La svolta di Michele Protano, vero dominatore socialista. Il Comune garganico era considerato la Monte Carlo del sud. Il salotto della villa di Protano, con vista imperdibile sul golfo era crocevia del fior fiore del socialismo pugliese (e non solo): da Rino Formica a Tommaso Pesce, da Peppino Di Vagno a Titino e Claudio Lenoci. Nel turbine delle manifestazioni estive: lo scoprimento del busto a Michele Protano, sulla più bella terrazza della "città bianca", si illumina di luce propria: c'è, infatti, la voce - del richiamo nativo rivolto agli eletti dello stesso sangue che Peschici, assediata e deliziata dal mare, manda al suo figlio adottivo migliore. Ed è come se invocasse ancora un aiuto, un soccorso morale, il timido affetto che è nel ricordo. Così la cerimonia diviene un messaggio, una sorta di colloquio con Sindaci, Deputati regionali e nazionali, Parlamentari europei che si ritrovano a una "festa", nella calura dei primi giorni di luglio. Ed è facile immaginare i discorsi che si intrecceranno, nel vento leggero che soffia dal mare, correlati alle infinite necessità di questo meraviglioso lembo di terra: l'aeroporto, la strada a scorrimento veloce, le infrastrutture (un brutto neologismo che sa di cemento e di ghisa...), per evitare che i problemi restino, che le promesse aumentino, che comincino a mortificarsi persino le speranza. La "festa" di stasera dovrebbe servire a rimuovere ostacoli secolari, a sanare vecchie piaghe, sospingendo i nomi della politica, dell'economia, dell'industria, dell'Università, dell'arte, del giornalismo a fare qualcosa di concreto per Peschici e per il Gargano, in nome della solidarietà e della concordia regionale, per quei vincoli affettivi indissolubili che agli uomini (anche a quelli di oggi) non è lecito dimenticare o sciogliere: l'amore del paese, la tenerezza delle memorie. Ecco, nel suo significato più intimo, il valore della cerimonia, che è un po' la speranza che Peschici torni "a riveder le stelle". Ora, vedo quasi il sorriso 'Compiaciuto di Protano, all'annuncio della pace raggiunta nella sua terra, in una sera di festa. E' stato, a metà degli anni '60, senza ombra di dubbio, con Michele Protano, ginecologo di prim'ordine, socialista ("rara avis" in un Gargano per metà democristiano e per metà comunista), dominatore per circa mezzo secolo della politica garganica, che Peschici, fino al dopoguerra miticamente isolata nel Promontorio, d'un tratto "si mise alla testa del litorale garganico, si espanse, si guardò intorno, esplose, ma senza perdere - nonostante alcuni abusi edilizi il suo fascino naturale, senza lacerare le proprie tradizioni: silenzio tra gli ulivi, fughe di scale, ricordi moreschi nelle case a dado, vicoli scoscesi come "bocche di lupo", tetti e reti a onda come il mare, calette, spiagge d'oro fino, il Castello con la sua "pedana di Icaro", la torre di via Le Ripe. Il Recinto Baronale con l'iscrizione sul portale sul portale datata 1735, l'Abbazia di Kalena (di cui si stenta a supporre l'originario splendore per il colpevole degrado), e poi Procinisco, S. Nicola, Cala Lunga, Manacore, Manaccora, con il grottone legato a interessanti reperti dell'età del bronzo, Sfinale ... Per Protano, le nove Muse contavano poco. Per lui, contava soltanto la decima, la politica, che riassumeva ed esaltava: l'Amministrazione, infatti, primeggiò, in ogni occasione sulla politica astratta, e il provvedere alle necessità concrete sui progetti vaporosi e vaghi (nascono di qui la strada litoranea Peschici-Vieste, il lungomare "Enrico Mattei" e l' "Omnisport" a Vieste, la prosecuzione della strada a scorrimento veloce del Gargano, una serie innumerevole di interventi decisivi nel settore dell'edilizia scolastica e della viabilità provinciale, ridotta, allora, a "carrera" messicana. Anche a quel tempo, però, non era tutto un idillio. L'eterna legge della politica è quella della ricerca del meno peggio, e a questo assunto Protano cercò