La Città di Vieste e la sua diocesi nel sec. XII (seconda e ultima parte). Dopo la morte del Pontefice Niccolò Pp. IV Masci, avvenuta a Roma il 4 aprile 1292, il Collegio cardinalizio si riunì in Conclave in Santa Maria Maggiore, sull'Aventino, e alla Minerva, ma dovette sciogliersi per una sopravvenuta pestilenza. Il 18 ottobre 1293 i Cardinali si ritrovarono a Perugia, ma il tempo vi trascorse senza che ne risultasse alcun risultato positivo. I Cardinali, ridotti a soli 12, erano infatti divisi in due fazioni irreconciliabili: l'una capeggiata dal Card. Matteo Rosso Orsini, l'altra dal Card. Giavomo Colonna. Né valevano a conciliare gli animi dei porporati le notizie di rivolte e disordini scoppiati a Roma e in altri centri dello Stato pontificio a causa della secolare avversione tra le due potenti famiglie, né le proteste che giungevano da ogni parte per i gravi inconvenienti provocati dalla vacanza sovrana. Tra gli episodi che precedettero la conclusione del lungo Conclave vengono ricordati, più che altro per quello che accadde in seguito: l'accorato appello di fr. Pietro Angeleri da Morrone, in fama di santità, al suo protettore Card. Orsini; l'intervento diretto di Carlo II d'Angiò, Re di Napoli, nella sala delle adunanze cardinalizie, che sarebbe dovuta rimanere preclusa agli estranei, il che provocò le rimostranze del Card. Benedetto Gaetani. Allorché. il 2 luglio 1294, dopo due anni e tre mesi di attesa, il Conclave elesse all'unanimità nuovo Pontefice il detto fr. Pietro, esso s'era ridotto a soli 9 Cardinali. Furono gli stessi a parlare dell'accordo finalmente intervenuto fra loro, dovuto, in mancanza d'ogni altra spiegazione, a un prodigio [SILONE Ignazio, L’avventura d'un povero cristiano, Verona, Mondatorì, 2° ed. ,v: 1968, pag. 256]. Le fonti essenziali della biografia di fr. Pietro Angeleri, che assunse il nome di Celestino pp. V (onde oggi è più spesso comunemente detto S. PierCelestino Papa) si trovano negli atti del processò di canonizzazione. Nacque nel 1215 a Isernia (la famiglia di contadini, penultimo di 12 figli. A sei anni perdette il padre Angelerio. Giovanissimo, si fece monaco nella Badia benedettina molisana di Falfoli, dove rimase tre anni. A quel periodo risale la sua formazione culturale, rimasta piuttosto rudimentale. Apprese il latino dai libri sacri e dalla liturgia, ma non, neanche per approssimazione, la storia civile, il diritto e le altre discipline profane: Ignazio Silone addebita a ciò l'impossibilità sua di rendersi conto della crisi del proprio tempo, determinata dalla disgregazione del mondo feudale e della christianitas e dall'insorgere di nuobi bisogni sociali” (o.c. 257). Dopo un breve soggiorno a Roma, dove ricevette la consacrazione sacerdotale, preferì ritirarsi in un eremo. Per cinque anni visse in una grotta alle pendici del monte Morrone, un contrafforte della Maiella, sopra Sulmona. In seguito, cercò rifugi più lontani dai luoghi abitati, per sfuggire alla crescente sua popolarità. Alto di statura, robusto di corpo, allegro e vivacissimo di aspetto, dolce e attraente d'eloquio, verso il 1240 fr. Pietro interruppe per qualche tempo la vita eremitica e cominciò a organizzare in gruppi comunitari i numerosi fedeli attratti dalla crescente fama dei suoi prodigi e delle sue virtù. La congregazione cosi da lui formata ebbe un primo riconoscimento de facto nel 1263 da Urbano Pp. N Pantaléon, ma, in seguito, poiché contro il moltiplicarsi di nuovi Ordini venne riesumata la deliberazione del Concilio IV Lateranense (1215) che li vietava, egli si recò nella primavera del 1275 in Francia, dove era riunito il Concilio II di Lione, per implorare dal B. Gregorio pp. X Visconti un'eccezione a favore del proprio Ordine. Il Papa gliela concesse, a patto però che la congregazione si dichiarasse un semplice ramo dell'Ordine benedettino, alla stregua dei Camaldolesi, Cistercensi, Cluniacensi, Olivetani, Trappisti e Vallonbrosani. La sua Regola ricalcava quindi quella benedettina, dalla quale si differenziava per un maggiore rigore nelle penitenze. In quel periodo la nuova congregazione si chiamò semplicemente dei Frati di Pietro da Morrone, oppure dei Frati morronesi, o anche della Badia di Santo Spirito presso Sulmona. A capo della congregazione era l'Abate di Santo Spirito, che veniva eletto per un triennio dal Capitolo Generale. I frati vestivano una tunica bianca con cappuccio nero e portavano come sopravveste una cocolla nera. La congregazione aveva come stemma una Croce con una S intrecciata alla parte inferiore dell'asta verticale {o.e., pp. 257 s.]