Fou de Fois

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Festa di paese

Post n°25 pubblicato il 22 Luglio 2007 da foudefois
 
Tag: Serena

Questa sera abbiamo cenato presto. Come tutti i sabati, ho portato a casa le pizze. Le abbiamo mangiate sul tavolo di plastica del giardino io, mia moglie e mio figlio. Mia moglie ha acceso una candela alla citronella per le zanzare che cominciavano ad assalirci. E’ un inconveniente del vivere in campagna, come cerco di spiegarle.     

Abbiamo mangiato in fretta. La pizza era troppo cotta, come tutti i sabati. Io ho raccontato della partita di calcetto di stamattina. Mia moglie mi ha sorriso e intanto fissava la scritta rossa sul contenitore di cartone della pizza. Pizzeria Express 2000 – di Crea D. Mio figlio continuava ad allungare la testa oltre il giardino. Dalla strada, ci arrivavano le voci e la musica della festa del paese. A tratti si distinguevano anche le parole dell’uomo all’altoparlante, che annunciava le sorprese della serata.

Ci siamo alzati da tavola che ci si vedeva ancora. Ho guardato mia moglie che sparecchiava. Ha impilato i contenitori delle pizze e li ha lasciati sul tavolo di cucina, aspettando che io li portassi nella pattumiera.  E’ suonato il campanello: nostro figlio ha raggiunto gli amici in strada ed è andato alla festa. Mia moglie si è seduta davanti alla tv.

Io ho preso la pila dei cartoni, li ho infilati in un sacchetto di plastica e sono uscito. Camminavo lentamente lungo la stradina che da casa nostra porta ai cassonetti. Davanti agli occhi avevo le lettere rosse: Pizzeria Express 2000 – di Crea D.

Ho infilato i contenitori nel cassonetto, ma era pieno, un angolo è rimasto fuori. Pizzeria Express 2000 – di Crea D. Ho allungato il passo. Alla fine della nostra stradina, comincia il corso principale del paese. Lì ci sono i negozi. E la pizzeria. Aperta da pochi mesi. Io invece abito qui da anni. Da quando ci siamo sposati.

La pizzeria era illuminata a festa, il sabato è giorno di punta, soprattutto in sere come questa. Donato era dietro il bancone, ma non l’ho visto subito, perché rimaneva nascosto da una pila di pizze già confezionate. Quando mi ha visto, mi ha invitato ad entrare con un cenno della mano. E mi ha sorriso. Da amico. Perché siamo amici. O meglio, eravamo amici. Lui adesso è all’ospedale, in rianimazione, mi hanno detto.

E io sono qui, in questura, per spiegare agli agenti perché sono entrato in quella pizzeria, perché sono saltato alle spalle del mio amico Donato, perché l’ho sbattuto, come una bestia, contro il forno una due tre volte, perché dopo che è caduto l’ho riempito di calci alle gambe, al ventre, alla faccia. Lui ha cercato di reagire ma non c’è riuscito, non ha fatto in tempo,  d’altra parte da un amico uno non si aspetta di essere massacrato.

Anche quando l’ho visto che non si muoveva più e aveva la faccia piena di sangue, non mi sono fermato. Anzi ho continuato a colpirlo, ancora più forte. Finchè non sono arrivati i carabinieri e mi hanno portato via.

In quel momento è arrivata anche mia moglie.

Era stravolta, ma non mi ha neanche guardato. Ed è salita sull’ambulanza con lui.

 

 

 
 
 

GEMELLI

Post n°24 pubblicato il 22 Luglio 2007 da foudefois
 

 

Fabio e Luca erano gemelli. Monozigoti. Praticamente indistinguibili per chiunque, a parte la mamma, che non sbagliava mai. E inseparabili. Le maestre, già alla materna e poi alle elementari avevano insistito a lungo per dividerli. Per la loro autonomia. Perché di due gemelli ce n’è sempre uno dominante, e uno che per forza di cose subisce la sorte opposta, cioè viene messo sotto. Ma la mamma aveva paura che soffrissero troppo, a essere separati. Così,  avevano passato insieme anche i tre anni delle medie.

Per le superiori, nessuna incertezza: l’istituto tecnico era stata una scelta obbligata per entrambi. Dopo il diploma, li aspettava un posto nella piccola azienda del papà, alle porte di Bologna. Le professoresse però furono perentorie: bisognava separarli, a tutti i costi. Era uno dei criteri che seguivano nella formazione delle prime classi.

