Furo MTV Online
Furo MTV - Jornal e Revista - Website Internet
MENU
Post n°53 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1
I bavaresi conquistano per la 22ma volta la BundesligaBayern campione di Germania
COPPE - Il Bayern affonterà l'Inter il 22 maggio a Madrid nella finale di Champions League e, come l'Inter in Coppa Italia, è in finale di Coppa di Germania che contenderà al Werder Brema il 15 maggio. BECKENBAUER - La conquista della Bundesliga ha reso più felice il presidente onorario del Bayern Monaco, Franz Beckenbauer, che l'eventuale vittoria della Champions. «Vincere la Champions League sarebbe fantastico», aveva detto Beckenbauer in un'intervista al quotidiano bavarese Bild. «Diciamo che sarebbe la ciliegina sulla torta, ma la torta è la Bundesliga. Il titolo tedesco è più importante per me, perché vuol dire che sei stato il migliore dopo un torneo lungo 34 giornate». Beckenbauer comunque ritiene che il Bayern sia in grado di centrare una storica tripletta: scudetto, Coppa di Germania e Champions.
|
Post n°52 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1
L'analisiModello InterUn gruppo organizzato e 14 stranieri che giocano all’italiana: così è maturata l’impresa del Camp Nou
MILANO — La lunga marcia verso Madrid è cominciata l'11 marzo 2009 nella pancia di Old Trafford, il Teatro dei Sogni (infranti) dell'Inter in Champions. Il Manchester United aveva appena eliminato i nerazzurri, un gol per tempo e via andare, Ibrahimovic stava decidendo di trasferirsi altrove, per sollevare la coppa con le orecchie, Massimo Moratti aveva perso la pazienza negli spogliatoi. Cose da Inter. José Mourinho, non arrabbiato ma triste, si presentò davanti ai giornalisti e pronunciò la frase che l’avrebbe inchiodato alle proprie responsabilità. Dopo aver difeso i suoi giocatori («primadi toccare la mia squadra, dovranno ammazzare me»), annunciò orgogliosamente: «Ora so che cosa bisogna fare per vincere la Champions. Ne discuterò con la società, non con voi». Sorrisini di compatimento dei presenti. Oggi, 416 giorni dopo, i sorrisini di compatimento sono scomparsi. Oggi ci si interroga se davvero questa squadra può riuscire nell’impresa di centrare il triplete, meglio, la tripletta visto che si tratta pur sempre di una squadra italiana. Tre settimane per una, anzi per tre risposte. Che cosa ha capito, negli spogliatoi di Old Trafford, José Mourinho? Prima di tutto che a questa squadra mancavano un'identità e una personalità europea. E che forse la partenza di Ibra non sarebbe stata poi così drammatica. Facile dirlo oggi, dopo aver visto il fantasma all'opera in due semifinali. Un po' meno all'epoca dei mal di pancia. Riduttivo anche dire che l’arrivo di Sneijder, lo scarto del Real, ha modificato radicalmente il gioco dell'Inter, anche se non sono lontani i tempi in cui lo Specialone puntava i piedi come un bambino arrabbiato perché gli mancava il trequartista. Aveva ragione, evidentemente. Ma la questione, prima che tecnica, era soprattutto di testa. E qui Mourinho ha lavorato da psicologo ed educatore. Avevano sempre accusato l’F.C. Internazionale di essere un po’ troppo, appunto, internazionale, si diceva che senza uno zoccolo duro italiano non sarebbe mai andata lontano in Europa. Infatti. Mercoledì, al Camp Nou, 11 stranieri in campo, 3 stranieri subentrati a partita in corso, uno straniero come allenatore. E una qualificazione conquistata giocando all’italiana, in modo moderno ma così determinato da far rispolverare, sui giornali spagnoli, l’italianissima parola «catenaccio». Bisogna avere una grande capacità di persuasione per convincere Eto'o a fare il terzino. Mou l'ha fatto. Ma ci vuole anche l’ossessione tattica dello Specialone per trasformare l’abnegazione in risultato. Ci ha messo del tempo, Mourinho, prima di arrivare al 4-2-3-1 con cui ha eliminato Chelsea e Barcellona. L’ha introdotto quasi alla chetichella a Bergamo, 13 dicembre 2009, Atalanta- Inter 1-1: partito a inizio stagione con Sneijder dietro le due punte, Mourinho si è avvicinato a tappe al modulo definitivo (a Genova, per esempio, fece di necessità virtù giocando—e stravincendo 5-0 — con due trequartisti e Balotelli unico