Non ho mantenuto rapporti con i compagni di scuola. I motivi sono sopratutto legati al lavoro di mio padre che portava a continui spostamenti, cercando di trovare , prima o poi la sistemazione migliore.
Non ero una secchiona ma nemmeno una somara a scuola, piuttosto timida, introversa, stringere amicizie per me era un impresa, quasi come mandare giu' le medicine che prendevo all'epoca, per una brutta forma di epatite.
I miei ricordi impallidiscono dalla vergogna, non ho presente volti o nomi se non due compagne di terza media.
Le ricordo molto bene, erano amiche e io mi ero intrufolata, senza volerlo, nel loro menage consolidato. Un privilegio, avvicinarle, riservato a pochi eletti.
Che fortuna! Un eletta anch'io, ma si sa, alcuni compagni di scuola li vedi come dei caduti dall'olimpo per insegnare a noi, comuni mortali, l'arte di vivere, di atteggiarsi di parlare senza ripetersi troppo e sopratutto vestirsi alla moda!
Io ero in difficoltà per l'ultima cosa sopratutto e in quanto a parlare non mi mancavano mai gli argomenti, ma mi bloccava la timidezza. Se avessi saputo , allora, che crescendo sarei diventata un caterpiller, non avrei fatto i salti mortali per diventare un "eletta"! Ma si sa, col senno di poi è tutto più facile!!
Ritornando alle due grazie , dispensatrici di buone novelle, ricordo sopratutto la sofferenza quando non venivo reclamata nel gruppetto. Stavo male e non mi capacitavo della loro indifferenza. A loro piaceva essere ricercate, pregate, adulate, coccolate da tutta la schiera di ragazzini e stupide come me. Del resto , pensandoci adesso, solo un branco di imbecilli poteva dare retta a due arpie come loro. Io ero fra questi!! Avvampo di rabbia nel pensarci!!
Al tempo della scuola ero magrissima e alta per quelle della mia età. Loro due nane che mettevano in ginocchio un intera scolaresca. Questa mia magrezza era fonte di continue battute e risatine, con la gonna e la camicetta, rigorosamente bianca, sembravo un manico di scopa vestita. Giocavo a pallacanestro e quando avevo le scarpe da ginnastica camminavo sulle punte, insomma femminilità pari a zero. Ma a 13 anni non sai nemmeno tu ancora bene quello che sei. Sopratutto tanti anni fa, quando le ragazze portavano i calzettoni fino a 15 anni e i maschietti i calzoni corti. Ridicoli, rispetto a oggi, ma sicuramente la leggerezza dell'età aveva un percorso obbligato e più lungo! E a parer mio, c'era più entusiasmo nello conquistare il tuo spazio nel mondo, senza bruciare le tappe!
E' passato tanto tempo da quel ultimo giorno di elementari, ci siamo persi di vista, io ho cambiato rione e ho dimenticato "le mie amiche".
Fino a giovedì scorso, quando entrando in panetteria ho visto questa donna, sciatta, ingrassata a dismisura, gli occhi spenti e rabbiosi verso tutto e tutti. Ma il contorno del volto mi era famigliare. Oh Gesù!! Ma tu sei Marina!! Mi guarda sospettosa,socchiude gli occhi per tornare con la memoria chissà dove e quando, per darmi una collocazione , un nome! "Elisa F." Tu sei Elisa della 3 b? E si proprio io. Un pò sfottente il mio si, mi stavo prendendo una rivincita senza volerlo, senza averla mai cercata. E si che di motivi ne avrei avuti per farlo!!
Mi guarda con curiosità. "Ma come sei diventata bella!!"
A parte che insieme ad una protesi dentale secondo me , avrebbe bisogno di un paio di occhiali, ma quelli da 10/10 super. Non sono bella, sono soltanto più sicura di me, diversa , meno ingenua. Al contrario di lei. Non riuscivo a vedere in mezzo ai tratti quella ragazzina spregiudicata, pazza e presuntuosa di tanti anni fa.
Sembra incredibile, provavo dolore nel vederla così. La bella ragazzina era una signora disfatta fisicamente e moralmente. Non aveva volontà e si mise a piangere fuori dal negozio. Non sapevo cosa dire, cosa fare per farla smettere. Ogni lacrima era una fitta per lei, un dolore da ricordare, una vita tutta da rifare. Ma non c'era più il tempo, non c'era la forza di ricominciare. Nemmeno io avevo il coraggio di continuare ad ascoltare i suoi viaggi all'inferno passando per il carcere, la sua famiglia l'ha abbandonata vergognandosi di lei. Ma nell'infinita sofferenza sentivo che qualcosa doveva ancora combinarmi, lo leggevo fra le labbra, non era sincera nel suo pianto. Si, la sua vita era quella, è stata quella, però non voleva cambiarla e sarebbe tornata in galera se non avesse incontrato me. Io la stupida che lascia perdere.
Le freno al volo la mano. La guardo con rabbia e disprezzo. L'avrei aiutata, forse, per un lavoro, per una sistemazione. Conosco parecchia gente e sarebbe bastata una telefonata. Non lo farò mai. Alcune persone vanno lasciate al loro destino, quello che hanno seguito e mai abbandonato, anche avendone possibilità. Marina era una di quelle. Glielo dissi, strappandole dalle mani il mio portafoglio!
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