La mamma aveva dovuto accettare, a malincuore.

Quella mattina di dicembre arrivò a scuola con il cuore che le scoppiava. Si fece largo a fatica fra le grida degli altri genitori e la concitazione dei pompieri. Attraverso il  fumo nero che usciva dallo squarcio nel tetto, uno dei suoi figli le corse incontro, senza fiato. Lo strinse forte. Gli chiese dove fosse suo fratello.

Ma per la prima volta non  riuscì a capire quale dei suoi due figli aveva davanti. E quale invece aveva perduto.

 
 
 

La classe

Post n°23 pubblicato il 20 Luglio 2007 da foudefois
 
Tag: Laura

Nella nostra classe siamo diciassette alunni.

Il primo è Giuseppe. Lui è alto, impetuoso, si arrabbia se lo critichiamo. Ha le
mani grandi. Vorrebbe prendere tutto.

La seconda è Serena. Lei ha i capelli biondi. Cerca l’ordine della frase, la
infastidisce il chiasso, vuole fare bene i suoi compiti.

La terza è Caterina. E’ sorridente, è luminosa. Si interroga sui suoi esili,
quando scrive.

La quarta è Raffaella. Era molto brava in italiano, a scuola. Il maestro dice
che dovrebbe dimenticarsene.

Il quinto è Gianni. Il nostro attore americano in classe. Scrive di coppie
borghesi, dei loro amori fatui.

La sesta alunna è Tullia. Si appassiona, nella scrittura. Ama gli uomini belli,
il loro fascino.

La settima è Laura, la più vecchia. Lei ha le mani piccole. Sorride molto.
Forse ha paura.

L’ottava è Sara. E’ energica e sicura, le piace raccontare.

Il nono è Danilo. Ricorda quello che gli diceva la sua professoressa. Ma adesso
cerca la sua lingua nascosta.

Il decimo è Lorenzo. Ha un piccolo notes dove scrive le sue storie già quasi
perfette, che ci sorprendono ogni volta.

L’undicesima è Silvia. Sembra Pippi Calzelunghe. Ha una passione per la vita e
le sue storie buffe.

La dodicesima è Modesta. Deve lottare con la sua timidezza , ogni volta che
legge. In genere, è lei che vince.

Il tredicesimo è Alfredo. Ha gli occhi vigili, ci scruta. Scruta la sua
scrittura.

Il quattordicesimo è Ivan. Il nostro leone con il cuore gentile .

La quindicesima è Arianna. E’ tutta spigoli e interrogativi. La chiameresti la
Colette del ventunesimo.

La sedicesima è . E’ appena uscita da un romanzo di Amélie
Nothomb. Si diverte.

La diciassettesima è Alessandra. E’ misteriosa e calma. Qualche inquietudine
dentro la arrovella.

La nostra classe ha un maestro. Si chiama Marcello. E’ piccolo e amorevole. Ha
una gentile pancia tonda. Si spiega con le sue mani aggraziate. Ci ascolta. Ci
osserva. Sorride. Non si spazientisce..
Ci sentiamo un po’ abbandonati, quando se ne va..
Ci piace molto, il nostro maestro.
Siamo contenti che sia stato lui, il nostro maestro.
Grazie, maestro.




Per il 25 giugno 2007

 
 
 

Colpi di sole

Post n°22 pubblicato il 20 Luglio 2007 da foudefois
 

 

AREA BENESSERE



Tutte le mattine mi svegliavo triste. Le mie giornate erano un lento decollo verso il benessere. Ogni tanto durante la tarda mattinata o verso le quattro del pomeriggio, avvertivo un segno di miglioramento dell’umore e cominciavo ad essere contento. Al terzo o quarto segno iniziavo ad esaltarmi, riacquistavo una certa fiducia nelle mie possibilità di arrivare alla sera di buon umore. All’ora di coricarmi generalmente stavo benissimo. Peccato che era ora di dormire. Mi consolavo pensando che non era da tutti addormentarsi contenti. Bisognava accontentarsi.

Dovevo accontentarmi anche al mattino, quando aprivo le lenzuola coperta e copriletto a fiori, come un sipario su una mezza tragedia. Che fossero i fiori a mandarmi a male durante la notte?

