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Post N° 579

Post n°579 pubblicato il 21 Novembre 2006 da sopalmar
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Tutta la magia della festa brucia nella fiamma di queste candele. e brucia timido e sussurrato il nostro amore per la città di pietre e acqua, in giorni come questo. Un giorno qualunque, altrove, qui è la Festa della Madonna della Salute.  Venezia piegata alla sua natura di puttana – ché sembra non aver capito in quale altro modo guadagnarsi da vivere – accoglie i turisti sempre troppo numerosi, come fosse ancora ieri, come fosse già domani. Ma per chi sa leggere i segni, la festa è ovunque, oggi. Alcuni negozi hanno le saracinesche abbassate – non molti per la verità, ma deve sembrare strano a chi viene da fuori leggere qui e lì cartelli con scritto a mano ’21 novembre chiuso’, come se i negozianti – riuniti in una combriccola segreta, con scopi di mutuo soccorso come le antiche Scuole – si fossero messi d’accordo per prendersi un giorno di vacanza da passare magari in montagna, a raccogliere castagne, tutti insieme, come una grande famiglia di mestiere che si riposa prima delle fatiche del Natale. Il fruttivendolo sotto casa tiene aperto solo al mattino, così pure l’Anita del Martin Pescatore, il negozio di animali dove prendo le crocchette alla gatta. Loro, in pellegrinaggio fino ‘alla Salute’, ci andranno di certo nel pomeriggio, perché ognuno ha le sue abitudini da rispettare, anche nella festa, riti famigliari o individuali che scandiscono il tempo di anno in anno, sempre uguali, punti fermi di luce da attraversare di tanto in tanto, che rimangono come piccole rassicuranti certezze quando tutto, intorno, cambia e si perde. Per me è così. Per me oggi è sveglia presto per arrivare in chiesa quando non c’è ancora ressa –  mica sola, io e mio papà, da sempre – e accendere le candele rubando un po’ di fiamma a quelle che già stanno bruciando, per poi passarle al ragazzo che le sistemerà insieme a tutte le altre – e chiedermi mentre fisso l’icona della Madonna Nera sull’altare maggiore perché mai mio papà ne avrà prese addirittura cinque, ché non sta scritto da nessuna parte che le mie due non possano bastare per la salute di tutta la famiglia, compresa le gatte mia e di mia sorella.
Sgrano in silenzio cinque avemarie tenendo il conto sulle nocche delle dita, mentre la chiesa si riempie pian piano, di una folla calda che fa venir voglia di stare tutti ancora più vicini, che fa venire voglia di non andare più via – perché è una città nella sua chiesa, la memoria della pestilenza del 1630 e migliaia di piccole grazie da chiedere, è la città che chiede la grazia per se stessa – e riconosco sempre qualcuno che non vedevo da un po’, una vicina di casa di quando stavo a Cannaregio, una vecchia collega di Marforio, il mio professore di filosofia di quando andavo al liceo. E pensieri uno dopo l’altro, i contorni ben definiti, le poche certezze che ripasso mentalmente alla luce delle candele, ché venire in chiesa mi serve sempre a fare silenzio attorno e dentro, a lasciar affiorare solo quel poco che so per certo, solo quel poco in cui credo – e mi bagno la punta delle dita nell’enorme acquasantiera di marmo in cui galleggiano filamenti di polvere grigia che arriva da chissà quale secolo. Fuori la gradinata della chiesa è scivolosa di nebbia, e c’è nebbia tutt’intorno che non si vede dall’altro lato del Canal Grande, una nebbia che sa di ciambelle fritte e frutta caramellata. In pochi passi raggiungiamo le bancarelle di dolciumi e i venditori di palloncini, che chiudono questo piccolo pellegrinaggio. Da piccola tornavo sempre a casa con un palloncino – di quelli vecchi di un solo colore, uguali a quelli che gonfiavamo al mare per fare i gavettoni, ma  pare non esistano più, non qui, sostituiti dai personaggi della Walt Disney che galleggiano con gli occhi spalancati nel cielo di novembre. Il mio palloncino con la cordicella, legato al trespolo   della biancheria nella veranda di casa, ogni giorno a galleggiare più vicino al pavimento mano mano che il gas dentro si consumava. Ora il premio è uno stecco enorme di zucchero filato, che mi si appiccica alle dita ed intorno alla bocca come fosse una ragnatela dolce,  e ritrovare per un giorno almeno la mia città con tutti i suoi abitanti, tutti , perché oggi non manca nessuno. oggi – ci potrei scommettere – so che lì ci siamo passati tutti.

 
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