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PAROLE SPARSE

Post n°3 pubblicato il 20 Ottobre 2006 da frasan13

BASTA............LIBERTà.............LAVORO...............CHE NON HO.......................SOLDI...............RINUNCE...............SCELTE....
........ROVINA...............SOFFERENZA....................SOLITUDINE

 
 
 

Concludiamo....

Post n°2 pubblicato il 17 Ottobre 2006 da frasan13

Ora voglio concludere parlando delle caratteristiche della pellicola e sia dello sviluppo che della stampa, e infine voglio dare alcune nozioni sulla luce e l'illuminazione!

###PELLICOLE SVILUPPO E STAMPA###


2.1 LE PELLICOLE 


La pellicola è l'elemento fisico dove si va a fissare l'immagine che abbiamo inquadrato attraverso il nostro obbiettivo.
I raggi luminosi che provengono dal soggetto hanno attraversato il diaframma, e in base al movimento più o meno rapido dell'otturatore giungono in quantità maggiore o minore sulla pellicola impressionandola.
La pellicola è costituita da una serie di strati, il primo dei quali è di materiale sintetico e funge da supporto agli altri, su di esso infatti viene stesa l'emulsione vera e propria.

L'emulsione è composta da sali d'argento sensibili alla luce che, mescolati in una gelatina secca, una volta colpiti dalla luce subiscono una trasformazione chimica.
Da questo processo chimico si forma l'immagine latente dalla quale per effetto dello sviluppo ha origine l'immagine negativa.
Le pellicole vengono prodotte nei vari formati delle fotocamere ma hanno per tutti le stesse caratteristiche.
Esistono principalmente due tipi di pellicole, per negativi e per diapositive.
Le pellicole negative, da cui ricaviamo le stampe a colori o in bianconero sono le più diffuse mentre le pellicole per diapositive vengono usate dai fotografi più esperti e quasi unicamente per le foto a colori.
Caratteristica fondamentale che differenzia le pellicole è la loro sensibilità alla luce. Ovvero la capacità di registrare l'immagine di un soggetto illuminato.
In base alla propria sensibilità le emulsioni vengono classificate in "lente", "medie" e "rapide" e più precisamente descritte per mezzo di una unità di misura che è ormai standardizzata e che va dai 6 a 3200 "ISO".
La pellicola più diffusa in commercio ha sensibilità pari a 100 iso, grazie ad essa è possibile esporre correttamente nelle situazioni di luce più comuni e con attrezzature di ogni tipo. Il fotoamatore più esigente però ha bisogno di una scelta più ampia per poter operare anche in condizioni di luce estreme.
E importante a questo punto notare come il valore della sensibilità della pellicola si vada ad inserire come terzo e fondamentale fattore per il calcolo della corretta esposizione dopo (non per importanza) l'apertura del diaframma e il tempo d'otturazione.

Finora abbiamo considerato questi 2 valori e abbiamo visto come la coppia tempo-diaframma rispettasse una regola di reciprocità dove all'aumentare dell'uno deve necessariamente dimezzarsi il secondo.
Secondo quanto detto il terzo valore, quello della sensibilità della pellicola, rispetta questa regola e ad ogni incremento di esso (da 100 a 200 ISO) deve dimezzarsi uno tra gli altri 2 valori. A scanso di equivoci facciamo un esempio concreto.
Poniamo il caso di montare nella fotocamera una pellicola da 400 iso, dando priorità al tempo di scatto lo impostiamo a 1/500; l'esposimetro ci comunica che in quella condizione di luce l'apertura del diaframma richiede un valore di f 5,6.
Se avessimo montato una pellicola meno sensibile, ad esempio 100 ISO, avremmo avuto bisogno di due stop in più per esporre correttamente ed avremmo aperto il diaframma fino a 2,8.
Essendo quello della sensibilità un valore fisso (in quanto una volta caricato il rullino non lo possiamo variare) è molto importante fare una scelta oculata della pellicola di cui abbiamo bisogno.
Ma quali sono le differenze di resa tra una pellicola lenta come un 25 ISO e una molto rapida come un 1600 ISO?
Principalmente la grana, le pellicole poco sensibili quando vengono stampate presentano una grana molto fine, al contrario le pellicole rapide hanno una grana molto evidente.
In secondo luogo la saturazione, ad aumentare della sensibilità diminuisce sensibilmente. Anche il contrasto di una foto viene determinato in parte dalla scelta della pellicola, chi necessità di stampe molto contrastate dovrà indirizzarsi necessariamente su pellicole al di sotto dei 400 ISO.
Ricapitolando abbiamo a disposizione vari tipi di emulsioni. La scelta di una o l'altra soluzione dipende spesso da più fattori, principalmente le condizione di luce, il tipo di soggetto e l'apparecchiatura disponibile.
I fotografi di reportage usano spesso pellicole molto rapide che consentono l'uso di tempi brevi anche in condizioni di poca luce. Il ritrattista o il fotografo di natura morta che lavora comodamente in studio con l'aiuto del cavalletto può permettersi una pellicola lenta che in fase di stampa non presenta troppa grana anche ad ingrandimenti considerevoli.
Questi esempi non sono da considerarsi come delle rigide regole cui attenersi, capita spesso che per motivi formali e creativi vengano intraprese le strade opposte.
Le pellicole per diapositive presentano una forte saturazione dei colori, specie alle sensibilità più basse e vengono usate spesso dai fotografi di paesaggi per esaltare la bellezza della natura. Fino all'avvento del digitale erano considerate indispensabili per l'editoria.