Eppure avevo eliminato tutte le cattive abitudini. L’unica che mi era rimasta era quella di svegliarmi al mattino che non è poi un’abitudine malsana. Non fosse che ero triste.

Pensai a delle soluzioni. Via il copriletto a fori. Uscire di più alla sera. Lavorare sul corpo.

Lavorare sul corpo è un espressione che ho preso a prestito da una mia amica psicologa clinica che si occupa di una malattia che si chiama dismorfofobia. Tutte le dismorfofobie. Che sono tante. E consistono nel non piacersi. Ci si guarda allo specchio e ci si deprime: ci si vede troppo grassi, troppo alti, naso troppo grosso, eccetera. Non era per la dismorfofobia che ero triste. La dismorfo fobia l’ho tirata in ballo soltanto per dire qualcosa di questa mia amica Paola e che se l’era presa perché nei miei racconti non compariva mai col suo nome vero , tantomeno in qualità di psicologa clinica laureatasi a Padova con centoeotto su centodieci. Io non sono dismorfofobico, tanto più adesso che sono dimagrito dieci chili con la dieta a zona. Nella realtà Paola si chiama Adriana e sostiene che non la cito mai nei miei racconti perché Adriana è un nome da massaggiatrice e io non parlo mai di massaggiatrici, nei miei racconti, ma soltanto di psicologi clinici e dietologi. Vedrai che capiterà l’occasione di citare anche te, l’ho rassicurata.

Comunque mi pareva strano che la mia amica psicologa clinica mi desse un consiglio simile. Pensavo che gli psicologi lavorassero sulla psiche, che invitassero i pazienti a lavorare sulla psiche. Allora chiesi, alla mia amica Paola psicologa clinica laureatasi a Padova: “Perché con tutti i tuoi pazienti lavori sulla psiche e a me consigli di lavorare sul corpo?”. Lei tirò un sospirone di non so quale origine e stava per dire una cosa, poi si fermò e ne disse un’altra. Sono sicuro, anche se non sono psicologo clinico. Prima mi squadrò da capo a piedi ed io mi sentii lusingato da quello sguardo squartamaschi da uno e novanta per ottantacinquechili pesoforma avallato dal dietologo a zona. Paola, da buona psicologa clinica mi aveva messo di buonumore narcisistico (un narcisismo sano, assicurava) per poi tirarmi una sciabolata diagnostica da centoeotto su centodieci (non il massimo, insomma): “si può arrivare a rimettere in sesto la psiche, passando dal pensiero, ma tu sei troppo contorto, figlio mio, il tuo cervello ha almeno il triplo di circonvoluzioni di un cervello normale, ma la metà lavorano per te, l’altra metà no so per chi o per cosa comunque remano contro, e tu stai sempre fermo attraccato a qualche ragionamento superfluo. Puoi aggiustare la psiche passando dai sentimenti, stella, hai dei sentimenti sempre un po’ troppo esagerati, tu vai a fare la spesa e ti innamori delle cassiere. Questo è solo un esempio s’intende”. E la sua voce mi parve attraversata da un impercettibile tremolio di gelosia. “Lavora sul corpo, dà retta a me, bel fioeu!”.

Lavorami al corpo, Paola, dacci dentro, comincia subito!”

No…è meglio che cominci un po’ da solo.”

Ti pago!”

Sono una massaggiatrice?”

No, sei una psicologa clinica.”

Ah!”

Ma non era tanto arrabbiata. Comunque di Paola ho parlato abbastanza e tutti sapete che fa la psicologa clinica e non la massaggiatrice. E che io le piaccio un po’. Almeno fisicamente.

Adriana, fa la massaggiatrice.


* * *


Allora mi sono iscritto ad una palestra che avevano appena inaugurato. Cominciai a frequentarla assiduamente. Al martedì in tarda mattinata, ancora un po’ triste dal risveglio. Al giovedì pomeriggio tardi, leggermente euforico. Alla domenica sera, leggermente troppo euforico.

Nuotavo in piscina mezz’ora il martedì. Quaranta minuti il giovedì. Un’ora e mezza la domenica sera.

