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Pizzomunno con gerani rossi.

 

 
Pizzomunno

Lungo il tratto meridionale della costa viestana, ritroviamo una piccola spiaggia che deve il suo nome all’ imponente faraglione che dalle acque cristalline si erge sovrano a sorvegliare la città ed i suoi abitanti: la Spiaggia del Pizzomunno.

Qui sembra aver avuto luogo un’ interessante e fantastica vicenda che ha come protagonisti due giovani innamorati , entrambi originari di Vieste .

Pizzomunno , giovane ed attraente pescatore, e Cristalda , ragazza bellissima dai lunghissimi capelli color dell’ oro, si amavano teneramente e vivevano nella convinzione che nulla al mondo potesse intaccare un sentimento tanto forte e sincero.

Ogni sera, Cristalda scendeva in spiaggia per salutare il suo bel Pizzomunno prima che con la sua barca andasse incontro al mare aperto.

Ogni notte, in mare, Pizzomunno riceveva la visita delle sirene che cercavano di ammaliarlo con i loro canti soavi. Le regine del mare desideravano ardentemente che Pizzomunno diventasse il loro re ed amante.

Il giovane, però, non cedette mai alle avance delle sirene tentatrici , avendo già donato il suo cuore alla candida Cristalda.

I reiterati rifiuti del giovane, scatenarono la furia delle sirene .

Una sera, le sirene raggiunsero i due amanti sulla spiaggia ed aggredirono Cristalda con grande ferocia, inghiottendola nelle profondità del mare.

Pizzomunno
fu colto da un dolore devastante, talmente grande da pietrificarlo per sempre.

Il giorno seguente, i pescatori di Vieste trovarono Pizzomunno pietrificato sulla roccia che oggi porta il suo nome.

La leggenda vuole che, ogni cento anni, Cristalda riemerga dalle profondità del mare per incontrare Pizzomunno e rivivere con lui l’ emozione di una notte d’amore sulla spiaggia che li fece incontrare.

 

 

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Promontorio del Gargano

Il più delle volte si pensa che la storia antropologica ebbe inizio sul promontorio del Gargano con l'apparizione dell'Arcangelo Michele più di sedici secoli or sono quando ancora il Cristianesimo conviveva con le allora attuali religioni pagane. Ma se analizziamo le carte romane si nota che gli insediamenti sedentari sono precedenti all'apparizione dell'Arcangelo e si trovavano sulla costa e ai piedi del sontuoso monte (Ergitium ,Sipontum ,Merinum ,Teanum , ,Apulum ,Urium).
Si trovano degli insediamenti umani persino precedenti a questi ultimi, ma bisogna risalire addiritturà all'età del bronzo, tanto è vero che lungo la provinciale che collega Foggia con San Marco in Lamis, a qualche chilometro da Borgo Celano, in zona"Chiancata La Civita-Valle di Vitturo"  è stato ritrovato la necropoli più antica della intera Europa. Altre testimonianze sono date dagli insediamenti rupestri e dalla innumerevole presenza di oggetti litici e di mura megalitiche che si sono scoperti nel corso degli anni sul Gargano.
 

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Toro seduto

 

Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità.

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DRITTO AL CUORE

Post n°16561 pubblicato il 12 Maggio 2016 da forddisseche

DRITTO AL CUORE

Clicca per Ingrandire Portato in scena il 4 maggio, in occasione della manifestazione “Dritto al Cuore” organizzata dall’associazione Lions Club di Foggia e dal locale Comune, dedicato al tema della disabilità, ha riscosso grande successo lo spettacolo di teatro-danza “Folle come una Taranta”, scritto e ideato dal M.tro Michele Màngano con musiche di Luca Ciarla, il supporto del corpo di ballo dei “Danzanova Ballet” e la partecipazione straordinaria dell’artista Fidelia Clemente che impersona il ruolo di una ragazza diversamente abile in sedia a rotelle posseduta da un ragno velenoso cui la fantasia popolare attribuiva il morso della tarantola.

Màngano, esperto di tradizioni popolari, drammaterapeuta, danza-movimento-terapeuta, educatore, attore, regista di spettacoli teatrali fatti e costruiti con persone diversamente abili, portando in scena la metafora dell’eterna lotta fra bene e male, dove Fidelia rappresenta l’essere umano continuamente alle prese con questa medaglia a due facce, interpretata dalla danzatrice Enza Di Bari, racconta: “Siamo partiti quasi per gioco il 2005 dalla Casa famiglia ‘don Mario Carmone’ di Manfredonia e già due anni dopo siamo riusciti ad allestire il primo spettacolo ‘Ballate di Gioia’ con un intervento dei servizi parlamentari Rai ‘10 minuti di…’. Il successo, anche di pubblico, l’altra sera al Teatro ‘Giordano’ di Foggia ci ha confermato che la strada che stiamo seguendo è quella giusta”.

