Mai come quest'anno, a Milano, c'è una nebbia da tagliare a fette. Di giorno avvolge case e tetti, alberi e gru in lontananza, speri invano che il sole riesca a bucare quella coltre spessa e lattiginosa, niente, non filtra niente, il grigio nebuloso permane. Di sera entra come un ectoplasma dalle finestre aperte per un attimo, il tempo di chiudere gli scuri. Ricordo, tanto tempo fa, una sciata a Gressoney, in compagnia. La nebbia si era levata all'improvviso, la pista si snodava ai margini del bosco, si rischiava ad ogni curva di finire contro un larice o un abete. Procedevamo in fila indiana, i più esperti davanti, gli altri, me compresa, dietro, a pochi metri l'uno dall'altro, in un silenzio esasperato, solo l'attrito degli sci sulla neve. O un viaggio in macchina, i bambini ancora piccoli, il cane cucciolo anche lui che uggiolava nella cesta, la strada scomparsa insieme al paesaggio e alla segnalatica, solo la riga bianca sulla strada visibile quando ci passavi su e la sagoma incerta della macchina davanti che procedeva a passo d'uomo. Forse la raffigurazione più poetica della nebbia ce l'ha data Federico Fellini, in Amarcord, con il vecchietto che non trova più la sua casa. Tutti i punti di riferimento scomparsi, i contorni sfumati, solo l'ignoto da sfiorare, la paura che ti entra nelle ossa insieme all'umidità. Tanto da fargli dire, nello spugnoso dialetto romagnolo: Se la morte è così non è un bel lavoro... |
Post n°10 pubblicato il 16 Gennaio 2011 da coco1953
Erano andati a letto, quella sera. Per abitudine si erano coricati fianco a fianco, la discussione ancora in corso, le parole dure e taglienti sulle labbra, la saliva amara in bocca, il respiro affannoso di chi ha lungamente parlato, dicendo di tutto, pur di difendere la propria opinione. Lisa gli aveva dato le spalle sedendo rigida sulla sponda del letto, togliendosi gli indumenti con calma studiata, buttandoli poi con violenza, alla rinfusa, sulla sedia accanto; per sfilarsi le mutandine, restando in quella posizione, aveva compiuto una mortificante acrobazia: la schiena sempre legnosa, i glutei fissi e duri come gusci d'anguria, la camicia calata con rabbia sulla testa e poi veloce lungo le braccia ad avvolgere e celare tutto il corpo. Lui era già dentro, sotto le lenzuola, inerme e ridicolo, l'espressione scura e imbronciata fissata nel viso, la testa sembrava poggiare per caso, monca di tutto un corpo, sul cuscino. Spenta la luce, l'astio e il rancore diffusi nel silenzio forzato. Lisa attendeva un cenno, una parola bisbigliata, un casuale tocco di estremità, niente, neanche un sussurro, i piedi gelidi e immobili. Cerca di rilassarsi, training autogeno: calma sono calma, pesante, calda, braccio destro, penso solo al mio braccio destro, non me ne frega niente del mio braccio destro, non lo sento neanche, non è caldo né pesante, è lì con tutto il resto freddo e rattrappito dalla rabbia. Silenzio. Lisa comincia ad averne abbastanza, vorrebbe muoversi, almeno un pochino, senza farsi notare; le dà noia un orecchio schiacciato contro il guanciale, se almeno le palpebre stessero ferme, quiete sugli occhi; per un po' se ne dimentica, a folate le tornano in mente, a raffiche sempre più intense, le parole pronunciate da Silvio. Le sembrano enormi, ingiuste, mostruose. Ne rielabora il significato, che le appare inquietante, definitivo, adesso più di prima. Di nuovo percepisce la fissità dolorosa nelle membra e insieme il respiro regolare di lui, ritmico, un ronzio quieto, appena percettibile, di chi è scivolato nel sonno senza troppo sforzo. Rabbia e disperazione le si spaccano dentro come un coccio andato in frantumi, puntute le schegge feriscono ogni organo: la milza come uno gnocco duro e dolente, gli intestini contratti, l'aria nei polmoni rarefatta, il cuore che perde colpi, la pressione sulle tempie insopportabile. Lisa scosta il lenzuolo, i piedi nudi avvertono il contatto elastico e tiepido col parquet, poi quello con le piastrelle fredde e lisce del bagno. Piange tutte le sue lacrime seduta sulla tazza del water, si sente meglio, più calma e improvvisamente lucida, consapevole. La porta-finestra che dà sul terrazzo è socchiusa, come ogni notte durante la stagione estiva; l'oleandro fiorito pencola malcerto sulla destra, i gerani rampicanti ben allineati sulla balaustra recano ancora i segni del violento acquazzone che li ha appena investiti: mosci e strapazzati foglie e fiori, carichi d'acqua i vasi e di terra umida e fangosa. Anche il dondolo è zuppo, Lisa leva via i cuscini piatti e fradici, e li appoggia sul muro interno, mentre i piedi sempre nudi slittano viscidi sul pavimento bagnato. La pioggia è cessata e l'aria s'è fatta fresca, pulita, la notte è cupa, comunque, senza astri e senza luce, a parte un lontano, lontanissimo chiarore che s'intuisce tra nuvole meno scure ritagliate nel cielo scurissimo. Lisa rabbrividisce nella camicia di seta, l'umidità attraverso i piedi è salita a penetrare tutto il corpo. La cosa non la preoccupa. Le resta solo da scegliere. Il punto più adatto da cui scavalcare il parapetto. Getta uno sguardo al cortile sottostante che le si spiana allo sguardo consueto e familiare, niente affatto sinistro, invitante quasi, accogliente. Pensa per un istante che non ha addosso neanche gli slip, accarezza l'idea di tornare in camera ad infilarsene un paio ma la scarta subito, tant'è l'urgenza che le preme di attuare il suo piano. Si avvicina al parapetto, posa ancora una volta lo sguardo tutt'intorno, sulla casa di fronte di recente costruzione, che tanta parte di panorama ha assorbito, lasciando libera appena una fetta di cielo. Tutte le luci spente, la casa immersa nel suo riserbo notturno, la campana della chiesa batte le tre. Lisa sempre più affascinata dall'idea che le ha preso il cervello, si sente leggera, si sente parte integrante di quel vuoto che è pronto ad accoglierla: la luna improvvisa nitida e tonda, superba, si è fatta strada tra le nubi nel cielo. Impossibile evitarla, luminosa e serena come il viso di un bambino nel sonno. Lisa la guarda, inebetita. In punta di piedi ritorna in casa, si ferma solo un attimo a guardare il viso di suo figlio, luminoso e sereno nel sonno. Entra nel letto e di colpo, senza alcuna fatica, si addormenta. |
Inviato da: fedechiara
il 08/04/2011 alle 08:12
Inviato da: odio_via_col_vento
il 12/03/2011 alle 21:29
Inviato da: Wonderwife
il 22/02/2011 alle 00:30
Inviato da: coco1953
il 21/02/2011 alle 23:51
Inviato da: odio_via_col_vento
il 21/02/2011 alle 12:27