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Post n°36 pubblicato il 30 Ottobre 2005 da salbarbio
Personalmente invece mi ricordo quando ero alla presentazione della nuova sede di una importante banca. Ero lì con il mio taccuino e mi sentivo un vero pezzente in un ambiente che profumava di denaro e potere. Fra l’altro, per pura coincidenza, ero correntista di quella banca, e pensavo: “Se questi sapessero quanti soldi ho nella loro banca, non mi farebbero fare neanche entrare”. Ero lì da ore ad ascoltare questi papaveroni del credito che si beavano dei loro miliardi (era in vigore il vecchio conio, come dice Bonolis), dei loro mega-fatturati, dei loro pallosissimi bilanci, quando dalla finestra non ti vedo arrivare il mio idolo, il più grande inviato del più grande giornale italiano. Per un attimo perdo la testa, corro fuori dalla sala conferenze e gli vado incontro: sta scendendo da una Mercedes coupè con i controcazzi e ha in mano una di quelle valigette che una volta costituivano i telefoni cellulari. Lo fermo sulle scale, mi presento, gli faccio i miei complimenti per i suoi reportage, lo innalzo sul piedistallo, in adorazione per il contatto ravvicinato. E lui – wow! – mi prende sottobraccio e comincia a interrogarmi. Poi, visto che sembravo preparato, si dirige verso il più vicino bar. Si siede e continua a farmi domande, mentre tira fuori dalla valigetta uno dei primi computer portatili: una meraviglia della tecnologia, una cosa esclusivissima. Io resto un po’ interdetto e gli chiedo: “Ma non vai a seguire la conferenza?” “Fossi matto – risponde senza alcun pudore – tanto i dati me li dai tu, le considerazioni le faccio io e poi… Hai mica qualche dichiarazione dei capi della banca?”. Io, giovane imbelle ma entusiasta di collaborare con il “mito”, gli propino tutta la conferenza con il virgolettato dei relatori. Lui ogni tanto scrive qualcosa, non prima di avermi chiesto da bere (e ho pagato io…). Poi mi congeda con un abbraccio (!), mi ringrazia di cuore, mi dice di tenermi in contatto – già chissà come, dal momento che non mi dà alcun numero di telefono – e si avvia al bancone del bar. Chiede al gestore una presa telefonica a cui collegarsi con il computer. Poco dopo esce dal bar, rimonta in auto e sgommando si dirige verso l’autostrada. Io sventolo la manina, ma ormai non esisto più. Il giorno dopo, mentre il mio piccolo articolo riportava pedissequamente l’andamento della conferenza di presentazione, che avevo seguito per ben tre ore, il suo grande, grandissimo pezzo sul grande, grandissimo giornale, era una specie di intervista semi-esclusiva ai padroni della banca, che riportava le frasi che io gli avevo fornito, precedute da domande fatte ad hoc, molto ben fatte. Il suo articolo sembrava più documentato, più presente e più bello del mio. Pareva che lui avesse seguito per ore la conferenza e al termine avesse fatto le interviste: un lavoro di mezza giornata. Invece ci aveva messo poco meno di mezz’ora. Dovetti rivedere qualche parametro della mia “mitologia” giornalistica sui grandi inviati, ma dovetti ammettere con me stesso che avevo avuto una grande lezione di giornalismo. Magari non proprio “….”, ma pur sempre grande lezione. |
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