Una domenica sera, dopo la nuotata, mi chiesi perché mai avessi dovuto spendere tutti quei quattrini per l’abbonamento Total fitness per usare soltanto la piscina. E la mia risposta fu che da quella sera avrei cominciato d usufruire dell’Area benessere, cominciando dal bagno turco seguito da doccia gelata e idromassaggio. In seguito, se fossi sopravvissuto al bagno turco, avrei provato a suicidarmi con la sauna finlandese.

Così, superati sbarramenti elettronici vari con fotocellule dall’aleatorio funzionamento (avvicinare la tessera al lettore, digitare sullo schermo di un computer che se non funzionava dovevi usare il mouse, scavalcare, con accappatoio e tutto, tornelli in acciaio bloccati, dentro a gommose infradito sdrucciolevoli, passando davanti alla porta d’entrata che si apriva, quella sì, da sola, lasciando entrare tutti i venti da nord a sud, dalla tramontana al libeccio a gelarti i malleoli e le rotule) arrivai nell’area benessere.

Mi tolsi l’accappatoio con un impaccio pari al sollievo, pari alla preoccupazione di ammalarmi con tutto quel vento gelido sulle caviglie, pari al mio compiacimento nel vedermi magro giusto nello specchio appannato, pari alla mia difficoltà a sfilarmi quelle infradito che si erano infilate nei miei piedi in pianta stabile, barcollai, aprii la porta a vetri ed entrai nella nebbia turca.

Ciaaao”

Un miagolio da gattina ventriloqua in calore. Quel ciao veniva dal movimento peristaltico di un intestino tenue, smosso a comando da un riflesso condizionato di ermeneuticamente non interpretabile se non paragonato (come effetto su chi scrive) allo sguardo scimitarra turco-saracina da capo a piedi con cui Paola mi aveva segato in due dopo avermi consigliato di lavorare sul corpo. Quel miagolare improvviso proveniente dall’antro sinistro dello striminzito bagnetto turco s’infilò come la pallina di argento vivo di un flipper d’altri tempi nel mio stagionato dedalo cerebrale, rimbalzando dalla corteccia orbito frontale al sistema limbico, dall’ipotalamo all’ippocampo, su e giù come un otto volante, un otto volante per sette volte sette che farebbe 362 volt di scariche elettriche (quasi una al giorno e bastanti per tutto l’anno, se distribuite con saggezza) che rimisero in funzione sinapsi bloccate da anni come i tornelli in acciaio della palestra. Il mio lavoro sul corpo era finalmente iniziato ed io mi sentivo una potente macchina a vapore da tremila watt. Nonostante l’elettroshock non si accese nessuna lampadina e dire che sarebbe stato provvidenziale. La gattina era in supercalore, io e la lampadina fulminati, il bagno: turco e buio come una notte a Firenze con un falcetto di luna che si specchia nell’Arno.

Meno male che sei entrato perché non mi piace mica star qui senza luce da sola…”

La lampadina è bruciata”, diagnosticai.

E la porta non si chiude ermeticamente, ma l’ambiente, per fortuna è caldo”

A me lo dici? La prima volta che entro in un bagno turco, lo trovo buio e pieno di miagolii. Semibuio.

Coni e bastoncelli e poi finalmente retina e pupilla si adattarono alla semioscurità. Vidi comparire un corpo giovane che terminava con due piedini che, peccato che non ero feticista. Non ero. Perché lo diventai quel giorno. Lo chiamano retifismo. E’ una bella perversione, credetemi. Più bella della dismorfofobia. Il costume era olimpionico, i fianchi idem. Di più non vedevo. Sono miope ed astigmatico. Gli occhiali erano nella sacca griffata, la sacca nell’armadietto, l’armadietto nello spogliatoio della piscina, due computer, tre tornelli d’acciaio, quattro fotocellule più indietro.

Non vedevo il volto. Per cinque minuti non sentii nemmeno più la voce.

Tentai di farmi gli affari miei. I miei pori si aprivano uno dopo l’altro. con uno sbadiglio. Cercai di ascoltare lamusica dei pori. Se New Age dev’essere, che sia fino in fondo.

Poi mi sembrava davvero cretino non attaccare discorso con una ragazza giovane, al buio, la domenica sera che ero carico come una pila al litio, in un’area benessere deserta e con quello che avevo pagato per iscrivermi.

Ma tu quanto resisti qui dentro?”, chiesi.

Io stavo già boccheggiando. Lei stava distesa su un fianco, appoggiata al gomito, come Paolina Bonaparte.

