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Fortaleza Report

Giorno dopo giorno da Fortaleza

 

Messaggi del 30/05/2012

Giocattoli in via d'estinzione

Post n°679 pubblicato il 30 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Mi hanno sempre incantato fin da quando, le prime volte, li ho intravisti, fra cianfrusaglie ed altre mercanzie, accatastati l'uno sull'altro,  messi in fila o raccolti dentro ceste. Li puoi incontrare facilmente, nel centro di Fortaleza, esposti sui marciapiedi sopra un telo lanciato lì da qualche venditore ambulante. O nei negozi di  souvenirs, ferramenta ed articoli per la casa, fra zampe di capra trasformate in bottiglie e bicchieri, grattuggie per il cocco, morsi per cavalli, pentolame e filtri per il caffè.  

Sono giocattoli commoventi, fatti di niente, con materiale di riciclo, soggetti a continui rinnovamenti, incorporano saperi ereditati da generazioni precedenti e mescolano passato e presente. Mi  commuove ancor più il fatto che, se li continuano a fare, qualcuno li comprerà, ancora. Bambini evidentemente non ancora viziati da play station ed eroi virtuali improbabili, che si divertono a lanciare una trottola di legno, a giocare con burattini e marionette, a trascinare con un cordino automobili e camion di latta. Avvolti in sacchetti di plastica, per non farli impolverare, costano pochi reais e mi devo trattenere dal comprarli tutti, per la mia collezione personale. 

  

 

C'è chi, la collezione l'ha fatta ed assai seriamente, giocattoli da museo che finiscono esposti dietro vetrine, raccolte private di appassionati, studiosi con passioni antropologiche, come quel David Glat che ha creato il Museu do Brinquedo Popular a Bahia, come la raccolta presso il Museu do Homen do Nordest a Recife, quella del Museu Emilio Goeldi a Belem, e come la ricercatrice di cultura popolare Macao Goes, la cui bella e ricca collezione è visibile presso il Memorial da Cultura Cearense a Fortaleza, una delle prime cose che ho visto, arrivata qui. Come dimenticarla, come non apprezzare le marionette con ritagli di stoffa, come non sorridere davanti ad un autobus pieno di dettagli, ad una bottiglia di plastica trasformata in aeroplano, a deliziose miniature di casa di bambole, dove non manca niente, dai mobili alle suppellettili, piccolissime, c'è pure il vaso con i fiori..

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Anche se semplice, povera, popolare, è di cultura che stiamo parlando, una cultura spazzata via da bambole parlanti e giochi elettronici, veri aggeggi infernali i giochi contemporanei. La varietà dei giocattoli in mostra è davvero ampia, tante bamboline di stoffa artigianali, nella versione Lampião e Maria Bonita, mulatte e bionde, novelle spose con sposi altrettanto novelli, barchette di legno colorate  e jangadas in miniatura, elicotteri e aeroplanini di vari materiali e fogge, girandole colorate, altalene, macchinine e ruspe, il bus scolastico e il pulmann turistico.. e poi marionette e bellissimi segnavento, con le pale che girano e i personaggi  che si muovono. I  camioncini- forse i più complessi, composti da più pezzi, poi assemblati. Si utilizzano latte d'olio riciclate, pulite e tagliate con cesoie, pezzi di cassette da frutta e legno,  pezzi di pneumatico di trattore diventano ruote, il cambio e lo sterzo in fil di ferro. Colori sempre molto forti, azzurro, giallo, rosso, tutt'al più bianco. Assai realistici per le rifiniture precise, copiate da fotografie, fasce dipinte nella carrozzeria, specchietti retrovisori, tubi di marmitte, antenne per la radio. 

Giocattoli fatti da tempo immemorabile, da artigiani sognatori, poco cresciuti o con la voglia, rimasta intatta, di sentirsi ancora un pò bambini. Venduti nelle fiere di paese, quelle nordestine, tipiche, dove si trova di tutto e tutti ci vanno, dove si mangia in baracchette di poche pretese ed è tutto cucinato lì davanti, "na hora"  (sul momento), dove si vocifera, si urla, si chiacchera, dove puoi ancora incontrare un poeta, dove puoi ascoltare un cordelista  che con microfono alla mano - si è anche lui modernizzato - declama versi. Fiere come quelle di Crato o di Juazeiro do Norte. Alcuni si sono specializzati in qualcosa, hanno, come dire un cavallo di battaglia- c'è Zè do trem (ossia Giuseppe del treno) che a Juazeiro fa solo locomotive e vagoni, oltrechè rotaie di legno e riproduzioni di stazioni ferroviarie disattivate. Quasi uno spaccato di realtà, fra le altre cose, questo mondo dei giocattoli.