 
 
2.2 LO SVILUPPO 

Abbiamo visto in precedenza come siano molteplici i fattori che definiscono la qualità e le caratteristiche dell'immagine finale.
In questa sezione vedremo come lo sviluppo e la stampa contribuiscano alla realizzazione di una fotografia.
Essendo questa guida rivolta al neofita, la spiegazione viene affrontata in riferimento allo sviluppo per il b/n che può essere effettuato abbastanza facilmente anche in casa.
E' presente negli "approfondimenti" una guida avanzata allo sviluppo dove vengono spiegati in modo preciso tutti i passaggi (sviluppo per il b/n).
Nella processo di sviluppo la pellicola, che è stata impressionata, viene sottoposta ad una serie di processi chimici. Questa fase avviene in completa assenza di luce, il supporto viene estratto dal rullino e arrotolato in una spirale, poi immerso in una serie di bagni costituiti da soluzioni di acqua e acidi.
I fattori da tenere presente prima di immergere la spirale sono: la concentrazione del bagno (ovvero la percentuale di acido per litro d'acqua.), la temperatura, il tempo necessario perché la pellicola venga sviluppata e l'agitazione a cui sarà sottoposta durante il bagno.
Questi fattori sono indicati dai produttori e cambiano in base al tipo di pellicola e di agenti chimici che utilizziamo, analizziamoli uno per uno.
La concentrazione del rilevatore è strettamente legata al tempo in quanto una soluzione molto concentrata (in cui è alta la presenza dell'agente chimico) ha effetto più velocemente sulla pellicola di quanto non faccia una soluzione molto diluita. Uno sviluppo molto concentrato è quindi più difficile da gestire e presenta una grana maggiore.
L'inconveniente di una soluzione più diluita è quello di deteriorarsi più rapidamente e quindi di poter essere utilizzata per poche pellicole.
La temperatura è un fattore fondamentale nello sviluppo, trattandosi di una reazione chimica all'aumentare di essa si accelera l'effetto del reagente.
Normalmente i bagni hanno una temperatura intorno ai 18°-22°. Il tempo è il fattore che incide più direttamente sullo sviluppo, man mano che il tempo scorre l'emulsione si modifica sotto l'effetto dell'acido.
Le zone del fotogramma colpite maggiormente dalla luce sono quelle che nel negativo avranno maggiore densità e sono quelle che più risentono dell'effetto del tempo, le zone in ombra che hanno impressionato meno la pellicola rimarranno quasi trasparenti e all'aumentare del tempo di sviluppo cambiano meno.
L'agitazione serve a staccare lo strato di rivelatore che dopo aver agito si attacca alla pellicola, consentendo così che la soluzione possa continuare ad agire efficacemente per tutto il tempo necessario.
La tank che contiene le spirali viene "shakerata" ad intervalli regolari per un numero preciso di volte.
La mancanza dell'agitazione produrrebbe un negativo debole con poco contrasto tra le zone chiare e quelle scure, una poca densità nelle alte luci.
Terminata la fase dello sviluppo la pellicola viene immersa in una nuova soluzione, il bagno d'arresto.
Questa operazione serve appunto ad arrestare il processo di sviluppo che è stato determinato in un tempo ben preciso e che non deve continuare ad agire oltre sulla pellicola.
L'ultimo bagno è quello del fissaggio, serve al negativo per conservarsi nel tempo.
Dopo il lavaggio in acqua corrente il negativo è pronto per essere asciugato, tagliato e stampato.