Oh delle volte non mi accorgo e mi addormento pure”.

E quando ti svegli come sei di umore?”

Io avrei risposto :”Acqueo”, perché avevo una gran voglia di far lo spiritoso, ma la risposta toccava a lei.

Rilassata”

Era stesa sul sedile piastrellato con piccole tessere di mosaico monocromo verde, come un’antica romana sul suo triclino. L’atmosfera era vagamente pompeiana.

Poi adesso sono così stanca che…è tutta settimana che mi sveglio la mattina a certe orette…e oggi son proprio stanca…non ho fatto neanche palestra, sono venuta direttamente qui.”

Io ho fatto un’ora e mezza di nuoto”

Eh, quello sì che fa bene, ma l’acqua è così fredda che uno rischia di ammalarsi…”

Sì, lo pensavo anch’io”. Lo pensavo più di tutti gli altri pensieri in assoluto.

Ma sei di origine veneta?”. Aveva uno spiccato accento da film di Tinto Brass.

No, bergamasca”

Ah, di Bergamo alta o bassa?”

Oh, no, bassa. Bergamo alta ci abitano soltanto i milanesi ricchi che lavorano a Mediaset”

Cioè, son case antiche…”

Ristrutturate e vendute a dei prezzi…Però mia madre è di Pisa, io sono uno strano ibrido”

Sentivo qualcosa di toscano qua dentro. A parte il fumo”. La domenica sera ero irresistibile.

Non riuscivo ancora a vederla in volto. Comunque a me bastava anche così. Anzi… Ebbi la mia solita scarica di associazioni da flipper scassato. E va bene pensai alla torre di Pisa e all’erezione di un cinquantenne che secondo un mensile salutista non arriverebbe ormai più oltre i quarantacinque, cinquanta gradi, al massimo. E alla temperatura di ottanta gradi centigradi forse anche meno. Non avevo molte speranze in quel senso. Potevo tentare di farla innamorare di me. Poi al prossimo appuntamento, più al freschino… Io ero già cotto.

Mi dispiace di non poterti vedere in faccia. Ti immagino, ma non ti vedo. Tra l’altro sono senza occhiali.”, dissi.

Anch’io sono senza occhiali”

La ragazza si sollevò da quella posizione ala Paolina Bonaparte e si mise a sedere. Mi tese la mano e si presentò sporgendosi verso di me per mostrarmi il viso. Bello. Collo da cigno. Labbra, occhi, tutto a posto da almeno vent’anni.

Io mi chiamo Isa”

Isa di Pisa…”

Mi sembrava di essere alle elementari.

La situazione era di un onirico da far spavento, per questo la racconto, mica di sicuro per parlare di Paola, tantomeno di Adriana.

Come in un sogno accaddero le cose più strane. Non fu la più strana in assoluto…o forse sì…quella del bicarbonato.

Premetto che avevo iniziato la nuotata della domenica sera con un po’ di peso sullo stomaco che andò via via assumendo nel mio flipper le sembianze dei prodromi di una congestione. La dieta a zona prescrive di mangiare una barretta da un blocco (troppo difficile spiegare cos’è un blocco) proteine-carboidrati & grassi nelle percentuali 40 – 30 – 30 mezzora prima dell’attività fisica. Tre minuti dopo l’inizio dell’attività fisica (nuotata), quel blocco ce l’avevo sullo stomaco. E me lo portai fin dentro al bagno turco. Ad un certo punto, a circa venti minuti dall’inizio dell’incontro, dopo aver riempito di stronzate quel bagno turco che ormai sembrava più una turca, rimasi a corto di argomenti. Ci pensò Isa a riattaccare discorso. Mi sorprese non poco l’argomento.

Vuoi un po’ di bicarbonato?”

Scusa non ho sentito…”

Vuoi un po’ di bicarbonato?” E mi porse una scatoletta di plastica nera che aprii scoprendo piena di una polvere bianca. Bicarbonato, spero.

Si mette su un guanto di crine e si strofina su tutto il corpo. Oh, qui è l’ultima moda adesso…”

Il guanto di crine, oggi…purtroppo…”

Toh, tieni”

Mi passò anche il guanto di crine.

Credo che se avessi resistito altri cinque minuti nel forno, cioè se fossi stato abbastanza tosto, il lavoro sul corpo me lo avrebbe iniziato Isa, bergamasca di Pisa.

