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« FOTO DA VERGOGNARSISULLA STRADA, INCAZZATO A… MORTE »

UNA PIZZA E UN TELEVISORE

Post n°42 pubblicato il 30 Ottobre 2005 da salbarbio

Come “contraltare” all’episodio negativo di cui sopra, voglio raccontarne due “positivi”, almeno per quanto mi riguarda. Non per vantarmi, ma sempre per testimoniare delle situazioni in cui ci si imbatte quando si fa questo lavoro.

Il primo, circa 2 anni fa: una madre con cinque figli “barricata” dentro l’ufficio comunale dell’assistenza sociale. Era stata appena sfrattata, il marito disoccupato l’aveva abbandonata con la numerosa prole e lei si era messa in testa che protestando vigorosamente con gli assistenti sociali, le avrebbero dato una casa popolare, dei vestiti e qualcosa da mangiare per i suoi bambini. Non aveva neanche un centesimo e non intendeva più stare al freddo – era un inverno gelido – a sentire piangere impotente i suoi figli. Quando arrivai io, spedito a vedere cosa succedeva, la scena mi ricordò quella vista tante volte nei documentari, dei pulcini di uccelli che strepitano a bocca aperta verso la madre, con il becco spalancato, alla disperata ricerca di cibo che il loro volatile genitore procura loro partendo e tornando dal nido e imboccandoli con quello che trova. Questo grappolo di bambini, vestiti con abiti estivi, infreddoliti, smunti e smagriti, reclamava cibo da una madre ancora giovane e che – mi spiegò la donna – non poteva neanche fare la cameriera o qualsiasi altro lavoro, perché non sapeva a chi lasciare i bambini, alcuni troppo piccoli per andare a scuola.

Gli assistenti prendevano tempo, ma in realtà non sapevano cosa fare. L’assessore, da me interpellato telefonicamente, faceva il possibile ma doveva affrontare decine di casi come quello: alla fine gli strappammo la promessa di una sistemazione provvisoria in albergo per la famigliola, in attesa di una casa popolare; e di sistemare in un asilo i bambini in età prescolare. La donna si calmò e si convinse a lasciare gli uffici comunali, diretta all’albergo che l’avrebbe ospitata.

Ma restava il problema contingente, che bisognava risolvere immediatamente: quello della fame dei figli. Avevo in tasca solo una banconota da 20 euro e non è che nuotassi nell’oro. Ma, con mia stessa meraviglia, mentre l’accompagnavo all’albergo, passando davanti ad un supermercato, non ci pensai due volte ed entrai con loro, comprando pizze (era la cosa che più piaceva a tutti i bambini) e latte. Mi ringraziarono quando li lasciai all’albergo. Ma ero io che dovevo ringraziarli perché quella volta mi sentii molto fortunato per averli potuti aiutare anche solo un po’.

L’altro episodio circa 20 anni fa. Una ragazzina di 16 anni era morta di overdose di eroina: la sua “sfortuna” era stata di essere molto carina. Di lei si era innamorato uno spacciatore ventenne che l’aveva portata letteralmente sulla cattiva strada, a battere. Schiavizzata con la droga, la ragazza aveva tentato di ribellarsi al suo sfruttatore. Risultato: lui le aveva iniettato una dose mortale. Era stata trovata nell’auto dello spacciatore, arrestato ma ormai troppo tardi. La sedicenne era la figlia maggiore – aveva un fratellino di cinque anni più piccolo - di due poveri cristi senza lavoro, che vivevano in una vecchia casetta, all’apparenza dignitosa, all’interno di un quartiere popolare ma non malfamato, non lontano dal centro cittadino.

Mi venne voglia di andare a trovare la madre e il padre, per capire come era stato possibile che quella tragedia accadesse. Sentendo la parola “giornalista” mi accolsero come se fossi una pubblica autorità. Varcando la loro soglia di colpo mi lasciai alle spalle l’Italia moderna e progredita, efficiente e consumista che ero abituato a frequentare con tutti i miei sensi. E precipitai nel terzo mondo. Una casa così squallida non l’avevo mai vista: non c’era niente, niente di quello che “fa” una casa. La cucina era formata da una vecchia stufa con un solo fornello. Le camere erano totalmente disadorne: per letti brandine arrugginite; per armadi alcuni fili tirati da una parete all’altra con un paio di stampelle; per sedie due vecchi sgabelli di paglia mezzi bucati. Nella camera della bambina due note stonate rispetto allo squallido contesto generale: un coniglio di peluche di ottima fattura e un libro di favole, grande, bello, colorato e molto costoso. La madre mi spiegò che alla figlia li  aveva regalati quel “maledetto”, così lo chiamava. Pensai che era ancora una bambina.

Non c’era nemmeno una radio, una tv. Fu facile capire perché la ragazzina fosse stata attratta dal “ricco” spacciatore che le faceva regali.

Me ne andai sconsolato, pensando a cosa potessi fare io, oltre a scrivere il mio pezzo di “denuncia” che spesso, come sappiamo, lascia il tempo che trova. No, volevo fare un piccolo gesto personale, sentivo di doverlo fare, perché mi sembrava di aver violato, persino violentato la dignità di quella famiglia immersa nella povertà più assoluta. Andai a casa mia, mi guardai attorno: notai il vecchio televisore che non guardavo mai perché non avevo tempo né voglia. Lo caricai in macchina, passai in un negozio di elettrodomestici, comprai un’antenna portatile e mi diressi di nuovo verso quel buco nero senza speranza. Senza dire granché, entrai, posizionai il televisore, lo collegai all’antenna e lo accesi. Subito il bambino venne a sedersi sul pavimento davanti allo schermo. “Speriamo che non segua il destino della sorella”, desiderai ardentemente mentre me ne andavo via.

Commenti al Post:
lorteyuw
lorteyuw il 24/03/09 alle 17:23 via WEB
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