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Post n°51 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1

Il tecnico dell'interFenomenologia di MouVizi e virtù dello Special One

 

Novantanovemila persone che lo detestano. E lui là in mezzo, il dito verso il cielo, eccitato da quel rifiuto feroce. Un torero folle: ha ucciso il toro davanti a una mandria immensa. Camp Nou —scrivono i giornali spagnoli—diventa Camp Mou. Perché l’uomo è riuscito a cambiare il Barcellona: da club perfetto ed ecumenico a squadra acida e ansiosa. Ma— cosa ben più importante — è riuscito a cambiare l’Inter. Sempre pazza, per fortuna, ma la pazzia adesso è calma, lucida e spietata. È vero, non ha vinto ancora nulla. Ma non ha perso ancora niente. Questo miracolo di maggio — comunque vada a finire — è merito di José Mourinho, personaggio allergico alle definizioni. L'ho chiamato torero, ma è banale. L’uomo ha invece lo stile e la grinta di un comandante sudamericano, uno di quelli che riunivano una banda di irregolari e la trasformavano in una formazione capace di vincere una guerra. Che Mou Guevara! Ma non diteglielo, altrimenti si fa crescere la barba e si compra un basco. Quali le qualità del buon comandante? Un buon comandante, nella giungla del calcio italiano, deve avere una preparazione — ora dico una parolaccia: una cultura — superiore alla media. I giocatori devono pensare che il capo sa le cose, non si limita a ripeterle o a indovinarle. Deve possedere «carisma e sintomatico mistero», per citare Battiato (che Mou conosce, potete giurarci). Non deve essere autoritario, bensì autorevole: l'unico modo di imporre la propria autorità. Ecco perché JM non poteva permettere lo sgarro di Balotelli: una crepa può portare al crollo. Altre caratteristiche del comandante Mou? La sincerità verso il gruppo. Una prova? Eccone due: età ed Eto'o.

Quando il centravanti, già vincitore di due Champions League, è rientrato dalla Coppa d’Africa, l'allenatore l'ha informato che «non avrebbe trovato un tappeto rosso»; così è stato, e Sammy ha dovuto riconquistarsi il posto. Quando, dopo l'assedio di Barcellona, ha spiegato le motivazioni dei suoi giocatori in vista della finale di Madrid, ha fatto notare che non erano ragazzi: si tratta, per loro, di un'occasione forse irripetibile. Su corriere.it ascolto Diego Abantantuono mentre dice «È tutto merito dei giocatori, non di Mou». Come t'inganni, buon baffo rossonero! Ma non sei il solo. Le capacità istrioniche di JM— il tempismo delle battute, le pause teatrali — traggono in inganno. Molti osservatori sono convinti che quello sia il suo talento, mentre è solo un accessorio. L’uomo studia ossessivamente uomini, fatti e cose. In un Paese di geniali improvvisatori risulta strano, sospetto o tutt'e due le cose. Sì, Mou è un grande attore. Ma se glielo dici — ho provato — s’arrabbia. Sostiene che, in questo modo, i media italiani hanno provato a sminuirlo. Ho insistito, e lui ha accettato la discussione. L'uomo argomenta con abilità, e il suo italiano è migliore del suo inglese (efficace, ma elementare). Accetta anche d'essere contraddetto. Quando ho provato a discutere alcune cessioni dell’Inter, non mi ha affidato a Lucio perché mi spiegasse il significato della vita. Ha ribattuto colpo su colpo, con argomentazioni tecniche che mi lusingavano, ma non meritavo. Da quando è arrivato in Italia molti colleghi cercano di convincermi che l’uomo è insopportabile. Per fortuna, dico io: coi bonaccioni perdenti, noi dell’Inter, abbiamo già dato. In un mondo di abili agnelli, bisogna essere un po’ lupi. La determinazione feroce di Mou è così evidente che diventa qualcos’altro: carattere. Una macedonia di egocentrismo e altruismo, passione e calcolo, incoscienza e memoria, clausura e teatro, esempio e crudeltà. L’incontro di cui parlavo è avvenuto ad Appiano Gentile nell’autunno 2009: l’uomo, il suo stile e il suo progetto apparivano già evidenti.

Erano tempi difficili in Champions League — il palcoscenico che Mourinho considera adeguato e naturale— ma non sembrava minimamente preoccupato. Ora di pranzo, i giocatori divisi per tavoli, attenti e rispettosi come i bambini di Mary Poppins. Ricordo Samuel, Milito, Materazzi. Mou, nel tavolo vicino all’ingresso, mi spiegava tutti i motivi per cui non doveva darmi un’intervista. Ogni tanto qualcuno passava e salutava rispettosamente. Nessuno chiedeva «Posso alzarmi?», ma se fosse accaduto non mi sarei stupito. Qualcuno dirà: Severgnini, decida. Il suo Mourinho è Che Guevara o Mary Poppins? La risposta incredibile è: tutt'e due. Che Guevara con l’ombrellino o Mary Poppins col mitra. Non c’è dubbio che alcune delle sparate sull’ambiente siano parziali—l’uomo porta solo le prove che gli servono—e talvolta inopportune. Ma proviamo a chiederci: cos’è l’opportunità, nel calcio italiano? Forse il silenzio peloso dentro il quale, per anni, abbiano nascoste le cattive abitudini di tutti e i crimini di qualcuno? Resterà, Mou? Certo che no: ha la valigia pronta. L’epilogo della stagione, qualunque sia, fornirà occasioni perfette per chi vuol partire. Solo i giocatori— forse — possono convincerlo a restare un altro anno: ma non credo avverrà. Sarà un’uscita di scena drammatica, secca, indimenticabile: anche Capello (uno specialista in materia) rimarrà a bocca aperta. Dove andrà, José Mário dos Santos Félix Mourinho? Probabilmente a Madrid, dove già lo adorano — ha evitato l’incubo del Barça finalista al Bernabeu — e dove il 22 maggio andrà in scena il gran finale della sua seconda stagione nerazzurra. Vedete? Sembra un copione scritto per lui. Che José Guevara e Mary Mou Poppins! Sparerà una mitragliata d’aggettivi e decollerà con un ombrello milionario: e noi sotto, a salutarlo con la mano. Un'ascensione laica, l’unica consentita a un portoghese cattolico e borghese.

www.corriere.it/italians
www.beppesevergnini.com
30 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 
 
 
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