attaccante), quasi si esercitasse in campionato per le partite che sarebbero venute in Europa. L’ultima esibizione in Champions con il 4-3-1-2 è stata in casa con il Chelsea, poi la dolcissima follia di Stamford Bridge, 16 marzo. Il 4-2-3-1 è diventato il marchio di fabbrica dell’Inter Specialona, e gli interpreti della recita (con poche variante dovute solo a infortuni o squalifiche) sempre gli stessi. Capaci di giocare (e di vincere) anche in inferiorità numerica (Barcellona, ma anche il derby, o la partita con la Samp accompagnata dalle manette), proprio grazie alla feroce organizzazione collettiva. Ora a Mourinho non resta che l’ultimo obbiettivo, Bayern permettendo: sovrapporre alla poesia «Sartiburgnichfacchetti» la prosa moderna di «Juliocesarmaiconlucio »: filastrocche da campioni d’Europa. Roberto De Ponti |
Post n°51 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1
Il tecnico dell'interFenomenologia di MouVizi e virtù dello Special One
Novantanovemila persone che lo detestano. E lui là in mezzo, il dito verso il cielo, eccitato da quel rifiuto feroce. Un torero folle: ha ucciso il toro davanti a una mandria immensa. Camp Nou —scrivono i giornali spagnoli—diventa Camp Mou. Perché l’uomo è riuscito a cambiare il Barcellona: da club perfetto ed ecumenico a squadra acida e ansiosa. Ma— cosa ben più importante — è riuscito a cambiare l’Inter. Sempre pazza, per fortuna, ma la pazzia adesso è calma, lucida e spietata. È vero, non ha vinto ancora nulla. Ma non ha perso ancora niente. Questo miracolo di maggio — comunque vada a finire — è merito di José Mourinho, personaggio allergico alle definizioni. L'ho chiamato torero, ma è banale. L’uomo ha invece lo stile e la grinta di un comandante sudamericano, uno di quelli che riunivano una banda di irregolari e la trasformavano in una formazione capace di vincere una guerra. Che Mou Guevara! Ma non diteglielo, altrimenti si fa crescere la barba e si compra un basco. Quali le qualità del buon comandante? Un buon comandante, nella giungla del calcio italiano, deve avere una preparazione — ora dico una parolaccia: una cultura — superiore alla media. I giocatori devono pensare che il capo sa le cose, non si limita a ripeterle o a indovinarle. Deve possedere «carisma e sintomatico mistero», per citare Battiato (che Mou conosce, potete giurarci). Non deve essere autoritario, bensì autorevole: l'unico modo di imporre la propria autorità. Ecco perché JM non poteva permettere lo sgarro di Balotelli: una crepa può portare al crollo. Altre caratteristiche del comandante Mou? La sincerità verso il gruppo. Una prova? Eccone due: età ed Eto'o. Quando il centravanti, già vincitore di due Champions League, è rientrato dalla Coppa d’Africa, l'allenatore l'ha informato che «non avrebbe trovato un tappeto rosso»; così è stato, e Sammy ha dovuto riconquistarsi il posto. Quando, dopo l'assedio di Barcellona, ha spiegato le motivazioni dei suoi giocatori in vista della finale di Madrid, ha fatto notare che non erano ragazzi: si tratta, per loro, di un'occasione forse irripetibile. Su corriere.it ascolto Diego Abantantuono mentre dice «È tutto merito dei giocatori, non di Mou». Come t'inganni, buon baffo rossonero! Ma non sei il solo. Le capacità istrioniche di JM— il tempismo delle battute, le pause teatrali — traggono in inganno. Molti osservatori sono convinti che quello sia il suo talento, mentre è solo un accessorio. L’uomo studia ossessivamente uomini, fatti e cose. In un Paese di geniali improvvisatori risulta strano, sospetto o tutt'e due le cose. Sì, Mou è un grande attore. Ma se glielo dici — ho provato — s’arrabbia. Sostiene che, in questo modo, i media italiani hanno provato a sminuirlo. Ho insistito, e lui ha accettato la discussione. L'uomo argomenta con abilità, e il suo italiano è migliore del suo inglese (efficace, ma elementare). Accetta anche d'essere contraddetto. Quando ho provato a discutere alcune cessioni dell’Inter, non mi ha affidato a Lucio perché mi spiegasse il significato della vita. Ha ribattuto colpo su colpo, con argomentazioni tecniche che mi lusingavano, ma non meritavo. Da quando è arrivato in Italia molti colleghi cercano di convincermi che l’uomo è