 
 
2.2 LA STAMPA 

Una volta sviluppato, lavato, asciugato ed opportunamente tagliato il negativo è pronto per essere stampato e quindi per concludere la lunga serie di operazioni che servono a creare una fotografia.
Parlando di processo di stampa dobbiamo subito distinguere quello che avviene per contatto e quello in cui il fotogramma del negativo viene riprodotto tramite un ingranditore.

La stampa a contatto si usa spesso per avere la prima idea concreta delle foto che andremo più avanti ad ingrandire, si tratta di mettere il negativo a contatto con della carta fotografica (fotosensibile) e quidi impressionarla esponendola alla luce. Il negativo lascia passare la luce attraverso di esso, la carta si impressiona in base alle varie densità delle zone del fotogramma.
Questa operazione avviene in luce di sicurezza inattinica (al contrario del processo di sviluppo che avviene al buio totale) la classica luce rossa delle camere oscure che vediamo nei film.

Per comprendere la funzione dell'ingranditore è utile pensare ad una specie di "macchina fotografica al contrario", in quanto la luce proviene dall'interno di esso e non dall'esterno.
L'ingranditore è composto da una testa collegata ad un piano per mezzo di una colonna ad altezza variabile. Nella testa è alloggiata una lampada, un condensatore o un diffusore, un cassetto portafiltri, il porta negativo e infine un obbiettivo simile a quello della fotocamera.
Quando accendiamo la lampada, la luce passa attraverso il condensatore che è posto sopra al negativo che vogliamo stampare.
La luce che attraversa il negativo viene catturata dall'obbiettivo che proietta sul foglio di carta fotosensibile l'immagine del fotogramma ingrandita.
Grazie all'obbiettivo è possibile impostare il diaframma e la messa a fuoco, il tempo d'esposizione viene regolato da un apposito timer che accende e spegne la luce.
Tutte le regolazioni (tra cui l'altezza della testa) vengono effettuate con l'accortezza di inserire il filtro rosso di sicurezza, impedendo così che la carta venga impressionata.

Una volta esposta la carta ha bisogno di un trattamento simile a quello dello sviluppo del rullino, il foglio viene fatto passare in apposite bacinelle contenenti i 3 bagni (sviluppo, arresto e fissaggio).
E' in questa fase che vediamo letteralmente apparire l'immagine finale, col passare dei secondi nel bagno di sviluppo, il foglio bianco si scurisce e si forma la fotografia.
Dopo aver fissato la nostra stampa la passiamo al lavaggio in acqua corrente, dopodiché non resta che asciugarla.

 
 
###LA LUCE ILLUMINAZIONE###

La materia base della fotografia è, senza dubbio la luce.
Essa è una forma di energia che irraggia dalle sorgenti luminose (naturali o artificiali), e da esse si propaga in tutte le direzioni con una velocità di 300.000 km/s.
La pellicola o nel caso delle fotocamere digitali, il sensore, viene colpita dai raggi luminosi provenienti dagli oggetti circostanti che ricevono luce (dal sole o da sorgenti artificiali) e la riflettono in tutte le direzioni.
Dal tipo di luce presente nella scene dipende gran parte del risultato del nostro lavoro, la luminosità caratterizza l'atmosfera di un'immagine, ne permette diverse letture e quindi è fondamentale conoscerla per sapere come comportarsi nelle diversissime situazioni in cui ci possiamo trovare.
Cominciamo col dividere principalmente i vari tipi di luce in due categorie: luce "dura" e luce "morbida" o "diffusa".
Una luce dura, come ad esempio quella del sole allo zenit produce ombre nette e forte contrasto, è sconsigliata nelle fotografie di ritratto e rende molto bene la solidità degli oggetti.
Al contrario una luce morbida, presente nelle giornate nuvolose, appiattisce i contrasti cromatici della scena e non produce quasi ombre. Smorza i colori ed addolcisce le forme.
Un altro approccio nella classificazione della luce è quello di studiare l'ombra che essa produce.
Se un oggetto illuminato presenta un'ombra dai contorni netti e definiti siamo in presenza di una fonte luminosa dura, se individuiamo un'ombra dai contorni sfumati abbiamo a che fare con una luce media. Infine se gli oggetti non presentano ombra affatto sono colpiti da una fonte di luce "grande", spesso lontana i cui raggi arrivano da tutte le direzioni.

