Creato da freeibrahim il 28/04/2008

Libertà per Ibrahim

Blog di sostegno alla campagna per la libertà e contro l'espulsione di Abdellatif Ibrahim Fatayer

 

 

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Post N° 85

Post n°85 pubblicato il 30 Giugno 2008 da freeibrahim
 


Liberazione, 29 - 30 giugno 2008
Date asilo politico a Ibrahim

Era sull'Achille Lauro, oggi dopo aver scontato 20 anni è in un Cpt. Rischia l'espulsione in paesi a rischio.

Campo profughi, campo di prigionia, campo di detenzione temporanea. Ci sono vite sempre avvolte dal filo spinato. Ci sono vite che non hanno asilo, non hanno luogo, non hanno scampo, come quella di Ibrahim Abdellatif Fatayer. 43 anni, nato in uno dei campi storici della diaspora palestinese, in Libano, e oggi rinchiuso nel Cpt di Ponte Galeria, alle porte di Roma, dopo aver trascorso oltre venti anni nelle prigioni speciali italiane, dove è entrato nel 1985. Ibrahim ha scontato la sua intera condanna per il coinvolgimento nel sequestro dell'Achille Lauro, l'ammiraglia della flotta da crociera italiana dirottata nell'ottobre di quell'anno in pieno Mediterraneo. Ma la sua storia non comincia su quella nave. Il suo lungo viaggio di dolore, rabbia e lotta, inizia in un posto situato a ridosso del porto di Beirut, nel vecchio quartiere della "Quarantine", chiamato la "collina del Timo", Tal Al-Zatar. Il campo dove ha avuto luogo una delle maggiori tragedie del popolo palestinese.
La vita in un campo profughi è concentrata in un chilometro quadrato, non un millimetro di più. Mura intorno. Un solo accesso perennemente sorvegliato. Questo, nient'altro che questo, è un campo profughi gestito dall'agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. Polvere, fogne a cielo aperto, baracche e case fatte alla meglio, sorrette e sormontate una sull'altra. I materiali laterizi hanno divieto d'ingresso eppure tutto cresce verso l'alto, impedendo alle viuzze sottostanti di ricevere luce. Il sole non arriva mai e l'umidità è perenne. Frotte di bambini che corrono, anziani e donne, vite orfane della propria terra, condannate a non vedere più l'orizzonte, ammassate, accalcate, addensate tra miseria, fame, voglia di libertà e soprattutto desiderio del "ritorno" in quella Palestina ormai occupata dove un tempo era la propria casa, gli ulivi, gli aranci.
Ibrahim è nato in un posto così, il 7 ottobre 1965. Non ha conosciuto altro, come quei suoi compagni saliti con lui sull'Achille Lauro, come tutti gli altri fedayn palestinesi che, come lui, sono stati arrestati e hanno trascorso decenni della loro vita nelle prigioni italiane per ritrovarsi, una volta finita la condanna, a vivere come "fantasmi" in un limbo, senza documenti, clandestini per forza, indesiderati ma tollerati, apolidi senza più un luogo. Paria assoluti.
A soli 10 anni Ibrahim aveva scoperto che nascere profugo non voleva dire soltanto una esistenza di stenti accompagnata dai racconti di una dolce terra lasciata in poche ore, su un mulo, con qualche sacco pieno di soprusi e terrore. Essere venuti al mondo senza luogo significava dover rivivere continuamente le tragedie, quasi che l'orrore di quelle passate non fosse mai sufficiente. Alla vita del profugo doveva appartenere il timore quotidiano che il massacro sarebbe tornato, prima o poi, anche dalla porta del campo che offriva rifugio ma non riparo. Nel 1975 un bombardamento israeliano uccise 7 membri della sua famiglia. L'anno dopo "la collina del Timo" si trasformò in pochi momenti nella collina del genocidio, dello stupro di massa, del terrore assoluto. I siriani lasciarono carta bianca alle milizie falangiste (sotto il controllo di ufficiali israeliani) che si abbandonarono a sistematiche violenze e esecuzioni sommarie di massa, passate alla storia come il massacro di Tal Al-Zatar.
Il padre di Ibrahim venne ucciso davanti agli occhi del figlio. Sopravvissuto al massacro, poco più che bambino, due anni dopo entra in al-Fatah e inizia l'addestramento militare. È il 1978. Ibrahim aveva perso la sua innocenza davanti alla scuola dell'odio: ora voleva solo combattere.
Nel 1982, con l'operazione "Pace in Galilea", le truppe israeliane arrivano alle porte di Beirut e utilizzando le milizie falangiste tentano di mettere fine alla resistenza palestinese. L'intervento di una forza multinazionale (Usa, Gb, Francia, Italia) riesce a imporre una tregua, dopo le migliaia di morti provocate dagli scontri. Ma il prezzo è salato: 13 mila fedayn devono abbandonare i loro campi, le loro famiglie. Si imbarcano seguendo Arafat che trasferisce il suo nuovo quartier generale a Tunisi. Ibrahim, che ha appena 17 anni, è tra questi. L'accordo, di cui anche l'Italia si porta garante, prevedeva il «non rientro dei profughi». Dopo l'identificazione, una lista dei fuoriusciti fu stabilita dalle autorità libanesi. Ma due settimane dopo la partenza le fazioni falangiste, con l'ausilio logistico dell'esercito israeliano, entrano nei campi di Sabra e Chatila, alla periferia di Beirut, per realizzare un nuovo terribile massacro.
