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CAMPANIA SENZA PRIMARIE, CENTROSINISTRA SENZA CORAGGIO

DI ARTURO SCOTTO E FRANCO MARI

Il 6 e 7 maggio in Campania andranno al voto oltre 80 comuni, molti con più di 15000 abitanti, alcuni davvero significativi per dimensione e importanza nel tessuto sociale e produttivo della regione. Eppure neanche in uno di questi il centrosinistralha scelto lo strumento delle primarie tra i propri elettori per individuare una candidatura a Sindaco unitaria ed in grado di battere la destra. Un caso? Oppure la nostra coalizione è in evidente vantaggio sui suoi competitori ed ha già selezionato con altri mezzi i propri rappresentanti? Niente di tutto questo. Più semplicemente, per responsabilità diffuse, ma sicuramente crescenti con il peso ed il ruolo di ogni partito, si ritiene che l'attrezzo non sia adatto alla bisogna, che si debbano utilizzare altri meccanismi per costruire le alleanze, per definire i progetti di governo, per motivare le comunità locali.

Secondo alcuni, insomma, nient'altro che il segno di un orientamento diverso, teso a costruire aggregazioni più ampie, a cercare fino all'ultimo minuto nella società civile e nelle forze moderate il sostegno e l'impegno per ribaltare i risultati delle ultime tornate elettorali. Secondo noi, invece, il sintomo di ben altri fattori, l'indicatore chiarissimo di uno stato di difficoltà e di confusione su cui non è il caso di tacere oltre. Il centrosinistra campano, contro ogni apparenza, non ha per niente superato il trauma delle primarie napoletane e l'elezione di De Magistris, anziché rimarginare la ferita e riconciliare i gestori della politica con le forme più larghe e moderne della partecipazione, ha prodotto un'ulteriore cesura, ha in qualche modo interiorizzato la possibilità di bypassare il contributo diretto e preliminare dei cittadini alla formazione del programma, alla scelta delle donne e degli uomini in grado di realizzarlo. Ha involontariamente consigliato ai partiti di rifugiarsi in ambienti più conosciuti e confortevoli, in cerimonie più rassicuranti: gli incontri bilaterali, i tavoli di coalizione, i confronti programmatici.

Il PD, in particolare, sembra diffidare dello strumento, nonostante l'ultima intervista di Bersani a Repubblica, dove viene rivendicato il ricorso alle primarie in tanti comuni ed a livello nazionale . Ma mentre qui l'argomento scotta ancora, Rieti, Lecce, Piacenza ci dicono tutt'altro: la partecipazione supera come sempre le più rosee aspettative e la nostra coalizione trova ancora una volta nuovo slancio dal coinvolgimento diretto e dalla mobilitazione dei cittadini. Tutto questo accade altrove e non in Campania, dove avevamo bisogno di uno scatto dopo l'esito parlamentare della vicenda Cosentino, per segnare tutta la distanza da un PDL che prova a presentarsi con la faccia presentabile di Nitto Palma, ma che rimane il partito di Cesaro, di Gambino, di Sica e chi più ne ha più ne metta. Serviva una resipiscenza dopo gli errori che tutti abbiamo commesso e invece non solo stentiamo a prendere le distanze da una Udc al governo della regione, ma ci lasciamo andare volentieri a qualche tentativo di "entente cordiale" che ci impedisce di contrastare adeguatamente il governo di Caldoro.

Così l'immenso giacimento di energie accumulato nel popolo della sinistra durante il governo Berlusconi e venuto alla luce con le amministrative, i referendum e la raccolta firme dello scorso anno rischia di rimanere in gran parte inutilizzato. La Campania migliore, a nostro avviso, meriterebbe una aggregazione di partiti progressisti ben più coraggiosa e disponibile a rischiare qualcosa a cedere qualche grammo di sovranità in cambio di un rinnovamento autentico del modo di fare politica. Lavoratori e pensionati, giovani e anziani, disoccupati e precari di questa regione hanno più volte tentato di farcelo capire. Speriamo di essere ancora in tempo per dare il loro volto all'alternativa, ma, certo, senza primarie sarà più difficile.