Altra differenza importante è quella tra luce naturale ed artificiale, la prima ha il vantaggio di essere estremamente economica ma ha lo svantaggio di non poter essere controllata, al contrario della luce artificiale delle lampade o dei flash, fondamentale per fotografare di notte o in interni.
Un altro aspetto molto importante che riguarda la luce, oltre alle ombre che produce sui soggetti, è quello delle dominanti che le diverse illuminazioni producono sulle pellicole a colori.
Ci sarà capitato di vedere fotografie che presentassero una forte dominante cromatica che a occhio non abbiamo notato nella scena.
I nostri occhi (o meglio il nostro cervello) si abituano rapidamente e compensano automaticamente le varie "temperature di colore" della luce, le pellicole no.
Da qui il concetto di luce fredda e luce calda, dove la prima indica quella luce (naturale o artificiale) che produce toni sul rosso, come la luce al tramonto o quella delle lampadine al tungsteno, mentre la luce fredda che si presenta nelle giornate coperte, all'ombra etc.
La luce che risulta più neutra è quella del sole nelle ore centrali del giorno oppure quella del flash.
In queste condizioni non è necessario utilizzare filtri o pellicole speciali per correggere le dominanti di cui abbiamo parlato. A questo proposito è molto utile nelle fotocamere digitali il dispositivo di "bilanciamento del bianco". Se la qualità della luce influenza in modo decisivo la resa della nostra foto, la direzione da cui essa proviene è altrettanto importante.
Il soggetto che vogliamo ritrarre può essere illuminato in vari modi, principalmente la fonte di luce può essere: frontale, laterale, zenitale e posteriore (cioè in "controluce").

 
 
 

Ciao

Post n°1 pubblicato il 17 Ottobre 2006 da frasan13

Ciao siccome la mia passione è la fotografia ho deciso di condividerla con altri per questo voglio pubblicare per iniziare una guida che darà le basi achi si avvicina per la prima volta a questa meravigliosa passione!

Bene cominciamo col parlare della fotocamera in generale e delle sue caratteristiche

###LA FOTOCAMERA###

CARATTERISTICHE

Essendo questa guida rivolta prevalentemente ai principianti, si comincerà affrontando le caratteristiche ed il funzionamento delle fotocamere reflex, ovvero le macchine fotografiche attualmente più diffuse in commercio e più utilizzate sia dai fotografi dilettanti che dai professionisti.

Le due caratteristiche principali che contraddistinguono le fotocamere reflex dalle altre (compatte, polaroid etc.) sono in primo luogo la possibilità di montare obbiettivi diversi sul corpo della macchina stessa e, in secondo luogo, quella di vedere nel mirino l'esatta immagine che si fisserà sulla pellicola (o sul sensore ccd nel caso di reflex digitali) nel momento dello scatto.

Esistono vari tipi di reflex, in questa guida tratteremo solo quelle destinate al formato 35 mm, il normale rullino fotografico da 12, 24 o 36 pose, a colori o in bianco e nero che tutti hanno avuto occasione di usare.

Queste fotocamere rispetto a quelle "compatte" completamente automatiche consentono al fotografo di determinare in maniera diversa il risultato dello scatto agendo su vari fattori che andremo più avanti delineando. Come abbiamo già accennato la fotocamera è composta da due parti fondamentali, una parte fissa, il corpo, nella quale viene alloggiato il rullino e da dove è possibile inquadrare il soggetto attraverso il mirino e una parte mobile, l'obbiettivo, attraverso il quale passano i raggi luminosi che andranno a comporre l'immagine sul piano della pellicola.

1.2a OBBIETTIVI, DIAFRAMMA E MESSA A FUOCO 

L'obbiettivo è l'elemento che primo tra tutti ricopre un ruolo fondamentale nell'acquisizione dell'immagine, infatti è attraverso di esso che passano i raggi luminosi, provenienti dagli oggetti , che in seguito colpiscono la pellicola e la impressionano.
L'obbiettivo è composto da una sistema di elementi di vetro (le lenti) concave e convesse, che si spostano lungo l'asse centrale dell'ottica determinando la messa a fuoco (come avviene nei binocoli o nei microscopi) dell'immagine sul piano della pellicola.