Non è che ti voglio dare tutti i miei avanzi…”

No, anzi…”

Cominciai a strofinarmi il corpo di gusto col guanto di crine e bicarbonato.

Mettine pure di più eh, non fare complimenti…”

Non no basta così, grazie, ho digerito.”

Sei spiritoso! Lavori anche tu a Mediaset?”

Oh, no…poi non sono sempre così. Solo la domenica sera…”

Scoppiò a ridere di gusto.


Sentivo le tempie pulsare e la pallina elettroencefalografica assume nere un moto rettilineo uniforme. C’era troppa roba là dentro: Isa distesa sul triclinio, il caldo, l’amore, il bicarbonato e persino il guanto di crine che mi stavo strofinando distratto persino sulla faccia.

Io esco Isa, perché non sono abituato a starci dentro così tanto.”

Eh sì, infatti non fa mica tanto bene.”

Grazie Isa, è stato un piacere.”

Che menasse un po’ gramo?

Piacere mio”, rispose la ninfa con quella sua intonazione da film di Tinto Brass. Purtroppo il regista di quella domenica dev’essere stato un altro.

Uscii dal bagno turco e barcollai fino alla chaise longue a doghe di frassino più vicina. Mi sdraiai e chiusi gli occhi. Dopo cinque minuti di panico in cui immaginai tutte le possibilità di finale più tragiche, riuscii ad alzarmi e a riinfilarmi nell’accappatoio madido. Però sinceramente non me la sentivo di saltare in quello stato tutti quei tornelli d’acciaio bloccati e mi rimisi disteso sulla chaise longue. Isa era ancora dentro al bagno turco, l’unico posto, l’unico momento in cui la vidi, in vita mia.

Richiusi gli occhi e provai qualcosa di simile al benessere. Forse la felicità. Un attimo dopo mi addormentai.

 

Giannimarchetti









CON QUESTA POESIA HO VINTO LA MEDAGLIA DI BRONZO PER LE PARI OPPORTUNITA’ ALL’HOT POETRY SLAM DI CANNES NEL 2001. L’AVEVO INTITOLATA “LE PALLE”. POI HO DECISO DI NON CAMBIARE IL TITOLO E DI LASCIARLA INTITOLATA “LE PALLE”. BUON DIVERTIMENTO.LE PALLE


Sono una donna di trent’anni.

Non vado a cerca di farfalle.

Cerco ‘ste famose palle.

Cerco un uomo che ammetta che non esistono.

Così almeno sarebbe sincero.

Che ci vogliono le palle… a essere sinceri.

Che ammettesse di essere ipocrita.

Che anche ad ammettere che sei ipocrita… ci vogliono le palle !

Che ammettesse di essere fragile. Che anche ad ammettere di essere fragili

ci vogliono le palle,

alla fine.


Che non mi facesse girare le palle. Con questa storia delle palle.

Che ne ho già due palle…

Che tanto esistono mica ‘ste fantomatiche palle…

Vorrei un disoccupato, che anche ad essere disoccupato…

Drogato. Chissenefrega.

Guarda che anche per drogarsi, ci vogliono le palle…

Vorrei un uomo che facesse il servizio civile. Perché anche a fare il servizio civile ci vogliono le palle. Anzi che fosse riformato, perchè non ha le palle. E se ne sbattesse le palle.

Vorrei un uomo che avesse le palle di ammettere di non avere le palle.

Allora lo prenderei tra le braccia e gli direi :“vieni cucciolotto mio, non ti crucciare.Cosa vuoi che sia un paio di palle?”

Guarda me.

Io non le ho mai avute le palle, eppure ho un lavoro, ho una casa, un fuoristrada, diciotto dipendenti, due serve e un servitore, un marito e un genitore,

ma soprattutto ho te.

Quindi, cosa mi serve ancora,

per fare la signora’?

Anzi,da commercialista, sai cosa ti suggerisco?

Fatturami due palle,

così frego anche il fisco.


 
 
 

Il cielo

Post n°21 pubblicato il 19 Luglio 2007 da foudefois
 

Una distesa si vede là su

prima azzurra poi blu

ci son tante nuvole che sono cotone

quasi quasi di colore arancione

e di sera cosa c'è?

Ah già delle stelline come

piccole luccioline.

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 03/07/2007
 

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