 tram (bonde) in miniatura

Il figlio invece, per non  far concorrenza al padre, quasi una forma di rispetto, ha deciso di diversificare la sua produzione e costruisce trattori, camion e sopratutto elicotteri. Anche se abitano in luoghi assai distanti dalla capitale, dove non è facile reperire pezzi e  materiali, si adeguano e sanno, il più delle volte, riciclare di tutto, anche pezzi che non sono riusciti a vendere. Vengono esposti davanti casa, sui marciapiedi, lungo  le strade che portano dritte dritte alla statua di padre Cicero, quella che attrae turisti e pellegrini, nella speranza di attirare qualche acquirente, anche loro.

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

C'è chi impara dal padre e chi da un artigiano, come Josè Mauricio che ha sempre lavorato nella bottega di uno stagnino e fra una grondaia e l'altra, fra lampadine e bacili, si diverte anche a fare giocattoli, navi in particolare. E' un perfezionista e cura tutti i dettagli, attento alle più piccole rifiniture.  Anche Zè do Avião (letteralmente "Giuseppe dell'aereo") è appassionato di mezzi di trasporto, ma aerei.. a casa sua ne ha due esposti belli grandi, non sono proprio aeroplanini i suoi, misurano un metro e mezzo, un jet ed un boeing, come quelli che atterrano nel piccolo aeroporto della cittadina cearense. Da un tronco di umburana, realizza capolavori, con tanto di turbine, scalette, ruote e strumenti di navigazione, tutto copiato dalle riviste. Ne ha persino uno a forma di pavone, in omaggio al famoso cordel "Il pavone msisterioso". Anche Mestre Francorli (Francisco Dias de Oliveira) di Potengi, è uno specialista di aerei in miniatura, ne ha realizzati più di 96 tipi .. il suo sogno nel cassetto ? Poter volare.

 

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

I giocattoli mobili e movibili, la fanno da padrone, c'è  il traca-traca,  educativo  e antico, formato da  tasselli lignei e nastrini di colori differenti che si possono comporre e scomporre a formare figure, lettere dell'alfabeto.  Usato per attirare l'attenzione dei più piccoli nel raccontare loro delle storie, ha un suono inconfondibile, come da nome, onomatopeico.  Il "manè gostoso", è un personaggio del Bumba-me -Boi, la figura dello sciocco, ma è anche un pupazzetto di legno il cui movimento, tramite cordini, è azionato muovendo due aste di legno. Finisce per muoversi come un trapezista che fa piroette e capriole, vere acrobazie con braccia e gambe.

 Ci sono anche i giochini  sonori, come il roi-roi- il cui rumore evoca il suono della cicala- un tempo usato per richiamare i buoi. Costa appena un real questa piccola cassetta cilindrica di argilla, rivestita di carta e tessuto, che agitandola, emette il caratteristico suono. E poi le chitarrine di legno, dipinte, chissà perchè di giallo o di rosso, i fischietti colorati a forma di uccellino, sole, luna o testa d'animale, i tamburelli, e poi trottole (pinhãopião), aquiloni, biglie e le mitiche fionde (baladeiras). Quest'ultime assai rustiche, con un manico in legno appena abbozzato- di arancio, goiaba o jabuti- due elastici ricavati da camere d'aria di pneumatici ed una toppa di cuoio. Proiettili  usati, pietre, palline di terracotta o semi di ricino. Ed ancora lanternine e telefoni di latta, per lo più ricavate da lattine di bevande usate,  pentolini riprodotti alla perfezione, semplici elicotteri con un pannocchia sgranata di mais e piume di gallina, che, con qualche pezzo di stoffa diventano, all'occorrenza, anche delle bamboline..

