Post n°14551 pubblicato il
30 Maggio 2015 da
forddisseche
Gargano, decrescita demografica e spopolamentoManfredonia (tutto sommato) è riuscita a tener botta, dal post Enichem all’attuale crisi del contratto d’area e passando dai 57.700 abitanti del 2001 ai circa 57.300 del 2014http://www.aggancio.it
Di: Antonio Gabriele
Monte Sant’Angelo – LA storia del genere umano è scritta da uomini prendendo, in molti casi, le sembianze di romanzi a capitoli dai titoli a dir poco audaci e che rischiano di rasentare la demagogia e di sfociare inevitabilmente in letture approssimate. La comprensione dei fenomeni storici e delle proprie dinamiche troppo spesso vengono affidate ad analisi quantitative che più che comprenderle, riescono a malapena a descriverle.
Dati, numeri e congiunture storico-economiche divengono facili appigli per approdi teorici smaniosi di definire come inevitabili, fisiologici o addirittura cronici determinati fenomeni. Come se il destino dell’umanità si potesse scindere dagli stessi uomini; come se l’assunzione ormai ampiamente accettata della ciclicità della storia non fosse una lezione abbastanza chiara: la storia la scrivono gli uomini e nella maggior parte dei casi sono essi artefici dei propri destini con scelte e azioni.
Il problema è che in molti finiscono per subire le scelte di pochi: così va il mondo. Si prenda ad esempio il fenomeno dello spopolamento delle zone interne e montuose a favore delle zone costiere e dei grossi centri urbani: da più di 50 anni il Belpaese si ritrova a convivere con questa tendenza. Tutto ebbe inizio nei favolosi anni ’60. Il boom economico, associato a condizioni di vita durissime per le classi contadine degli entroterra montuosi spinse milioni di italiani a spostarsi altrove. Ad oggi, il flusso ha solo rallentato il suo corso e vastissimi territori della penisola continuano a spopolarsi, come fosse inevitabile.
Il Gargano non è sfuggito a questa logica che se in principio poteva apparire facilmente leggibile, oggi non lo è più. Analizzando i numeri degli ultimi dieci – quindici anni, molte le dissonanze rilevate, i fenomeni in controtendenza che balzano all’occhio. Sentori che danno speranza, dati che tendono a smentire la regola inconfutabile. In molti comuni dal 2001 al 2014 il numero di residenti è rimasto pressoché invariato. Questo è valso per Vico del Gargano (da 8.100 a 7.900), Ischitella (da 4.540 a 4.490), Rodi garganico (da 3.770 a 3.730).
Persino Manfredonia (tutto sommato) è riuscita a tener botta, dal post Enichem all’attuale crisi del contratto d’area e passando dai 57.700 abitanti del 2001 ai circa 57.300 del 2014. Ci sono poi comuni che segnano addirittura significativi incrementi demografici: è il caso di Lesina (da 6.270 a 6.360), Peschici (da 4.300 a 4.600), Vieste (da 13.400 a 13.900) e Mattinata (da 6.340 a 6.500). Per non parlare dell’esplosione demografica di San Giovanni Rotondo passata dai 26.100 residenti del 2001 ai 27.500 del 2014. Le note dolenti riguardano invece comuni come San Nicandro garganico (passato dai 18.000 abitanti ai circa 16.000 attuali), San Marco in Lamis (da 15.600 a 14.000), Cagnano Varano (da 8.600 a 7.400), Carpino (da 4.700 a 4.300), Rignano garganico (da 2.300 a 2.180), finendo con Monte Sant’Angelo che perde circa 1.000 abitanti dal 2001 al 2014 (da circa 14.000 a 12.850).
Ma se per molti comuni le variazioni negative sono rappresentabili in grafico come oscillanti, veri e propri picchi paiono segnare il destino di S. Nicandro garganico, San Marco in Lamis, Cagnano Varano e Monte sant’Angelo. Quest’ultima contava, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, più di 25.000 abitanti su una superficie urbana notevolmente inferiore all’attuale. Quali scelte e strategie stanno favorendo certi comuni e cosa invece sta caratterizzando un’inarrestabile emorragia di residenti in altri?
Non è facile stabilirlo con certezza; di certo San Giovanni Rotondo fa storia a se (forte dei volani del turismo religioso e della grande struttura ospedaliera) e per molti comuni del Gargano – nord stanno evidentemente iniziando a funzionare le sinergie fra tipicità gastronomiche, turismo, parco nazionale e risorse dell’entroterra.
Sarà un caso, ma le situazioni peggiori risultano quelle dei centri storicamente più legati a criminalità e malaffare. Sono le città delle faide, dei tanti morti ammazzati a dalle troppo spesso chiacchierate amministrazioni. Cosa mancherebbe a Monte Sant’angelo, per esempio? Potenzialità turistiche? Attrattive religiose? Naturalistiche? Storiche? Enogastronomiche? No. Ed allora perché si continua ad andar via?
Negli anni ’60 ai giovani si diceva:-“Andate via, qui non c’è lavoro! Siamo troppi per restare tutti.” Magari era davvero così, ma oggi che si arriva a stento a contare 10.000 montanari dimoranti, perché la litania rimane la stessa? L’unica cosa a rimanere, a parte le solite quindici – venti famiglie che continuano costantemente ad alternarsi a palazzo di città. Ad amministrare le risorse per se invece che per l’intera comunità.
Non sono andati via (se non per scelta) i figli dei soliti noti. Per molti di essi il posto di lavoro si è prontamente materializzato, a prescindere da merito, anzianità e nuclei famigliari. Vanno via i figli di nessuno e molta gente per bene che, sdegnati, preferiscono andare altrove semplicemente per godersi la pensione. Evaporata la meglio gioventù, l’impressione è che la classe egemone continui a fare il bello ed il cattivo tempo con le armi del diserbo culturale. Abbarbicati a poltrone conquistate attraverso la disperazione o la rassegnazione della gente che non è ancora andata via. La storia che continua ad essere scritta dalle solite penne e descritta coi soliti aggettivi.
Alla faccia della ciclicità.
(A cura di Antonio Gabriele – antonio.g76@libero.it)
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