Creato da Franzhi il 13/06/2006

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7 - Km 1829

Post n°54 pubblicato il 16 Ottobre 2007 da Franzhi
 

11 agosto 2007. Dopo qualche tentennamento tra Piazza Armerina e Agrigento, abbiamo deciso di avviarci verso Marina di Ragusa passando attraverso la Valle dei Templi. Da lì raggiungeremo gli altri proseguendo lungo la costa meridionale della Sicilia. Salutiamo Gigi, lasciandoci Bagheria alle spalle. Giò dice che sarebbe il caso di fermarci a prendere qualcosa per il viaggio, in macchina abbiamo solo una bottiglia d’acqua. Accosto ad un fruttivendolo, lungo la via. Scegliamo qualche pesca, un po’ di susine e dell’uva. Mettiamo la frutta nella borsa termica insieme all’acqua e ripartiamo. Il tratto di strada che va da Palermo ad Agrigento ci mostra la Sicilia che ci aspettavamo, brulla, arsa dal sole, ma non così desolata come si potrebbe pensare. Macchie di verde scuro, tra l’ocra della terra riarsa e qualche appezzamento bruciato dagli incendi, ci sorprendono, ancora una volta. Mi fermo per osservare un’altura del tutto particolare, sembra rubata ad un film di Sergio Leone, scendo per fare una foto. Il vento mi sposta in continuazione i capelli e ci metto un po’ a liberare l’obiettivo, poi quando sembra tutto a posto aspetto ancora, in attesa, come se da un momento all’altro dovessero spuntare Clint Eastwood e Lee Van Cleef a sfidarsi in un ultimo mortale duello. Pigio il bottone, guardo la foto sul display LCD della macchinetta, ma non compare nessuno, né sulla foto, né all’orizzonte. Risaliamo in macchina.
Giriamo intorno ad Agrigento e, ad un tratto, otto colonne, di cui alcune mozze, si frappongono tra noi e la vista del mare. Guardo l’interno dell’auto, il blue tooth che continua a lampeggiare, il cellulare, l’autoradio con tutti quei suoi caratteri digitali sul frontalino, e penso che, no, non può essere. Qui, al massimo, si dovrebbe poterci arrivare a cavallo e con i sandali ai piedi!
La Valle dei Templi è stata riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità, e vorrei ben vedere! Io e Giò non siamo esperti archeologi, il massimo che riusciamo a fare è di inciampare tra le rovine senza distinguere se si tratta di sassi o di pezzi di qualcosa di più importante, però, in alcuni casi, quel che è rimasto qui suscita una certa impressione, per l’armoniosità delle strutture rimaste in piedi, per le loro dimensioni e, soprattutto, per il pensiero che, chi è stato capace di questo l’ha fatto migliaia di anni fa, senza ruspe, gru o bilici di supporto.
Peccato per il panorama, a vederla dal parco delle Divinità Ctonie, la città di Agrigento non sembra davvero all’altezza di quel che c’era qui un tempo.
Mi sono comperato un cappello, del tipo Havana, bianco, con la fascia nera. Penso che risulterò abbastanza ridicolo nelle foto che Giò sta scattando in continuazione, ma almeno non corro il rischio di prendermi un’insolazione. E poi le mie pose sono tutte al naturale, altro che quei due tizi che si stanno facendo fotografare in piedi su una pietra, sotto le colonne d’Ercole con il loro Chiuaua in braccio. Ma, dico io, queste divinità non guardano mai sotto? Giò, ride e mi dice che era Giove quello che scagliava le saette, e qui il tempio suo nun ce sta! Vorrei risponderle qualcosa, che qualche rudimento di mitologia ce l’ho anch’io. Ma riesco solo a dire, cazzo che merda! Mentre estraggo la mano intrisa del succo delle susine che si sono spiaccicate dentro la borsa termica, sotto il peso della bottiglia d’acqua. Giò si sganascia e io vado in cerca di una fontanella tra il Tempio della Concordia e il Tempio di Giunone. Mi ripulisco e finiamo il giro, mescolati alla massa straripante di turisti che, come noi, sfidano il sole di Agrigento pur di dire “là ci sono stato”.
Da Agrigento a Marina di Ragusa la strada costiera corre liscia, circondata da serre rivestite di teli beige o di nylon nero, che rendono il paesaggio ora più arso, ora simile al mare, ingannando l’occhio dell’osservatore che, girando verso nord si aspetta di trovare le colline dell’entroterra e cade vittima di un’illusione visiva.
Gela scivola via come l’olio lubrificante sull’acqua, sarà per il cielo di quest’ora, azzurro cupo, sarà per l’imponenza delle sue raffinerie. Al momento di svoltare al bivio per Scicli e Vittoria mi sento sollevato. Giò pilucca quel che rimane dell’uva, mentre guarda in giro il paesaggio con quell’espressione di genuina curiosità che è solo sua. La guardo di tanto in tanto, mentre guido, e penso che mi piace anche per questo. Do’ un’occhiata allo specchietto retrovisore e scorgo il bordo della mia bocca curvarsi in una piega di soddisfazione. Ormai ci siamo.
Marina di Ragusa si presenta come una tipica località balneare, la città si sviluppa lungo la costa a ridosso della spiaggia e del lungomare. Incontriamo lì i nostri compagni per le prossime scorribande sull’Isola. Ma per quel che resta di questo sabato, il copione è già scritto, mi cambio in fretta e infilo costume, infradito e ombrellone sotto il braccio, dopo tutto questo sole, ci vuole un po’ di refrigerio.

(Continua)

 
 
 
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