insopportabile. Per fortuna, dico io: coi bonaccioni perdenti, noi dell’Inter, abbiamo già dato. In un mondo di abili agnelli, bisogna essere un po’ lupi. La determinazione feroce di Mou è così evidente che diventa qualcos’altro: carattere. Una macedonia di egocentrismo e altruismo, passione e calcolo, incoscienza e memoria, clausura e teatro, esempio e crudeltà. L’incontro di cui parlavo è avvenuto ad Appiano Gentile nell’autunno 2009: l’uomo, il suo stile e il suo progetto apparivano già evidenti. Erano tempi difficili in Champions League — il palcoscenico che Mourinho considera adeguato e naturale— ma non sembrava minimamente preoccupato. Ora di pranzo, i giocatori divisi per tavoli, attenti e rispettosi come i bambini di Mary Poppins. Ricordo Samuel, Milito, Materazzi. Mou, nel tavolo vicino all’ingresso, mi spiegava tutti i motivi per cui non doveva darmi un’intervista. Ogni tanto qualcuno passava e salutava rispettosamente. Nessuno chiedeva «Posso alzarmi?», ma se fosse accaduto non mi sarei stupito. Qualcuno dirà: Severgnini, decida. Il suo Mourinho è Che Guevara o Mary Poppins? La risposta incredibile è: tutt'e due. Che Guevara con l’ombrellino o Mary Poppins col mitra. Non c’è dubbio che alcune delle sparate sull’ambiente siano parziali—l’uomo porta solo le prove che gli servono—e talvolta inopportune. Ma proviamo a chiederci: cos’è l’opportunità, nel calcio italiano? Forse il silenzio peloso dentro il quale, per anni, abbiano nascoste le cattive abitudini di tutti e i crimini di qualcuno? Resterà, Mou? Certo che no: ha la valigia pronta. L’epilogo della stagione, qualunque sia, fornirà occasioni perfette per chi vuol partire. Solo i giocatori— forse — possono convincerlo a restare un altro anno: ma non credo avverrà. Sarà un’uscita di scena drammatica, secca, indimenticabile: anche Capello (uno specialista in materia) rimarrà a bocca aperta. Dove andrà, José Mário dos Santos Félix Mourinho? Probabilmente a Madrid, dove già lo adorano — ha evitato l’incubo del Barça finalista al Bernabeu — e dove il 22 maggio andrà in scena il gran finale della sua seconda stagione nerazzurra. Vedete? Sembra un copione scritto per lui. Che José Guevara e Mary Mou Poppins! Sparerà una mitragliata d’aggettivi e decollerà con un ombrello milionario: e noi sotto, a salutarlo con la mano. Un'ascensione laica, l’unica consentita a un portoghese cattolico e borghese. www.corriere.it/italians
|
Post n°50 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1
I tifosi del real: «Grazie nerazzurri, josé nel nostro cuore»Gli spagnoli celebrano il re del Camp Mou
MILANO - «El rey del Camp Mou». «Mou, te lo sei guadagnato». «José, genio della tattica». La stampa di mezzo mondo rende omaggio allo Special One: dallo spagnolo "Marca" al britannico "Independent", fino ai quotidiani sudamericani, le braccia alzate del tecnico portoghese davanti ai 90 mila tifosi catalani rappresentano la foto simbolo della qualificazione nerazzurra alla finale di Champions League. A Barcellona, però, masticano amaro. Molto amaro. Perché alla "remuntada", da quelle parti, ci credevano eccome. E invece gli assalti di Messi e compagni si sono schiantati contro il muro dell'Inter. Un capolavoro tattico di Mourinho, riassumono i commenti degli inviati sportivi. Anche se non mancano le critiche all'atteggiamento in campo dei nerazzurri: per il "Mundo", si è trattato di «anticalcio totale». Redazione online |
Post n°49 pubblicato il 05 Maggio 2010 da furomtvbrasil1
il precedenteL'ultima volta dell'Inter 38 anni fa
Le finali dell'Inter in Coppa Campioni Ed è così anche lo sport, in un anno con tanti avvenimenti tutti vissuti o da vivere in bianco e nero, dall'Olimpiade di Monaco alle vittorie «cannibale» belga Eddy Merkx, agli Internazionali di tennis di Roma dove la coppia Nastase-Tiriac dà spettacolo nel doppio. E in bianco e nero è anche il calcio, con la vittoria in Coppa delle Coppe del Milan a Salonicco che poi costa la sconfitta nella «fatal Verona», della quale approfitta la Juventus per agguantare lo scudetto numero 14 con una rimonta sulla Roma all'Olimpico ( pareggio di Altafini e rete decisiva di Cuccureddu a 3 minuti dalla fine).
Redazione Online |