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Post N° 601

Post n°601 pubblicato il 28 Gennaio 2007 da sopalmar
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non basta, non basta la penna giusta che scivoli sul foglio veloce ed indolore, inchiostro che ingrassa la carta color dell’avorio, inchiostro oleoso, che profuma e cura qualsiasi male. Lontana da casa, cerco di ritagliare un angolo di silenzio, qui dove silenzio non si conosce, voci sempre troppo alte a comunicare da una stanza all’altra in una casa che sembra aver creato spazi invalicabili tra le persone; troppi cani, troppo rumorosi; una tivvù in ogni stanza, ed ognuna accesa su un programma diverso. Io leggo, in sala da pranzo, appollaiata su una sedia altissima, le Adidas nere incastrate sui pioli per tenermi in equilibrio, occhi bassi sul foglio, così bassi che sembra quasi che me lo voglia mangiare, il libro. E nella stanza vicina, si chiedono perché. Leggo. E rifletto sullo scrivere. Leggo per scrivere. Leggo ‘Scrivere’ della Duras. “La solitudine inviolabile dello scritto”. “Agli amanti, le donne non devono far leggere i libri che scrivono”. Né raccontare alle zie della novella appena spedita ad un concorso letterario. A non essere riservati, si paga pegno. A non difendere i propri tesori, si rischia di vederli distrutti. O derisi. Perché tesoro è anche una vecchia scatola di latta, scrostata dal tempo e dall’aria salata che c’è qui, vicino al mare; la mia scatola dei baicoli, un po’ ammaccata - “No gh’è a sto mondo, no, più bel biscoto, più fin, più dolce, più lisiero e san, per mogiar nela cìcara o nel goto, del Baicolo nostro Venezian” – e dentro, su un letto di carta velina bianca, bottoni dalle strane fogge, e gomme da cancellare profumate – i pezzi più ricercati, quelli che riproducevano i biscotti del Mulino Bianco, baiocchi, tarallucci macine e galletti – figurine di una collezione mai completata, puntine colorate, un anellino d’argento spezzato a metà, le vibrisse del mio vecchio gatto rosso…anche questo è un tesoro. Trovare un posto lontano, dove seppellirlo. O nasconderlo sotto gli occhi di tutti, nel silenzio di un sorriso che è un piccolo enigma. A costo di sembrare sprezzante. A costo di sembrare balorda. Vuota. Svagata. Se mi concentro abbastanza, posso fare silenzio intorno. Se mi concentro abbastanza, posso gonfiarmi un cuscino di ovatta invisibile tutt’intorno, e osservare il mondo come fosse un programma televisivo a cui è stato tolto l’audio. Perché le parole, bhè, quelle ce le voglio mettere io.

 
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