio nel "villaggio dei mille tepee". Non ti dimenticheremo.
 

La vita è ciò che tu ne fai. Il segreto per giungere all'appagamento non è la ricchezza, il potere o la longevità, ma è il vivere la vita stessa.

 

SAN QUENTIN

 
 

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Post N° 1

Post n°1 pubblicato il 22 Maggio 2008 da fernando_eros_caro
Foto di fernando_eros_caro

La storia

Fernando Eros Caro è un Nativo Yaqui/Aztec nato nel 1949 in una famiglia contadina di Brawley, nel sud della California.  Dal 1981 è rinchiuso nel braccio della morte di San Quentin per un duplice omicidio di cui si è sempre dichiarato innocente. Il suo avvocato d’ufficio fu incapace di offrire una difesa degna di questo nome, ma fu anche intimidito dalla situazione ambientale: il processo, infatti, si svolse nella contea di Fresno, dove risiede il quartier generale del Klu Klux Klan californiano. Il pubblico ministero nascose alcuni fatti alla giuria, composta solo da bianchi, e chiese di ignorare importanti prove a discarico; inoltre, sbarazzò la giuria dei giurati ispanici e amerindiani, in barba a una legge federale, e mentì dicendo che ci sarebbero state opzioni di pena.
Il giudice del processo ordinò di ammanettare Fernando per tutte le fasi processuali; omise di mettere agli atti alcuni fatti; permise l’ascolto di testimonianze di persone sotto l’effetto dell’ipnosi e, in seguito, venne anch’egli indagato in merito alla sua incompetenza professionale. Durante il processo Fernando venne fisicamente e psicologicamente vessato dal personale della prigione e minacciato di morte dagli altri detenuti. Venne tenuto sotto stretta sorveglianza per la preoccupazione di un suo possibile suicidio e gli vennero somministrati dei farmaci che gli causarono perdita di memoria, letargia esacerbante, depressione e psicosi. Lo psichiatra chiamato dalla corte non trovò niente di meglio che consigliare all’imputato di suicidarsi.
Dopo 15 anni passati nel braccio della morte gli fu rifiutato (per motivi “tecnici...”) un importante appello, già molte volte rimandato, che poteva permettergli di far rivedere le decisioni del suo processo. Questo rifiuto è stato più preoccupante che in passato; infatti, in seguito alla nuova legislazione, ci sono minori (quasi inesistenti), opportunità per i condannati a morte di ricorrere e le esecuzioni vengono fatte con più facilità. Alla notizia del rifiuto della Corte Federale, Fernando, in una sua lettera, commentò: “Nella mia richiesta di appello c’erano molte cose che avrebbero messo in discussione il giudizio che ho subito. Sono state raccolte molte prove che avrebbero dimostrato la mia innocenza e c’erano anche degli esperti disponibili a pronunciarsi in mio favore con dei test che mi avrebbero scagionato. Tutto questo era in lista di attesa, prima che si decidessero a concedermi un’udienza. Poi, Clinton ha firmato quella legge, e adesso, adesso tutto quello che avevo pronto per affrontare l’appello non lo posso usare, per loro non vale più! Sento di vivere nella frustrazione. Ed io devo sopportare. Devo sopportare l’insofferenza che mi cresce dentro. Quando il mio avvocato mi ha detto che la richiesta di appello era stata respinta, è stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Adesso sono qui, con la testa stretta tra le mani, a cercare di convincermi che tutto questo non sia vero...”.
Il 10 agosto 2000, un giudice della Corte Suprema gli ha annullato la pena di morte. In seguito, lo Stato della California ha presentato un ricorso contro la sentenza, ma lo ha perduto. Ora, la stessa cittadina di Fresno, è fermamente intenzionata a riaprire il processo per infliggere a Fernando Caro una nuova sentenza di morte……… nonostante che uno dei due presunti testimoni dell’accaduto abbia ritrattato.


Luomo  e  l'artista

Nella sua cella di un metro e mezzo per tre, Fernando è diventato un pittore autodidatta. Ha sempre cercato di fare qualcos’altro che non fissare le quattro pareti che ne imprigionano il corpo. Ed è stato un pezzo di matita a mostrargli la strada.
Dipingere lo aiuta a non prostrarsi, a reagire allo squallore che lo circonda, ma nelle sue opere la condizione del suo drammatico presente diventa un’assenza voluta, cercata: “...è già sufficientemente brutto vivere in un incubo - scrive - e non mi aiuta doverlo rivedere anche appeso alle pareti della mia cella”. Egli esprime la sua arte ispirandosi al mitico “Maso”, il sacro Cervo Yaqui; questo gli fornisce una fede, una fonte di forza interiore e un profondo legame con le sue origini ancestrali.
Per sostenerlo, moralmente ed economicamente, vengono organizzate delle esposizioni dei suoi dipinti ed è stato pubblicato un libro (Prigionieri dell’uomo bianco, KAOS Ed.) che raccoglie le sue lettere e quelle di un altro Nativo americano condannato a morte, Ray Allen.
In questi scritti sembra di sentire il canto di un popolo che si rinnova attraverso la sofferenza dei suoi figli migliori, un canto con la forza dell’incubo che sa farsi sogno. Scrive Fernando: “Se un giorno riuscirò ad uscire, libero da questa casa di ferro, passerò il resto della mia vita a lottare contro la pena di morte ... perché si può vivere, si può morire, ma
 nessuno dovrebbe vivere aspettando di morire...”.

 
 
 
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INFO


Un blog di: fernando_eros_caro
Data di creazione: 22/05/2008
 

 

YAQUI

 

DICIAMO NO ALLA PENA DI MORTE PERCHE' .......

  • è diseducativa: non solo uccide, ma insegna anche ad uccidere
  • l'attesa della morte è il massimo terrore che un essere umano possa provare
  • è iniqua e razzista: non vale per i ricchi e potenti ma solo per i poveri, le minoranze, gli handicappati, gli analfabeti ......
  • le statistiche ci dicono che il rischio di uccidere anche gli inoocenti è molto elevato
  • oltre ad essere crudele è anche inutile: in secoli di storia umana la pena capitale non è riuscita a cancellare l'ingiustizia ed il crimine
  • non ha nessun potere deterrente: la criminalità e la violenza aumentano nei Paesi che la applicano
  • i condannati vengono degradati e disumanizzati facendo credere all'opinione pubblica che non sono esseri umani
  • quando è uno stato ad uccidere siamo tutti colpevoli
  • è peggiore dei crimini che vuole punire
  • ....... si può vivere, si può morire, ma nessuno dovrebbe vivere aspettando di morire .......
 

 

YAQUI DEER DANCER (SONORA-MEXICO)

 
“Parmi un assurdo, che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ne ordinino uno pubblico”

Cesare Beccaria
 

POESIE

 
 
 
 
 
 

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