di adattare le sue decisioni. Con i suoi "delfini" non ci fu sempre "feeling": di Mimi Mazzone, intelligente, narcisista, "poseur", Protano si fidava poco, e di Matteo D'Ambrosio tutti erano convinti che facesse il Sindaco"ad nutum", a un cenno, per specie di contratto revocabile. Matteo, invece, godeva di ampi spazi di autonomia, e con il "tutor" aveva stabilito un rapporto di "concordia discorde" o meglio di "discordia concorde". Solo Lorenzo Palazzo a Protano rimase sempre fedele, con una devozione inalterabile, e gli diede pochissime noie. La D.C., che gli si contrapponeva, in tanti anni non registrò affermazioni signifìcative, attestata, com'era, su posizioni rancorose e di rigida conservazione, e soprattutto incapace di proporre un credibile modello di sviluppo alternativo. Un flop clamoroso fu, per sconfiggere Protano, la candidatura del "partigiano" Mario Di Lella (le cui fortune si favoleggiava provenissero dalla scoperta del “tesoro di Dongo"), sostenuto anche dalla destra. Di Lella fu sonoramente sconfitto, e se ne persero le tracce i peschiciani avevano capito che per lui la politica era soltanto una gara per la conquista del potere, e che gli ideali e i principi erano mascherature. L'unica volta che l'operazione riuscì fu con Michele Sarro, il "giudice sindaco". La sua vicenda amministrativa, però, non fu di lunga durata; "Don Michele" amministrò con i codici sul tavolo, che, secondo le migliori tradizioni, applicò rigorosamente (per gli altri). Comunque, pare impietoso che molti lo ricordino soprattutto per le ardite "ristrutturazioni" nella Sua villa a Cala Lunga e per le omeriche liti da "pollaio condominiale" con il dirimpettaio Giorgio Toni, "barone" della Facoltà di Medicina bolognese. La plateale, quasi tattile, rappresentazione della consistenza dei contrapposti schieramenti, "naturalmente" separati, si aveva la domenica, alla Messa delle 11, alla Cattedrale o alla Chiesa di S. Antonio, dove convenivano tutti coloro che nel paese avevano una qualche posizione sociale, un nome o semplicemente un vestito nuovo da mostrare. Il sole, infatti, entrando dai finestroni, produceva un gioco di colori in cui le vesti festive delle donne risaltavano e splendevano. La "funzione", così, era insieme Messa e festa cittadina, Chiesa e salotto. Peschici, ormai, era considerata la Monte Carlo del Sud. Il salotto della villa di Protano (allora, in strenua e non sempre leale competizione con l'altro grande del socialismo garganico, il rodiano Teodoro Moretti), con vista 'imperdibile sul golfo era crocevia del fior fiore del socialismo pugliese (e non solo): da inno Formica a Tommaso Pesce, da Peppino Di Vagno a Tìtino e Claudio Lenoci, da Ciccio Coluccia Mimì Romano e Franco Borgia, da Antonio Cariglia a Mario Tanassi, a Walter De Ninno (“Walterino", dalle colonne della battagliera "Gazzetta di Foggia", metteva allegramente allo spiedo i ras e i prelati dello scudocrociato). Era di casa anche Aldo Ravelli, il "mago" di Piazza Affari che, nel bene e nel male, rifletteva l' euforia e la depressione della Borsa di Milano. Ravelli aveva fatto, incoraggiato da Protano, consistenti investimenti immobiliari a Manacore, e già l'architetto e urbanista udinese Marcello D'Olivo aveva dato vita all'Hotel Gusmay, opera ispirata a Wright, Aalto e Le Corbusier, in sintonia perfetta con le indicazioni dello strumento urbanistico redatto dall'architetto Renato Bazzoni, vice-presidence di "Italia Nostra", la gloriosa (allora) Associazione ambientalista fondata da Umberto Zanotti Bianco. Capitava talvolta di sorprendere a un tavolo del "Barocco" la figlia Nina con il marito Achille Occhetto, prima che questi indirizzasse il Partito Comunista verso un'Ideologia di tipo occidentale e prima soprattutto che il click del fotografo immortalasse a Capalbio il bacio del "pie' veloce" alla nuova compagna Aureliana Alberici. E poi il meglio del giornalismo e dell' arte italiani... Arrivavano a casa