 

chitarrine e tamburelli in un negozio di ferramenta - Fortaleza

 Le bambole di tessuto sono una diversa dall'altra. C'è chi non ha mai fatto altro nella vita e le considera, affettivamente, tutte figlie sue, magari quelle che non ha mai avuto. Ritagli di stoffa regalati da amiche sarte ed un pò di inventiva, ognuna avrà la sua fisionomia, con abitini che sono un inventario della moda popolare sertaneja.Gonne a ruota o vestitini a fiori, fusciacche e cappellini, capelli a treccia o a chignon, calzoncini e gonne corte. Possono essere piccole, quasi tascabili o alte un metro, con braccia e gambe mobili. Si incomincia dalle gambe, poi si modella il corpo,  le dita, mani e braccia e per ultima la testa. La parte più difficile è il viso, si ricamano a mano ciglia e sopracciglia, occhi, naso e bocca. Alcune bonequeiras amano lavorare in gruppo, sedute in circolo,  e lì a cucire e chiaccherare, altre invece preferiscono stare sole. E non solo figure femminili escono dall'ago e filo,  ma anche bambole ispirate a personaggi reali, con cravatte, cinture e orologi,  cangaceiros, cavalieri, militari, personaggi del reisado, ed anche santi e preti. Possono essere indie e nere, alcune hanno perfino le unghie smaltate. 

 

 

bamboline nei negozi del centro, Fortaleza

Secoli prima le bambole erano di terra cruda. Le donne indie le modellavano per i loro bambini, con argilla e acqua, non ci voleva nient'altro, solo tanta fantasia e manualità.  Pupazzetti di terracotta, abbozzati nei momenti liberi - pochi- magari durante la cottura di pentole e giare. Adesso come allora, non c'è ceramista nordestina che non li sappia fare e quasi sempre chi inizia facendo pentole, finisce poi per plasmare figure. Animali sopratutto, cavalli, buoi e asini, o da cortile, figurine semplici, tipi e caratteri, personaggi, miti e leggende popolare, oppure più complesse scene di vita quotidiana, i venditori, gli artigiani al lavoro, il lavoro nei campi, le fiere, le visite dal dottore, le feste e il folclore. E poi le orchestrine, le coppie che ballano, la donna che fila e quelli che ricama, i santi, la vaquejada e i retirantes (emigranti). Al MAUC (Museu de Arte da Universidade do Cearà) di Fortaleza se ne possono vedere tante, sfilano tra le teche trasparenti, resoconti in miniatura di vita reale, rappresentazione di cose e persone che fanno parte del quotidiano di chi li ha fatti.

 

statuine ceramica popolare (Collezione MAUC, Fortaleza)

 I giocattoli parlano e raccontano. Anche nell'universo ludico si può rintracciare quel processo trans-culturale, tipico del Brasile.  In esso si riflettono influenze differenti, giochi indigeni, africani, provenienti dai diversi continenti.. risulta però difficile stabilire quanto e cosa, ciascuna etnia abbia lasciato. Sicuramente, di origine indios il gusto dell'imitare gli animali, del catturare ed allevare uccellini, la trottola, la peteca (sfera di pelle o paglia, riempita di cotone e con piume sulla sommità, lanciata a mò di volano con il palmo della mano) e le miniature di canoe. Nelle fazendas di canna da zucchero, i bambini neri figli di schiavi africani giocavano con quello che trovavano, e più spesso finivano per diventare loro stessi i giocattoli viventi dei bambini bianchi. Potevano essere usati, maltrattati , e neanche fossero bestie da soma, costretti a trainare carretti o ad essere cavalcati come cavallucci, con una corda al posto delle redini e un ramo come frustino. 

artigiani di giocattoli in miriti,  Abaetuba, Parà

I giocattoli possono intrecciarsi strettamente con la fede, come accade nel Parà. A Belem, ogni ottobre si celebra una delle feste mariane più antiche, sentite e spettacolari, Ciriò di Nazarè. Tanti giocattoli di miriti, una palma tipica - conosciuta anche come buriti (Mauritia flexuosa) - riempono le strade della città, sfilano fra i fedeli dietro la processione alla Madonna, barchette per lo più, ex-voto offerti  per la grazia ricevuta, per la salvezza da un naufragio o da un affogamento, in quella babele di fiumi che è la regione amazzonica. In mezzo alla folla girano gli "homens dos brinquedos" (uomini dei giocattoli), con un asta con vari bracci (girandola) su cui appendono la loro mercanzia (fino a 100 giocattoli), o si concentrano sui gradini della chiesa di N.S. de Nazarè, sui marciapiedi e piazze vicine. Non solo barche e canoe, ma coccodrilli e serpenti,  scimmie, insetti, uccelli,  aeroplani, casette, televisori, tatù (armadilli) radioline, marionette, coppie danzanti,  con colori vibranti, puri, primari, naturali. Ogni anno l'ispirazione cambia, riflette le influenze della città e del quasi immutato universo dei riberinhos (abitanti delle sponde dei fiumi). Giocattoli  fabbricati nel paesino di Abaetuba, a 170 km da Belem, dove la locale coooperativa di artigiani coinvolge più di 350 persone, interi nuclei familiari, tutto ben organizzato, ognuno con una sua specialità, con una gerarchia da rispettare.