. Dopo più di due anni di sede pontificia vacante, il fondatore del nuovo ramo benedettino, venerato come santo negli Abruzzi, nel Contado di Molise e in Capitanata, fu eletto nel 1294 Sommo Pontefice col nome di Celestino pp. V, e da lui prese nome l'Ordine dei Celestini . Era già un vecchio di 72 anni. Appena consacrato, egli rinnovò la Costituzione di Gregorio pp. X Visconti relativa all'elezione dei Papi, revocando le bolle di dispensa dei suoi predecessori. Riformò molte istituzioni, specialmente monastiche, favorendo però esageratamente il suo istituto dei Celestini [ARIENTI Sac. Giuseppe, o.c., pp. 376 s.]. Ebbe sede in Napoli, ove favorì un trattato di pace per la Sicilia fra Re Carlo II di Napoli e Re Giacomo II d'Aragona e fu accusato di essersi lasciato dominare però troppo dal primo. Sentendosi impari al gravissimo ufficio e non volendo che il suo pontificato tornasse in danno della Chiesa né dell'anima sua, dopo essersi consultato con i Cardinali dichiarò con sua Costituzione "potere un Papa deporre la suprema dignità": il che fece infatti, nonostante le opposizioni di Carlo Il d'Angiò e di alcuni Cardinali, tra i quali Benedetto Gaetani, che sarebbe stato chiamato a succedergli come Bonifacio pp. VIII. In pubblico Concistoro, il 13 dicembre 1294, protestò di "deporre spontaneamente e liberamente la dignità pontificia, dando al Sacro Collegio piena e libera facoltà di eleggere canonicamente un nuovo Pontefice [ O.C., pg.377]. L’impressione destata dalla decisione di Celestino fu ovunque enorme e non solo tra gli Spirituali, ma anche tra i cultori del diritto canonico, non pochi dei quali si sentirono stimolati a contraddire la legittimità dell'abdicazione. Ma lo sgomento fu enorme soprattutto tra la stragrande maggioranza di quanti avevano salutato in Celestino il Papa spirituale, l'immancabile realizzatore della riforma della Chiesa, il pastore angelico atteso dall'umanità. Non era in gioco soltanto la sua persona, quanto il sogno e l'ideale di quella Ecclesia spiritualis, che da tempo accarezzavano e la cui realizzazione riceveva così un colpo fatale. Non pochi reagirono accusando di viltà il povero vecchio eremita del Morrone: fra questi Dante Alighieri, del quale è notissimo il duro giudizio su Celestino Pp. V, il Papa che "fece per viltade il gran rifiuto"; anzi, come è noto, Dante mise Celestino nell'Inferno [III, 58 ss.]. Altri, al contrario, come Francesco Petrarca nella sua De vita solitaria [l. II, tr. III, cap. XVIII], elogiarono il suo gesto di sublime disinteresse e di autentica umiltà. Comunque sia, Celestino pp. V si illuse, ridivenendo l'umile monaco fr. Pietro del Morrone, di tornare davvero quello che era sempre stato. Ma Bonifacio pp. VIII Gaetani, temendo - e non infondatamente - che alcuni ne potessero sfruttare la debolezza e servirsene per i loro interessi, non gli permise di rientrare nella sua antica cella. Invano Celestino tentò la fuga dirigendosi da Rodi Garganico in mare per la costa epirota; respinto dalla tempesta, naufrago sul litorale di Vieste, rifugiatosi a S. Maria di Merino, fu catturato il 16 maggio 1295 e condotto da Guglielmo l'Estendard, Connestabile del Rehno di Napoli, prima a Capua e di lì poi ad Anagni, nella residenza di Bonifacio pp. VIII, suo successore. Dopo breve tempo, vista l'impossibilità di addivenire a una qualsiasi forma di collaborazione, Bonifacio fece custodire Pier Celestino nella vicina rocca di Fumone, sopra Fermentino, da sei cavalieri e 30 armati e questi ivi morì il 19 maggio 1296, in età di 81 anni. Solo allora - e solo alle sue spoglie - gli fu permesso di riposare nella quiete d'una Chiesa celestiniana, quella stessa S. Maria di Colle maggio che aveva visto un giorno la sua incoronazione. Scrive Ignazio Silone [o.c., pag.260]: < Corse subito voce che egli fosse stato assassinato per ordine di Bonifazio. Degli indizi pro e contro questa gravissima accusa si è discusso parecchio, senza però giungere a una conclusione certa. Dagli avversari di Bonifazio tra l'altro si accennò al ritrovamento d'uno scalpello che sarebbe stato l'arma del delitto. Maggiore peso hanno senza dubbio alcune antiche raffigurazioni iconografiche. L’immagine di San Pier Celestino con la palma del martirio si trova scolpita nella campana maggiore della badia di Santo Spirito a Sulmona, come pure è disegnata nel Digestum scriptorum Coelestinianae Congregationis ... e in un affresco di pittore abruzzese del XIV secolo nell'eremo di Sant'Onofrio. E' anche sintomatico che, nei giorni nostri, il drammaturgo