Protano, grazie all'intercessione di Libero Montesi, già direttore del Telegrafo di Livorno e poi redattore capo dell'Europeo, che viveva nella pace di Procinisco, Lamberto Sechi, direttore di Panorama in compagnia di Gaetano Tumiati e della moglie Emilia Granzotto, le firme più autorevoli del giornale, Livio Zanetti, direttore dell'Espresso formato lenzuolo, bolzanino come Montesi, in compagnia di Camilla e Antonio Cederna, Maurizio Chierici, allora inviato speciale del Giorno, e Francesco Rosso, prima firma della Stampa di Torino. Rosso ebbe con la cittadina garganica un lungo, affettuoso rapporto e fu l'aedo illustre e puntuale delle bellezze di Peschici, di cui evidenziò anche i ritardi e le contraddizioni in un "reportage" ancora attuale dal titolo "Gargano Magico". Al Castello, in quegli anni, Romano Conversano si muoveva in un suo mondo personalissimo, e le sue tele, con le odalische formose e le stradine tra muti di case dalle volte a cupola pieni di sole, di una potenza di evocazione visiva che fanno quasi sentire le cicale, la polvere, il caldo. Nel 1957, scelse di Vivere a Peschici, nel suo villino a Valle Clavia, Alfredo Bortoluzzi: trovò lì, lontano dal frastuono, una fonte inesauribile di ispirazione e un approdo decisivo per l'elaborazione del suo linguaggio pittorico. Mentre Manlio Guberti, dalla Torre di Monte Pucci, il suo eremolaboratorio ammirava le stelle e non guardava mai la televisione, dimostrando che i poeti e i pittori (quelli veri) esistevano ancora. Avevano casa nel centro antico Francesco Coppola, siciliano di nascita, emiliano di adozione, architetto, "designer", creatore di una "hot house", una sorta di serra creativa in cui incontrarsi e confrontarsi, e Mario Bellini, milanese, "archistar", allestitore di grandi mostre internazionali, più volte "Compasso d'oro", direttore di "Domus", la famosa rivista di architettura, "design" e arte. Arrivava anche con la sua rombante motocicletta da Calenella, dopo aver disegnato le "pantere di campagna", l' "impaziente" Andrea Pazienza, il fumettista che tradusse in disegni la genialità di Fellini e che sarebbe: passato alla Storia per la creatività dei suoi manifesti. Al "Corso", che si animava dopo le 10 di sera, nello scrigno che separa il Barocco, la pizzeria-ristorante da "Peppino" dal "Marimà", mescolati ai peschiciani, ma senza dare troppo nell'occhio, ci si "strusciava" facilmente con nomi famosi dello spettacolo, della finanza, della politica e della cultura: Aldo Fabrizi, Lucio Dalla, le sorelle Catherine e Agnés Spaak; nipoti del grande europeista, in compagnia di Johnny Dorelli e del produttore cinematografico Giorgio Patara, Maria Teresa Balbo dell'Md, con il padre senatore liberale, l'editore della sinistra extraparlamentare Gabriele Mazzetta, Giorgio Fantoni, il "patron" di Electa e Skira, e il medico della nazionale - di calcio Giorgio Vecchiet. Poi fu la volta di Enrico Dalfino, il cultore sommo del Diritto Amministrativo nell'Università barese che, sollecitato da Protano, fece conoscere Peschici a chi "meritava di conoscerla", come era solito ripetere. Al seguito di Dalfino arrivo il "gotha" degli imprenditori, dei professionisti e degli intellettuali più importanti e influenti di Puglia (e non solo) che aveva trovato a Peschici la sua sponda: Pasquale Donvito, direttore generale di Finpuglia, Federico Pirro, il tonitruante redattore capo del Tg regionale, gli architetti Dario Morelli e Paolo Pastore, l'ingegnere Angela Cirrottola, coordinatrice del settore urbanistico regionale, l'economista Pasquale Rafaschieri e gli ingegneri Vito Armenise e Lorenzo Ranieri, giovani imprenditori che presto avviarono a Bari l'entusiasmante esperienza di "Villa Romanazzi". E ancora gli amministrativisti Alberto Bagnoli, Felice Lorusso, Vincenzo Resta, Marida Dentamaro Fulvio Mastroviti, gli allievi prediletti di Dalfino, che portarono nelle Università e nelle aule della Giustizia Amministrativa uno 'stile