 

 barchette ex-voto offerte a N.S. de Nazarè, Belem, Parà

Ma il gioco non sempre è ed è stato riconosciuto come un bisogno essenziale. In vari contesti, soprattutto in quelli di estrema povertà, è stato sempre concepito come una perdita di tempo. Ai bambini delle comunità rurali del sertão è sempre stata richiesta la partecipazione al lavori degli adulti, il loro aiuto nelle faccende domestiche era indispensabile, servivano a questo. Nonostante questa negazione dei diritto a giocare per milioni di bambini, brasiliani e non, l'atto del gioco è sempre stato presente, anche se concentrato in tempi ridottissimi (spesso solo la domenica), perchè, come ha ben scritto l'antropologo L. Camara Cascudo, "la disponibilità al gioco non abbandona mai l'uomo, in tutta la sua esistenza".

"Baladeiras" Jò Fernandes

 
 
 

Mission impossible

Post n°678 pubblicato il 30 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Albert Eckout (1610-1666)- Danza tarairiu

All'indomani della scoperta e della conquista delle nuove terre, circolarono in Europa, oltre a mappe di navigatori, descrizioni di novità varie e stranezze. Ciò che maggiormente suscitava curiosità erano gli indios, abitanti di questi territori  ed il mondo teologico iniziò a porsi delle domande. Queste creature così diverse- ci si chiedeva- facevano parte del genere umano ? Viste le loro abitudini di vita e l'"empietà" in cui erano precipitati, fu subito chiaro che necessitavano di un rigoroso bagno per pulire le loro anime sporche da tanto abominio. Di qui il proliferare di trattati impregnati di una teologia messianica allucinata : l'espansione territoriale della penisola iberica era vista come una missione divina, quello di evangelizzare le nuove terre, un sacro dovere legittimo. Discorsi che invece rispondevano alla necessità di attribuire una qualche "dignità" formale ad una mera guerra di conquista e sterminio.

 

xilografia di Theodore De Bry- "America" (1592)

In un primo momento visti come un popolo buono, bello, puro, prodigo con gli stranieri, accogliente e generoso, nelle relazioni successive gli indigeni erano descritti come bestie, indemoniati, dediti all'antropofagia, sottomessi a riti magici, a convivenze poligamiche lussuriose, la cui vita era dedita alla pigrizia e all'indolenza. Di qui il piano di conquista, studiato quasi a tavolino da religiosi da un parte e coloni dall'altra. Entrambi d'accordo sulla necessità di sterminarli o sottometterli- così  per lo meno affermava padre Nobrega nel 1558 -processo che peraltro, rispetto ad altre zone dell'America latina,  fu più lento ed ebbe assai meno successo. Qui le tribù erano più arretrate e ciò li rendeva assai più resistenti e ribelli. Lo sterminio in realtà, più che per massacri di massa, fu causato da epidemie che falcidiarono intere tribù. La necessita di schiavizzarli era giustificata dai missionari stessi, per i quali era più conveniente tale schiavitù "legittima" - e quindi nella loro ottica giusta- rispetto al pericolo di una schiavitù illegittima.

 

scene tratte dal film "The mission" di Roland Joffè

La loro cattura, ad opera di gruppi di "cacciatori" di indios, era considerata indispensabile e lodevole, al fine di poterli utilizzare come forza-lavora ed incorporarli in spedizioni militari contro altri indios. L'intervento di missionari, di vari ordini religiosi (carmelitani, francescani e gesuiti) attraversò fasi differenti e con approcci di vario tipo. Da quelli più violenti, in cui con l'imposizione si tentava di estirpare usi e costumi considerati inaccettabili e detestabili, primo fra tutti quello di mangiare carne umana, di avere più donne, di andare in giro nudi, di credere negli sciamani e di vagare continuamente da un territorio ad un altro, a quelli più suadenti, tentando di convincerli e farli convertire in forma spontanea, ricorrendo a danze e canti, feste e processioni, attirandoli con regali ed oggetti. In un primo tenpo i missionari  si recavano nei villaggi indios e risiedevano lì con loro, ma bastava che si allontanassero, perchè gli indigeni tornassero alle loro abitudini di sempre. 