Quando, il 7 ottobre 1985, Ibrahim sale sull'Achille Lauro non ha con se soltanto un mitra ma anche questo pesante fardello. Insieme con altri giovani profughi palestinesi, tutti membri del Flp, una formazione palestinese affiliata all'Olp di Yasser Arafat, si era imbarcato con l'obiettivo di raggiungere il porto israeliano di Ashdud, dove il commando avrebbe dovuto catturare alcuni soldati israeliani per scambiarli con dei prigionieri palestinesi. Le cose non andarono come previsto. Scoperti in modo del tutto casuale da un membro dell'equipaggio, che si accorse delle loro armi, i giovani combattenti improvvisarono un maldestro sequestro nello specchio di mare egiziano. Preparati militarmente, i fedayn si rivelarono incapaci d'affrontare un dirottamento non programmato che innescava complesse ripercussioni internazionali.
La situazione sfuggì di mano e un passeggero, con doppio passaporto israeliano e statunitense, Leon Klinghoffer, venne ucciso da uno dei membri del commando. Inizialmente all'oscuro del grave episodio, il governo italiano si prodigò per una soluzione "politica" della vicenda. Dopo un negoziato, i dirottatori vennero consegnati all'Egitto e la nave liberata in modo incruento. Ma quando riemerse dal mare il corpo di Klinghoffer, i caccia americani della sesta flotta intercettarono l'aereo che portava in salvo i fedayn, insieme al loro dirigente Abu Abbas, costringendolo ad atterrare nella base siciliana di Sigonella. Nel giro di una notte si rasentò la più importante crisi diplomatica e militare mai avvenuta tra Italia e Stati uniti. Un commando della Delta force circondò l'aereo egiziano, ma venne a sua volta accerchiato da un plotone di ausiliari della Vam, comandati da un tenente dei carabinieri che non esitò a dare l'ordine di mettere "il colpo in canna". Intercorsero momenti di fortissima tensione, mentre le linee telefoniche tra Roma e Washington divennero roventi. Il capo del governo Craxi riuscì a imporre all'alleato il rispetto della sovranità nazionale. I dirottatori vennero messi a disposizione dell'autorità giudiziaria italiana, incarcerati e processati, mentre Abu Abbas fu trasferito a Belgrado.
Rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Spoleto, insieme ai suoi compagni, Ibrahim è rimasto oltre 2 anni in totale isolamento. Quindi ha conosciuto le sezioni di "elevato indice di vigilanza" di Voghera, Livorno e ancora Spoleto. Durante gli anni di carcere ha potuto incontrare sua madre soltanto due volte, prima che morisse. Scarcerato nel 2005, ha vissuto e lavorato a Perugia dove era sottoposto a libertà vigilata con l'obbligo di firma. Dormiva in un'abitazione della Caritas.
Il 20 [8] aprile 2008 il magistrato di sorveglianza ha revocato la misura di sicurezza, che pesava nei suoi confronti, ritenendolo ormai privo di "pericolosità sociale". Il giorno successivo, convocato in questura per la notifica del provvedimento, che lo rendeva finalmente libero, è stato fermato e trasferito nel Cpt di Roma in attesa di espulsione. La singolare richiesta è stata motivata dalla questura e dalla prefettura del capoluogo umbro richiamando quella stessa pericolosità sociale annullata dalla magistratura il giorno prima.
Ora Ibrahim rischia di essere espulso, nonostante sia apolide e non abbia più famiglia. C'è chi pensa di inviarlo di nuovo in Libano oppure in Tunisia, magari facilitando uno di quegli scambi occulti che alla fine lo facciano arrivare nelle mani dei servizi israeliani o americani. Nonostante abbia scontato la sua condanna, continua a essere considerato un nemico da questi paesi. Ovunque venga spedito rischia per la sua vita. Abu Abbas, il dirigente del Flp arrestato dagli americani in Irak, è morto nel 2002 in "circostanze misteriose" nel famigerato carcere di Abu Ghraib.
In realtà la vita sociale, lavorativa e affettiva di Ibrahim è ormai interamente radicata in Italia. Per questo attraverso il suo avvocato, Francesco Romeo, ha chiesto asilo politico. Rifiutando la domanda l'Italia verrebbe meno ai suoi impegni presi al momento della evacuazione dei miliziani palestinesi a Beirut e quando decise di salvaguardare la propria sovranità nazionale durante la crisi di Sigonella.
Ma c'è anche un'altra ragione che depone a favore dell'asilo politico: ovvero il percorso di vita realizzato negli anni della sua dura esperienza carceraria. Ibrahim è oggi un ponte aperto tra le due rive del Mediterraneo, un simbolo d'integrazione tra culture diverse. La sua esistenza contiene un sapere sociale, una densità di vissuto, un esempio di scoperta dell'altro e di confronto, senza mai perdere se stesso, che sarebbe stupido pregiudicare per inerzia burocratica e cecità repressiva. Come tutti gli esseri umani Ibrahim ha diritto a una terra. È uno tra noi.