fatto' di signorilità, di eleganza e di profonda cultura. Al seguito di Dalfino, erano pressoché fisse le partecipazioni di Enzo Binetti, il magistrato passato alla politica, dei magistrati amministrativi Guido Meale e Corrado Allegretta, de professore di Diritto Urbanistico Sandro Amorosino dell'ordinario di Diritto Commerciale Luca Buttaro e del famoso civilista della Capitale Carlo Maria Barone. Insieme con il costruttore foggiano Salvator Spezzati, al quale si accompagnavano, di volta in volta, i giudici Michele Ramundo e Mario Apperti, il notaio Dino Giuliani, il commercialista Vittori Postiglione, l'onorevole Franco Cafarelli. Fu quella la "belle époque" di Peschici. E ora che ne è del PSI di De Lauro Matera, di Romano, di Imbimbo, di Bios De Majo, di Ninì Ciuffreda, di Titino Donnanno di Ciavarella, di Paoluccj di Moretti e, appunto, di Protano? Nessun pompaggio, nessun incensamento dei giornali, i leccapiedi tutti scomparsi, solo in ordine assai sparso, rarissimi cortigiani: sogni nutriti abbandoni, di rimpianti, "cose che potevano essere non sono state". Sogni gozzaniani. Ma anche presagi grevi, speranze sfiorite. Nella Direzione Nazionale entrano ormai tutti, proprio tutti. Anche gli assenti, anche chi veleggia o è già approdato ad altri lidi. Che tristezza! Un Partito, dunque, inesistente, un Partito in svendita ai saldi. Che farebbe oggi Protano? Continuerebbe a difendere il PSI, il suo prestigio, la sua autonomia? E con quale animo assisterebbe alla malinconica "batracomiomachia" tra Di Gioia (Lello) e Lonigro? Dove sarebbe terminato il suo percorso di uomo di fede? E avrebbe continuato a fare politica “fuori”, anziché rimanere paralizzato “dentro”? Domande oziose, evasive destinate a scivolare via come l’acqua sulla pietra. Ma, torniamo a Peschici... Che ne e di quella Peschici? Tutte le volte che vi facciamo ritorno, alcune mutazioni ci avvelenano l'esistenza. Certo è difficile ricostruire, anche solo nel racconto, la vita di quegli anni, di cui abbiamo potuto vedere gli ultimi guizzi, ed è già uno sforzo notevole ritrovare nel nostro spirito quei modi, quei costumi, quelle figure, quel mondo. Dove non è possibile rincorrere il corso di quegli anni è nella fascia che avvolge i fatti, è la loro atmosfera, il loro clima, la loro "vibrazione", la loro "garganicità". Siamo noi di quel tempo gli ultimi che ne parliamo a memoria. E paragonando le nostre dirette impressioni, vediamo che qualcosa di essenziale manca a chi si avvale delle cronache, dei diari, degli epistolari, delle “carte”. Manca qualcosa nelle testimonianze, qualcosa che sarebbe vano cercare perché, purtroppo, è svanita, si è volatilizzata: erano la passione, la dedizione "cieca", la convinzione "totale" nella crescita del Promontorio; e non il prodotto di mero raziocinio, di calcolo, di "studio" a fare da "stella polare". Forse, però, sotto pelle, sotto le apparenze, l'organismo dei peschiciani (e dei garganici) è cambiato assai meno che si creda: forse, l'anima semplice, sorgiva, l'indole è ancora quella. Comunque, il nostro Gargano, uno dei più affascinanti paesi del mondo non può - anche grazie a Protano – più dirsi un'isola, non può considerarsi terra vergine. Bando, dunque, alle nostalgie infettive, e mettiamoci dalla parte dei protestatari contro le inadempienze regionali e statali. Sicuro, il Gargano non è più terra vergine, ma, nonostante la rinnovata "ferrovietta" e la fiumana di automobili che, a luglio e agosto, a passo di cerimonia, sfilano per le nostre rotabili, le novità utili sono poche: le nozze con il continente non sono state ancora degnamente celebrate. "Provando e riprovando" Cè il classico "provare e riprovare" del filosofo), il responso sarà benigno. E' l'augurio che alimenta le nostre speranze. Ed è, in fondo, poi qui che "si parrà la .. , nobilitare" di Franco Tavaglione e di Antonio Potenza. Peppino Maratea l'Attacco
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