La creazione di missioni, sorta di villaggi "artificiali" fu un altro tentativo. Qui gli indigeni venivano condotti o attirati, non erano propriamente prigionieri, era come se fossero orfani sotto tutela dei padri missionari. Dovevano lavorare per mantenersi e per far prosperare la comunità di cui facevano parte. Fra il 1583 e il 1589 padre Cardim, del collegio di Bahia, visitò alcune missioni e descrisse ciò che vide, facendo una sorta di bilancio generale sui popoli indigeni che abitavano le coste e il sertão. Il tasso di mortalità era altissimo, erano ormai rimasti in pochi, molti fuggivano per non essere schiavizzati. Al loro arrivo al villaggio, i visitatori erano accolti da feste e danze quasi farsesche, ma nonostante ciò, allegre. La routine all'interno delle missioni iniziava con una messa molto presto, ogni ora della giornata era dedicata a qualcosa in specifico, c'era un'ora per lavorare i campi, per pescare, per cacciare, un'ora per pregare - in portoghese- un'ora specifica per leggere e scrivere - in scuole dove i bambini apprendevano anche a cantare e suonare- e persino un'ora in cui accoppiarsi - visto che la popolazione era drammaticamente ridotta e bisognava farla moltiplicare. Le ore erano scandite dal suono delle campane, motivo per cui la prima preoccupazione dei padri missionari  era quella di costruire una chiesa, vero fulcro della missione, attorno alla quale ruotavano tutte le attività e si svolgevano i riti religiosi.  

 

chiesa di Almofala/chiesa di Viçosa do Cearà (missioni gesuitiche nel Cearà)

Le missioni funzionavano come piccole entità economicamente autonome, producevano una grande quantità di alimenti, tutto gestito sotto il controllo dei religiosi. Sorsero su terre concesse per decreto regio, di solito una lega quadrata. Il genere di vita cui gli indios vennero forzati era assai diverso da quello cui erano abituati e ciò provocò notevoli cambiamenti. Se prima erano migranti, adesso divennero stanziali, prima vivevano in grandi capanne collettive, ora ognuno aveva una sua abitazione monofamiliare. Se prima non avevano alcun tipo di senso del peccato e del pudore e giravano tranquillamente nudi, ora erano spinti a vestirsi - soprattutto le donne - ed avere atteggiamenti sociali e sessuali differenti. Uno delle modifiche più rilevanti era quella riguardo il loro rapporto con il lavoro.  Abituati a sfruttare le risorse naturali il giusto che gli serviva, ad avere un profondo rispetto per la natura e per la grande varietà di cibo ed alimenti a loro disposizione tutto l'anno, non concepivano il bisogno di lavorare. Per chi? per che cosa ? si domandavano. Erano due visioni profondamente diverse, se non opposte. Da una parte gli indigeni con la loro naturalezza del vivere e del morire, uniti da un grande senso comunitario e di solidarietà e di armonia con la natura, dall'altra i colonizzatori con la loro visione della vita come di un eterno lavoro, per produrre, accumulare, guadagnare, comprare, possedere e che considerano la vita degli indios inutile, erano solo degli sfaticati. L'incomprensione era totale e reciproca.

"La prima messa in Brasile" Victor Meireles 1861 (Museo Nazionale di Belle Arti RJ)

Allo scopo di desindianizzarli, nelle missioni vennero mescolati gruppi etnici differenti, tribù completamente diverse, per rompere i vincoli di trasmissione parentale e tribale e distruggere così le loro basi socio-culturali, per trasformarli in un gruppo omogeneo. Anche a livello linguistico i missionari operarono un intervento distruttivo, introducendo una lingua artificiale, creata da loro, un misto di tupi e portoghese. Vennero in tal modo soppressi e piano piano dimenticati tutti i vari idiomi tribali. In un primo momento religiosi e coloni furono coesi e solidali, ben presto però entrarono in conflitto, perchè le sue visioni divergevano notevolmente. Per i primi, gli indios erano creature di Dio e originari proprietari delle terre, con il diritto di sopravvivere in pace, incorporati però alla chiesa, in qualità di lavoratori ed operai -previo abbondono delle loro pratiche rituali.  Per i secondi erano solo bestie da usare in schiavitù e sfruttare il più possibile. La Corona portoghese dapprima sostenne i religiosi, ma una volta che non le servirono più, svolto il loro ruolo, appoggiò apertamente la tesi colonialista e schiavista. Il regno che interessava alla corte, non era quello dei cieli, ma quello terreno, ciò che importava erano i profitti. Era arrivato il momento che i missionari si facessero da parte per far posto agli uomini pratici.