Esistono vari tipi di ottiche da montare sui corpi delle fotocamere, differiscono tra loro per l'angolo di campo, (l'angolo sotto il quale l'obbiettivo vede il soggetto) e sono principalmente tre: gli obbiettivi "normali" che hanno una lunghezza focale intorno ai 50 mm, i grandangolari (17-35 mm) e i "teleobbiettivi" con focale che parte dagli 80 mm e arriva, in alcuni casi, ad oltre 1000 mm. (Gli obbiettivi che usano i fotoreporter sportivi a bordo dei campi di calcio etc.)
Ma cos'è la lunghezza focale? Questo termine, indica la distanza espressa in millimetri che intercorre tra il piano della pellicola ed il centro della lente dell'obbiettivo.

La lunghezza focale di un obbiettivo normale è vicina alla misura della diagonale del fotogramma. (che nel caso del classico rullino, è 24 X 36 = 43 mm) e l'angolo di campo che copre un obbiettivo di questa focale è di 46°. (L'angolo di campo dipende dal formato del fotogramma e dalla lunghezza focale dell'obiettivo).
Gli obbiettivi grandangolari hanno un angolo di campo molto più ampio che si aggira attorno ai 74°, grazie ad essi è possibile inquadrare soggetti molto grandi oppure riprodurre interamente piccoli spazi come ad esempio l'interno di una stanza.
Al contrario i teleobbiettivi, che ci consentono di inquadrare soggetti lontani con un rapporto di riproduzione apprezzabile, hanno un angolo di campo poco ampio (dai 28° in giù). Con essi sarebbe impossibile fotografare la figura intera di una persona in una piccola stanza.

Al fine di rendere più chiara la differenza tra le varie ottiche, immaginiamo di trovarci in una sala di un ristorante, a cena con i nostri amici. Avendo a disposizione 3 obbiettivi: un 35 mm, un 50 e un 135 potremmo effettuare diverse inquadrature. Per il primo piano di chi ci è di fronte useremmo il 135, per fotografare tre amici a mezzobusto il 50 mm, per una panoramica su tutta la tavolata il grandangolare da 35mm.

Oggi sono molto diffusi gli obbiettivi "zoom", quelle ottiche che cambiano lunghezza focale e quindi angolo di campo, consentendo al fotografo di non dover montare e smontare l'obbiettivo in base alle necessità. Questi obbiettivi pur essendo oggettivamente molto utili non hanno la stessa qualità delle ottiche fisse viste in precedenza in quanto per realizzarli obbediscono a dei compromessi, sono meno luminosi e producono immagini meno nitide e contrastate.

Per luminosità di un obbiettivo si intende la sua capacità massima di trasmettere la luce alla pellicola, e dipende da due fattori: il diametro della lente frontale e la lunghezza focale ( si definisce luminosità di un obbiettivo il rapporto tra la lunghezza focale e il diametro dell'obiettivo.
 
 
1.2b Diaframma e messa a fuoco

Nel barilotto cilindrico dell'obbiettivo è alloggiato un altro fondamentale elemento; il diaframma.
Questo dispositivo determina la quantità di luce che passa al momento dello scatto. E' formato da alcune lamelle metalliche che scivolando su loro stesse determinano il diametro di un foro circolare più o meno ampio.
Il diaframma si apre e si chiude ad intervalli regolari che raddoppiano o dimezzano la quantità di luce che intendiamo far passare. Questi intervalli che prendono il nome di
"stop" rispettano una scala numerica, scritta sulla ghiera dell'obbiettivo, espressa nella seguente progressione :
f 1 f 1,4 f 2 f 2,8 f 4 f 5,6 f 8 f 11 f 16 f 22 f 32 f 45 f 68
In questa sezione non è importante spiegare come è stata determinata questa scala, è sufficiente sapere che al valore numerico più basso corrisponde una apertura di diaframma più grande.
Per concludere un diaframma impostato al valore f 2,8 lascerà passare una quantità di luce maggiore che se impostato allo stop successivo (4) e più precisamente il doppio.
Oltre a determinare la quantità di luce, il diaframma gestisce un altro fondamentale parametro della fotografia: la profondità di campo.
La profondità di campo rappresenta la porzione di spazio che risulta nitida in una foto.
Questa distanza può essere più o meno estesa e questo dipende da vari fattori:
Il valore del diaframma, la distanza che intercorre tra la macchina e il soggetto e la lunghezza focale usata.
Una regola fondamentale da conoscere è quella per cui la profondità di campo si estende per un terzo davanti al soggetto messo a fuoco (verso noi che lo fotografiamo) e per due terzi dietro di lui. Questo vale con qualsiasi valore di diaframma impostato, a qualsiasi distanza dal soggetto e con qualsiasi ottica.
Come abbiamo detto l'impostazione del diaframma determina la misura della profondità di campo, più è chiuso il diaframma e più questa distanza aumenta (sempre mantenendosi un terzo avanti e due terzi dietro al soggetto). Per quanto riguarda le ottiche si ottiene maggior profondità di campo con le focali corte e meno con i teleobbiettivi.

