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« 25 marzo 1957-2007: buon...Giovani idee cambiano l'Italia »

Missione Afghanistan: salvare il soldato Prodi

Post n°160 pubblicato il 27 Marzo 2007 da fabri.t
 

Il secondo episodio della saga thriller nella location del Senato. A poche ore dall’approvazione, salvo sorprese, del copione finale.

D’Alema contestato dagli oppositori all’ Università di Firenze, Bertinotti contestato da quelli che di norma sono suoi sostenitori, Berlusconi e le false o veritiere dichiarazioni del Ppe, Mastrogiacomo e gli Usa. Il calderone politico preparatorio c’è stato ed ora al voto. Contrari, astensionisti, dissidenti, maldipancisti, combattuti tra i fatti sul territorio afgano, il desiderio di pace senza concessioni ed i conti con la politica estera di governo nel suo complesso, si va in Senato a votar.

Silvio Berlusconi sembra aver scelto: il gruppo di Forza Italia dovrebbe astenersi dal voto sul decreto per le missioni all'estero. Al Senato, l'astensione ha lo stesso valore di un voto contrario e se da un punto di vista istituzionale e degli addetti ai lavori si percepisce la differenza, non è lo stesso sul versante politico e rischia di non essere ben compreso dall’opinione pubblica. O meglio, compreso e disapprovato. Anche An e Lega hanno annunciato una probabile astensione. E così la coalizione di centrodestra, che sbandiera tanto l'interesse nazionale, il ruolo internazionale dell’Italia nella Nato ed il rapporto con gli alleati americani, dopo aver votato per il “si” alla Camera molto recentemente, sembra orientata a negare il suo appoggio alle missioni italiane all’estero adducendo, in maniera che non può facilmente discostarsi dall’accusa di essere strumentale, motivi riguardanti regole d’ingaggio (che sono decise collettivamente dalla Nato e non dai singoli governi, per cui il nostro non le può cambiare a suo piacimento) e apparati militari insufficienti. Motivi che si prestano ad essere giudicati giochetti di bassa politica per fini politici interni nazionali, costruiti sulla politica estera del paese.

Con la giusta eccezione dell’Udc di Casini che promette un “si” pur con alcuni emendamenti presentati ed un proprio Odg che è risultato pervenuto fuori tempo regolamentare, si andrà ora a conteggiare il numero dei dissidenti all’interno della coalizione di governo. Un no annunciato (Turigliatto), un no previsto ma forse assente dall’aula (Rossi), un altro no forse assente per indisposizione (Bulgarelli), alcuni indecisi (Rame e Di Gregorio, quest’ultimo verso l’astensione). A scanso di decisioni impreviste di alcuni elementi difficili (Dini, Fisichella) e considerando l’appoggio di 5 senatori a vita (Ciampi, Montalcini, Colombo, Scalfaro e Andreotti, ma mai fidarsi troppo di quest’ultimo) e con Cossiga ammalato e dato per assente, Prodi dovrebbe salvare la pelle.

Poche ore al verdetto. Chi c’è c’è, gli altri si accomodino fuori.

 
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fabri.t
fabri.t il 05/04/07 alle 16:21 via WEB
Io comprendo entrambi. C'è una cosa che noi tutti sappiamo: le istanze, quelle della società civile, dei simpatizzanti, anche della base, non possono essere rappresentate al 100% da un uomo che ora riveste un alto ruolo istituzionale. Si forma sempre una discrasia tra i progetti ed i principi portati avanti “dal di fuori”e quelli che poi si riescono effettivamente a realizzare una volta raggiunta la posizione “dentro”la cosa pubblica. Il caso delle contestazioni a Bertinotti è uno di questi, così come il discorso vale per il voto dei “dissidenti” (io li chiamo anche “coerenti”), i senatori della sinistra radicale che hanno votato a favore (a malincuore) sul decreto di rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. Io sono per la pace senza se e senza ma, vale a dire il nostro paese non avrebbe mai dovuto partecipare a queste missioni, è ovvio. Mi rendo conto che sto per dire cose scontate ma bisogna pur sempre ricordarsene, lo faccio anche io nei confronti di me stesso. Si può votare NO (come Turigliatto, e lo comprendo) con il rischio però di far cadere il governo (sul dato numerico sappiamo com'è andata, quindi questo è un ragionamento retroattivo). Cosa faremmo se sedessimo in Parlamento? C’è sempre una situazione di contesto, di coalizione ancorché di gruppo politico da tener presente. Ecco perché dico che esiste sempre una discrasia tra i desideri e principi di base e quelli che effettivamente si possono realizzare nelle istituzioni. Non pochi dicono che Bertinotti da quando è a capo di Palazzo Madama non sia più lo stesso e non può esserlo fino in fondo. Fischiamolo pure se vogliamo, è un segnale che può essere perfino utile, anche se i politici sono abituati ad essere amati e odiati, e spesso il sentimento è ambivalente nei propri sostenitori. Bertinotti non se la prenderà più di tanto, capirà il perché di quei fischi, sono certo che in cuor suo vorrebbe fischiarsi lui stesso, sembra paradossale ma è così. Ciò che a me più piace guardare è piuttosto la chiarezza. Diliberto, ad esempio, riesce sempre o quasi ad essere chiaro, anche quando dice che il suo partito ha un potere minore all’interno della coalizione e che non può far tanto la voce tanto grossa. L’alternativa poi è sempre quella di far cadere il governo e sinceramente non so cosa sia meglio per chi vuol portare avanti le proprie posizioni, è sempre una scelta molto difficile. Portare avanti in pieno i propri principi costi quel che costi o tentare di lavorare sulle coscienze per ottenere quel che si vuole sul lungo periodo (ed in questo caso votare si ed impegnarsi nel lavorare per un futuro no, un futuro ritiro dall’Afghanistan e dalle zone di guerra). Dunque la scelta prospettata da “enjoy” è chiara e capisco anche le rimostranze di “lenin”. Ogni volta una scelta difficile, qualcosa si ottiene qualcosa no, nella ricerca di un bilanciamento tra forze politiche spesso distanti all’interno della coalizione di governo. Oppure si fa saltare tutto. E questa prospettiva è sempre viva.
 
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