cattolico tedesco Reinhold Schneider abbia accettato in pieno la versione dell'assassionio nel suo dramma celestiniano ... > - Il Re di Francia Filippo il Bello, che voleva farne l'emblema di una Chiesa disinteressata e pura, in solis spiritualibus, chiese qualche anno dopo la sua canonizzazione come santo Martire e Clemente pp. V di Got, che non si sentiva di permettere uno sfruttamento così scoperto del modesto eremita, si limitò a farne un santo Confessore il 5 maggio 1313 in Avignone [FALCONI Carlo, Storia dei Papi e del Papato, vol. ID. Milano, CEI, pago 388]. Ma nemmeno l'atto della sua canonizzazione fu esente da ambiguità, poiché concorse ad affrettarla, oltre la fama delle sue virtù e dei suoi prodigi, la ferma volontà di Filippo il Bello, che si riteneva mosso, in verità, da odio alla memoria di Bonifacio pp. VIII. La breve durata di questo pontificato e le successive vicende turbarono non poco la vita della congregazione dei Celestini in Italia, ma ne favorirono l'espansione in Francia, proprio grazie alla protezione di Filippo il Bello, in odio a Bonifacio pp. VIII Gaetani. Sorsero allora Conventi celestini anche in Belgio, Boemia, Inghilterra e Spagna. Essi vissero ancora per vari secoli senza infamia e senza gloria: nel corso del 1600 si accentuò la loro decadenza. La Rivoluzione del 1789 li soppresse in Francia, Napoleone Bonaparte in Italia nel 1810. Vita del tutto effimera ebbero i Poveri Eremiti di Papa Celestini, nei quali si raccolsero i Francescani "spirituali" subito dopo l'incoronazione di Celestino pp. V nel settembre del 1294, per darsi un aspetto legale e sfuggire alle conseguenze della lotta loro fatta dai FF. MM. Conventuali e ai Tribunali ecclesiastici. La loro tranquillità ebbe la durata del pontificato di S, Celestino, poco più di tre mesi. Appena egli abbandonò la tiara, i fraticelli spirituali furono oggetto di persecuzioni spietate. Bonifacio pp. VIII Gaetani sciolse formalmente la loro improvvisata congregazione nel 1302. Si fa questione sulla condotta di Papa Bonifacio VIII, che gli successe, favoleggiando di timori incussi a Celestino per farlo abdicare, ma la sana critica storica ne ha fatto giustizia, E' anzi comprovato che il Card. Benedetto Gaetani (il futuro Bonifacio pp. VIII) fu uno degli oppositori alla rinuncia. Così pure, se Papa Bonifacio fece custodire Celestino nel castello di Fumone, non fu certo per togliere di mezzo l'abdicatario, ma per impedire che si abusasse della semplicità di Celestino a danno della Chiesa. Nativo di Anagni, Bonifacio pp. VIII Gaetani salì al trono pontificio il 24 dicembre 1294 in seguito all'abdicazione di Celestino Pp.-V. Eruditissimo in utroque jure e addirittura princeps nel diritto canonico, appena eletto ebbe cura di riportare la sede pontificia in Roma per assicurare l'assoluta indipendenza della S. Sede. Se - scrive l'Arienti [o.c., pp. 379 s.] "revocò tutte le grazie e i privilegi che papa Celestino imprudentemente aveva largito", ciò fu necessario "perché molte di queste grazie erano state carpite all'ingenuo Celestino" e fu ciò che gli procurò molte inimicizie e calunnie. In quanto sia alla opportunità e legittimità della rinuncia al trono pontificio di Celestino pp. V che alla severa condotta di Bonifacio pp. VIII, occorre considerare che per un Romano Pontefice il bene della Chiesa deve venire prima di tutto. In quanto a quella abdicazipne, val la pena ricordare che vi furono precedenti e non ci fu soltanto Celestino pp. V. Essa fu, come quella, di cui abbiamo avuto notizia mentre di ciò scrivevamo, di Benedetto pp. XVI Ratzinger, una ammissione coraggiosa del declino delle forze umane e un gesto di fede nella provvidenza divina. Solo chi ignori il diritto canonico e pretenda tuttavia di discuterne può disapprovare quel gesto, revocandone in dubbio la legittimità. Sia prima della codificazione la C. 1 de renunciatione, I, 7, in VI° che poi il C.J.C. 1917, al can. 221, hanno previsto il caso "si contingat ut Romanus Pontifex renuntiet", ma richiamando quei testi, anche il Codex Juris Canonici vigente prevede, al can. 332, § 2, la rinuncia libera e debitamente manifestata del Romano Pontefice al suo ufficio. Il Martyrologium Romanum gregoriano-clementino-benedettino registra, alla data del 19 maggio: Natalis sancti Petri de Morono, quiex anacoreta summus Pontifex creatus, dictus est Caelestinus quintus: sed Pontificatu se abdicans, et in solitudine religiosam bitam agens, virtutibus et miraculis clarus migravit ad Domuum. Emilio Benvenuto
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