In ultimo, più il soggetto è lontano dal punto di ripresa e più sarà estesa la profondità di campo.
Concludendo possiamo affermare che fotografando un soggetto lontano da noi con un ottica "corta" (es. 35 mm) ed impostando un diaframma abbastanza chiuso (11, 16 etc.) avremmo una zona nitida nella foto molto estesa.
Fino ad ora abbiamo solo accennato alla messa a fuoco, questa regolazione è forse il primo degli elementi di controllo relativi alle funzioni svolte dalla fotocamera. Ruotando la ghiera presente sull'obbiettivo, le lenti si allontanano e avvicinano dal piano della pellicola entro i limiti della filettatura interna: questo consente la messa a fuoco di un soggetto che si trova a distanze diverse.
Oggi la maggior parte delle fotocamere in commercio ha un sistema automatico di messa a fuoco (autofocus) ma nei modelli più professionali è ancora possibile mettere a fuoco manualmente.

Come abbiamo detto in apertura di questa guida, le fotocamere che trattiamo, le reflex monoculari, hanno il grande vantaggio di far apprezzare al fotografo la reale inquadratura che l'obbiettivo effettua. Questo grazie alla presenza di uno specchio presente nel corpo macchina, inclinato a 45° rispetto all'asse dell'ottica, che ha una doppia funzione: riflettere l'immagine nel mirino per consentire al fotografo inquadratura e messa a fuoco e, allo stesso tempo, deviare i raggi luminosi affinché non colpiscano la pellicola prima dello scatto.


1.3 L'OTTURATORE 


Dopo aver parlato del diaframma e aver visto come esso influisce sull'esposizione, facendo passare più o meno luce in base alla sua apertura, affrontiamo un altro fondamentale elemento della fotocamera: l'otturatore.
Esistono vari tipi di otturatori, in questa sezione analizzeremo solo quelli a tendina che troviamo nelle macchine moderne tralasciando il tipo "centrale" non più in uso.
Gli otturatori a tendina (a scorrimento verticale o orizzontale), sono composti da una serie di tendine che scorrendo parallelamente al piano della pellicola lasciano che essa si faccia impressionare dalla luce per un determinato lasso di tempo durante il quale rimangono aperte.
Fermiamoci un attimo ad analizzare le fasi che consentono ai raggi luminosi di giungere alla pellicola. Per prima cosa i raggi vengono intercettati dalla lenti dell'obbiettivo, passano attraverso il diaframma e, finché non premiamo il pulsante di scatto, vengono deviati dallo specchio nel mirino.
Quando lo specchio si alza, nel momento esatto in cui scattiamo, le tendine dell'otturatore si mettono in moto lasciando passare la luce per un determinato periodo: il "tempo d'esposizione".
Il tempo d'esposizione, che il fotografo gestisce grazie ad una ghiera presente sul corpo della fotocamera obbedisce ad una scala che venne elaborata con un criterio simile a quello del diaframma affinché tra di loro vi fosse un nesso durante la misurazione dell'esposizione.
Ogni valore è quindi la metà di quello che lo precede ed il doppio di quello successivo.
I tempi possibili da impostare possono essere, in base al modello della fotocamera, da 30 secondi ad 1/8000 di secondo, passando naturalmente per tutti i valori intermedi (15s, 8s, 4s, 2s, 1s, 1/2s, 1/4s, 1/8s...).