"Villaggio Tapuya" J.M. Rugendas

Il progetto gesuitico era decisamente opposto a quello coloniale. L'idea era quella di creare delle sante repubbliche di religiosi e indios, con una comunione di beni. Sorta di comuni socialiste, le nuove città cristiane virtuose ed operative, impossibili da realizzare nel vecchio continente, ormai troppo corrotto, potevano invece realizzarsi qui, fra queste popolazioni così pure e innocenti. Indottrinando i bambini, si sperava nella futura generazione, era a loro che si guardava come unica speranza di redenzione, di concretizzare le profezie bibliche. Ricostruire la società, secondo un determinato progetto, ricreare il genere umano per dar vita ad una società egualitaria, solidale, pia. Con tali premesse era ovvio lo scontro con i coloni, spesso portato avanti a costo della vita dei missionari, che lottarono con tutti i loro mezzi per difendere idee e missioni. Quest'ultime erano viste dai coloni avidi e rapaci, come una concentrazione di persone reclutabili e disponibile in qualunque momento, e a costo nullo. Non c'era più bisogno di faticare e affrontare foreste impenetrabili - dove nel frattempo le tribù si erano nascoste. Bastava attaccare una missione con qualche uomo armato e depredarla di indios e di viveri, altra fonte di attrazione non trascurabile. La visione dei missionari era troppo utopica e destinata a restare tale. I missionari verranno dapprima minacciati, poi arrestati e cacciati. Infine, per far cessare definitivamente, queste esperienze socialiste precoci, nel 1759  intervenne il Marchese di Pombal decretando la loro espulsione definitiva dalla terre brasiliane. Da questo momento in poi per gli indigeni inizia un periodo di sfruttamento e schiavitù intensiva, fino a quando non verranno sostituiti dagli schiavi africani.Le missioni saranno trasformate in vilas, i catecumeni trasferiti nelle fazendas coloniali.

J.M. Rugendas "Indios nella fazenda"

Nel Cearà non ci sono sicuramente le imponenti testimonianze architettoniche e archeologiche di São Miguel das Missões, la più celebre fra quelle brasiliane, nellos taoto di Rio Grande do Sul,  le cui rovine sono  Patrimonio Unesco dell'Umanità,  e la cui storia è ripercorsa, anche se in forma romanzata, nel bel film di Roland Joffè "Mission" (1986), ma qualche traccia è pur sempre rimasta. Dopo parecchi tentativi, i gesuiti riuscirono nel 1659, superando la violenta ostilità delle tribù locali, ad insediarsi nell'area di Ibiapaba, dove nel 1700 fondarono la chiesa di N.S. da Assunção, dove ora sorge la città di Viçosa do Cearà. Due anni dopo era diventata una fra le missioni più grandi e ricche, con 4000 persone, parecchie terre donate in concessione, un gran quantità di capi di bestiame, un villaggio di dimensioni considerevoli per l'epoca.

  

chiesa S.Josè de Ribamar - Aquiraz (Cearà)

Altre missioni vennero fondate un pò in tutto il territorio cearense : Paiacu (poi chiamata Monte-Mor-Velho), Miranda (oggi Crato), Aracati-mirim (oggi Almofala), Missão velha, Missão Nova (oggi S. Josè de Cariris), Monte-Mor-Novo ( attuale Baturitè, dove esiste ancora un ospizio e convento gesuita),Telha (oggi Iguatu), Salamanca (attuale Barbalha). Anche ad Aquiraz, a pochi chilometri da Fortaleza, sono rimaste testimonianze del passaggio dei gesuiti. Alcuni edifici diroccati- probabilmente l'ospizio di cui parlano alcuni documenti, eretto nel 1727, che serviva ad ospitare confratelli evangelizzatori della regione e fungeva anche da seminario, per i figli dei ricchi proprietari della zona, con vocazione religiosa.  In mezzo alla piazza è rimasta in piedi solo la chiesa di S.Josè de Ribamar, nelle sue forme tipicamente coloniali, così come quella di Parangaba, sede di un'altra missione vicina.

Chiesa Bom Jesus dos Aflitos- Parangaba, Fortaleza

 
 
 

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