Commenti al Post:
Friendspaceless
Friendspaceless il 13/07/08 alle 18:12 via WEB
Cittadinanza italiana per far piangere gli USA? Mantenere la decisione di far valere la propria sovranità nazionale? Ma quelli erano altri tempi..... La mia idea è che venga consegnato agli USA che lo portino in Israele dove venga processato di nuovo e, stavolta, condannato a morte. Mi sembra un tantino più vicino alla realtà del momento. Comunque sia continueremo a lottare ugualmente. :)
 
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La nostra è un'informazione Partigiana, perchè siamo al fianco degli uomini e delle donne che resistono all'oppressore e lottano per la propria libertà. Se un popolo è oppresso, umiliato, sfruttato, è giusto che si ribelli. Lo è ancor di più se viene quotidianamente sterminato. La resistenza del popolo palestinere non può pertanto chiamarsi terrorismo, semmai patriottismo. Poiché la propaganda sionista e imperialista detiene il controllo delle coscienze attraverso media, siti internet ecc. abbiamo dovuto fare un'attenta selezione degli articoli pubblicati nella rassegna stampa, tagliando, dove necessario, falsità ed approssimazioni forcaiole e correggendo, ove possibile, gli errori. I tagli e le correzioni sono indicati tra parentesi quadre.

LA NOSTRA INFORMAZIONE CORRETTA

E' dire:

Che Abdellatif Ibrahim Fatayer non ha ucciso Leon Klinghoffer;
Che ha pagato carissimo quel tragico errore come tutti i componenti del commando;
Che gli obbiettivi del commando erano militari, non civili;
Che il sequestro dell'Achille Lauro non fu pianificato, ma deciso in una manciata di secondi dai 4 feddayn presenti sulla nave in quel momento, dopo essere stati scoperti;
Che pertanto Abu Abbas e Kaled Hussein, condannati entrambi all'ergastolo per quell'operazione, non ne erano in realtà responsabili, dato che non si trovavano sulla nave a dover decidere in fretta e furia di cambiare la propria missione perché scoperti.

Khaled Hussein
si trova ora a scontare l'ergastolo nel carcere di Benevento, la Guantanamo italiana, anch'esso nel mirino della CIA, che lo vorrebbe morto.

Abu Abbas è stato catturato dagli americani ed è morto dopo 2 mesi di detenzione nel carcere di Abu Ghraib, dove la cupola dell'amministrazione USA, riunita nel "consiglio delle torture della Casa Bianca", ordinava e definiva nei dettagli gli "interrogatori severi".
 
 



Abdellatif Ibrahim Fatayer
è ora rinchiuso nel lager di Ponte Galeria, dove c'è molto più controllo che a Voghera (evidentemente nei c.p.t., i cellulari vengono lasciati proprio per controllare meglio i detenuti!) e rischia, con l'espulsione, di seguire il destino di Abu Abbass.

D'altro canto l'FBI ha dimostrato di interessarsi molto al "futuro" di Ibrahim, quando si è presentata nella sua cella a interrogarlo e non certo perché gli USA gli vogliono bene.
Lo accoglierebbero a braccioli di sedia elettrica aperti!
 

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Appello per la cittadinanza adottiva per Ibrahim

Cercasi cittadin@ italian@ solidale per adottare Ibrahim. Sembra un'impresa impossibile ma vogliamo provarci ugualmente, per scongiurare l'espulsione e/o la detenzione a vita in Italia del compagno palestinese. Non si richiede patrimonio né condizioni economiche agiate e stabili, solo cittadinanza italiana e un'età superiore ai 61 anni. Per contatti e informazioni scrivere a freeibrahim@libero.it
 
 
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Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Bertolt Brecht
 

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