Ora sappiamo come gestire la quantità di luce che vogliamo vada ad impressionare la nostra pellicola. Abbiamo a disposizione due dispositivi: il diaframma, e l'otturatore.
Il primo sfrutta lo spazio (quello in cui passano i raggi) il secondo il tempo. Se non è immediato capire come il diaframma produca effetti diversi sulle nostre foto (estensione della zone nitida) è più facile capire come l'otturatore, che agisce sui tempi, possa influire sulla resa di oggetti in movimento.
Se utilizziamo un tempo di scatto breve sarà più facile congelare il movimento di soggetto che vogliamo inquadrare.
Si è precedentemente accennato allo "stop" come intervallo tra i diversi valori del diaframma, la stessa cosa è valida per l'otturatore, aprire di uno stop il diaframma equivale a passare tra un tempo di scatto di 1/250 a 1/125 (raddoppiando il tempo di posa).

 
 
1.4 L'ESPOSIMETRO E L'ESPOSIZIONE 


Sappiamo come utilizzare diaframma ed otturatore per far arrivare più o meno luce alla pellicola ma come facciamo a quantificare la luce necessaria affinché la foto risulti esposta correttamente?
E' facile intuire che in condizioni di luce molto diverse (giorno-notte, chiuso-esterno) sarà necessario impostare differentemente la nostra fotocamera per realizzare un'immagine che non risulti troppo scura o estremamente chira, o meglio, per scattare fotografie in cui possano essere letti i dettagli sia nelle zone più scure che in quelle estremamente luminose.
Per fare queste misurazioni ci viene in aiuto un altro componente fondamentale: l'esposimentro.
Anche in questo caso ne esistono di due tipi, quelli incorporati alla fotocamera e quelli esterni.

In questa sezione tratteremo gli esposimetri incorporati che "leggono" la luce attraverso l'obbiettivo, in TTL (through the lens - attraverso l'obbiettivo).
L'esposimetro misura l'intensità della luce presente nella scena che vogliamo fotografare e ci indica il valore corretto del diaframma e del tempo da impostare.
Questo naturalmente in base ad un valore assoluto (che non può essere variato a differenza degli altri) che è la sensibilità della pellicola.
La parte principale di un esposimetro è composta da una cellula fotosensibile collegata ad un circuito elettronico. Nel momento in cui viene colpita dalla luce (deviata dallo specchio a 45°), la cellula produce corrente elettrica che in base alla sua intensità restituisce i valori sopra citati. Nel caso di una scena molto luminosa, come ad esempio un panorama in una giornata di sole, l'esposimetro riceverà una forte intensità di luce, e sapendo che la pellicola da impressionare ha una sensibilità precisa, ci suggerirà di usare una "coppia" tempo diaframma corretta ad impressionare il fotogramma.
Abbiamo qui introdotto un altro concetto base della fotografia: La coppia tempo-diaframma.


Questa coppia di valori è quella che determina la giusta esposizione della pellicola e rispetta una legge chiamata "della reciprocità" secondo la quale gli aumenti e le diminuzioni del flusso luminoso (gestiti dal diaframma) sono compensati da aumenti e diminuzioni proporzionali del tempo (otturatore) in cui tale flusso si faccia pervenire alla pellicola.

Per chiarire meglio, immaginiamo di fotografare una scena che presenta un tot di luce "x", l'esposimetro fatta la lettura ci indicherà una coppia di valori necessaria, ad esempio f 8 - 1/125s. Impostando questi valori sul diaframma e sull'otturatore avremmo una foto esposta correttamente.
La legge della reciprocità che regola questi valori ci permette di cambiarli in modo da far passare sempre la stessa quantità di luce, stringendo il diaframma e, contemporaneamente, aumentando il tempo di scatto, e viceversa.
Questo ci consente di sfruttare i diversi effetti che le impostazioni di tempo e diaframma hanno sulla resa finale della foto (profondità di campo, blocco del movimento, etc.).

Il fotografo quindi ha la possibilità di dare priorità ad uno di questi due fattori, tempo e diaframma in base alle necessità del caso. Il fotografo sportivo, avrà bisogno di usare tempi brevi che congelino il movimento degli atleti, rinuncerà così a qualche stop in più sul diaframma, il paesaggista con la macchina sul cavalletto si potrà permettere tempi lunghi in favore di una maggiore profondità di campo data dal diaframma chiuso.

 
 
 
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