Oggi Màngano sente la necessità di una fondazione istituzionalmente riconosciuta delle danze popolari legate al tarantismo e afferma: “Io sono più che un esperto musicologo, un esperto di danze. Lavorando coi diversabili mi rendo conto che la danza, soprattutto la popolare, è liberatoria nel senso che nel movimento danzato esiste una possibilità di liberazione e, indirettamente, anche di protesta. Ecco che quindi la pizzica, le tarantelle, queste forme popolari che nascono invece dalla moltitudine della gente più debole, in qualche modo sono ‘una forma di riscatto’, come dice De Martino. Io direi anche di protesta, oltre che liberazione, da varie dominazioni secolari”.

Dal 2005 a oggi all’interno dell’associazione è nato un altro progetto ideato da Màngano: i “Laboratori ricreativi per disabili e di socializzazione attraverso la musica e la danza popolare”, rivolti ai disabili e alle loro famiglie. Uno spazio in cui i giovani possono approcciarsi alla cultura popolare pugliese attraverso danza, canto, poesia, musica, recitazione. Di grande importanza la possibilità di sviluppare capacità creative e comunicative, e nello stesso tempo offrire momenti collettivi di gioco e divertimento. Così nasce la compagnia sperimentale “Teatro DanzAbile-il desiderio di danzare” col supporto della compagnia Danzanova Folk e l’obiettivo di integrare realtà diverse di persone portatrici di handicap fisico o altri generi e persone senza handicap, in un lavoro di ricerca scenica in cui il linguaggio del teatro e della danza si amalgamano e diventano gli strumenti che danno voce e corpo ai vissuti di ognuno.

“Scopo del nostro lavoro - precisa il Maestro - non è la terapia o la riabilitazione (anche se si può affermare che il lavoro creativo, specialmente se svolto in gruppo, può avere sicuramente un effetto benefico in ogni caso e in qualunque ambito in cui venga effettuato), piuttosto la ricerca del valore delle possibilità di ognuno, permettendo a chi partecipa di sviluppare il proprio potenziale espressivo e creativo. Andare in scena rappresenta una sfida per chiunque”. Màngano vorrebbe mettere in luce che il palcoscenico rappresenta un luogo privilegiato su cui attuare una grande sfida: l’incontro e la collaborazione fra realtà diverse.

Il risultato è un prodotto artistico, uno spettacolo, che dona visibilità all’integrazione, la promuove allo sguardo della collettività e in questo senso il lavoro ha anche una rilevanza sociale. “Noi - spiega - ci ispiriamo all’idea che un disabile può apportare il personale contributo alla società in cui vive. Il corpo è veicolo di emozioni, esperienza, è contenitore di storie. Indipendentemente dalla sua abilità di movimento. Ogni corpo utilizza il gesto e l’espressione quale linguaggio universale di incontro e scambio col prossimo. E in ogni corpo esiste un’anima danzante. Quando tutto questo viene utilizzato in forma artistica ed è nutrito da musiche, temi di esplorazione, esercizi di incontro, nasce la danza integrata, la quale, nella ‘disegualità’, nella specificità di ognuno riscontra ricchezza e inesauribile potenziale creativo”.

E continua: “La diversità non può essere un ostacolo, è una obiezione per chi misura il valore dell’altro solamente partendo da quello che vede. Una persona di fronte a un disabile, come di fronte al proprio figlio, deve essere disposto a cambiare per accorgersi realmente di lui, e sentire la diversità non come obiezione ma come ricchezza. E cambiare è un sacrificio, perché implica cedere a ciò che si è visto piuttosto che rimanere fermi sulle proprie convinzioni”. Quindi conclude: “Con questo progetto vogliamo cercare espressioni che documentino l’esperienza della libertà, possibile anche dentro i condizionamenti particolari che la vita riserva a ciascuno di noi. Sarà sorprendente rendersi conto di quanto i ragazzi e le proprie famiglie trovino libertà attraverso l’arte, che come una valvola di sfogo accoglie fra le sue braccia gente di ogni genere”.


 Comunicato + Redazione

 
 


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