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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 08 Maggio 2007 da sfas3ta

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Se riuscirai a costringere cuore,nervi e muscoli, benché sfiniti da un pezzo,a servire ai tuoi scopi,e a tenere duro quando più niente resta in te tranne la volontà che ingiunge: “tieni duro”!;se riuscirai a riempire l’attimo inesorabile e a dar valore ad ognuno dei suoi sessanta secondi, il mondo sarà tuo allora, con quanto contiene, e –quel che è più -tu sarai una donna.. ragazza mia!

 
 
 

Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 23 Aprile 2007 da sfas3ta

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Le parole , quelle sfondate, annerite, amo bisbigliarle e urlarle, amo ribadirle….quelle gentili come fiori di campo e volubili come nuvole al vento, amo tenerle sulla punta delle dita e somministrarle a piccole dosi come veleni dolci che non fanno morire subito ma attimo dopo attimo, giorno dopo giorno….le parole scarne come  gambe di morto di fame te le metto lì sulla tua scrivania ad infestare i tuoi sogni e le tue illusioni, ad accecare ogni bellezza e ogni virtù, ogni palpito di solenne orchestra sull’oceano…si te le lascio lì a sporcare in giro… le parole vuote come rombo di motore già andato me le giro fra le dita e ci faccio un solitario che poi stendo alla finestra….c’è molto sole oggi sembra quasi estate…ho visto il mare calmo come un piatto d’olio, e penso che mi ci immergerò…le parole aggrovigliate come serpenti nella pancia te le vomito con un unico conato dentro il piatto di minestrina tiepida condita con formaggio, che così tu ne abbia schifo, che ne senta l’odore acido e pungente entrarti fino in fondo al tuo cervello, là dove si condensano le sensazioni corporali in qualcosa di assolutamente immateriale….le parole ambigue le circoscrivo di viola  e  le lascio nell’unico posto dove mai potrebbero abitare , nel cestino di windows….le parole frastagliate, quelle in salita e quelle in discesa le canto su e giù per scale disarmoniche e dissacranti,,,, le parole ardite te le incendio addosso coi silenzi dei miei baci, con le mani e il corpo intero, questa carne mutevole, questo logorio incessante di cellule in crescita, in proliferazione, in estinzione… le parole fanno le infinite storie d’amore… 

oh cazzo quante parole ancora devo dire…e non ho tempo…

 
 
 

Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 11 Aprile 2007 da sfas3ta

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L'ATTRAZIONE

Vedete quell'uomo lì, quell'uomo dalle mani di lacrime, seduto davanti alla finestra, intento a guardare le rondini? Quell'uomo, signori miei, è demente. E' andato. Osservate bene il suo sguardo: segue le rondini fino a quando queste non s'immergono tra il bianco delle nuvole della sua ferita immaginazione. Ammirare il volo degli uccelli è diventato ormai il suo unico modo per trascorrere il tempo, anche se lui non lo sa di trascorrere del tempo.

Il suo padrone di casa gli si avvicina spesso per portargli da mangiare, per leggergli lo sguardo perso, tentando di capire qualche suo bisogno, desiderio, invocazione. Fa cenno ai suoi ospiti che la sua vita è quasi ormai totalmente dedicata alle cure di quel povero mentecatto.

"Perchè è matto?", gli chiedono sempre.

Si dice che pensasse troppo, che si tormentasse fino a darsi pugni in testa. Si dice che un giorno i pensieri e i tormenti nel cervello di quell'uomo siano letteralmente esplosi, corrodendogli pian piano le pareti del cranio. Ormai nella sua mente vegetano miliardi di frammenti di miliardi di pensieri. Non apre quasi mai bocca, e quando gli capita di farlo, non riesce a mettere insieme delle parole che abbiano un senso. Spesso tramuta in voce frammenti di pensieri.............ma non pensa.

Quell'uomo non pensa. Quel demente non pensa più.

Il padrone di casa dice che il matto scriveva racconti. Era in gamba, dice. Tutto ciò che scriveva lo faceva leggere solo ed esclusivamente agli amici più cari, senza aver mai espresso il desiderio di pubblicarli. Si potrebbe farlo ora, non si accorgerebbe di nulla. Forse.

"Ci sto seriamente pensando, se lo meriterebbe. Non credete, signori miei?", dice il padrone di casa. E suonava la chitarra anche. La suonava così bene, dice, che dopo un pò dalle sue mani cominciavano a sgorgare delle grosse gocce. Ma non era sudore. Erano lacrime. Era disperazione.

E cosa pensa la moglie? E' sposato? Ha dei figli da qualche parte?

Si racconta che lei sia scappata in Spagna con un avvocato fallito ma ereditario di strane somme stratosferiche di denaro.

Tutti ricordano che fosse davvero una donna molto attraente, che faceva alzare orgoglioso il membro solo a guardarla camminare. E tutti a casa in bagno a lavorare di mano.

No, la coppia non aveva figli. Forse lui era sterile. O forse lo era lei. E forse non avevano pensato ad altri modi per averne. E forse non ne avevano voglia.

Lui divorava dischi jazz e blues che ascoltava durante le sue scritture. Ed ora? Bè, ora non gli passa proprio più per la mente di mettere su un disco. A volte ci pensa il suo padrone di casa a farlo, ma pare che la musica non gli provochi più nessuna sensazione, nessuna emozione.

I suoi amici vanno spesso a fargli visita, soprattutto di sera, dopo cena. Gli portano regali che lui non guarda. Gli raccontano storie che lui non ascolta. Gli trasmettono affetti che lui non coglie. Certo, a volte sorride, uno strano e inespressivo sorriso, ma sempre quando c'è silenzio e poca luce. A chi sorride? Agli uccelli, probabilmente, alle sue rondini. Di tanto in tanto il padone di casa e gli amici si limitano a fissarlo, a contemplarlo come fosse una scultura in marmo. E' accaduto che dentro di sè ci sia stato un barlume di vita, accennando una smorfia che non fosse il suo solito sorriso agli uccelli, oppure gemendo. Ma è sempre vita non razionale.

Quell'uomo non pensa più.

E' addirittura difficile capire anche se dorma o meno poichè respira sempre con ritmo costante e il cuore non da alcun segno di emozione. Martella sempre allo stesso modo. E' inquietante. Non russa mai. Forse non dorme.

Si racconta che la madre abbia fatto la sua stessa triste fine, che sia andata di cervello fissando le prime rondini di una nuova stagione.

La sua storia è riportata su una grossa targa affissa alla parete.

Ora c'è molta gente che viene a far visita al demente. Non soltanto più amici, ma semplici curiosi. La porta di casa è sempre aperta. Il padrone di quell'accogliente appartamentino è sempre molto disponibile, fa accomodare tutti a qualunque ora.

Poeti vengono e fissano lo sguardo del matto e buttano giù ispirati versi.

Giovani chitarristi classici vengono e improvvisano lunghe suite.

Pittori vengono e dipingono il suo volto senza tonalità.

Scultori vengono e modellano la sua gracile figura.

Fotografi vengono e scattano la sua eterna posa impassibile.

Ora il padrone di casa è fermamente deciso a far pubblicare i suoi racconti. E' giustamente sicuro che avranno il loro buon successo.

E forse porterà alla radio le sue vecchie registrazioni con la chitarra.

Il demente sorride.

Ma non pensa.

Da qualche giorno c'è grande confusione e agitazione attorno a sè, in casa sua. Musiche e grida si fondono, il padrone di casa è  molto attivo e i suoi ospiti e semplici curiosi chiedono il prezzo di una birra e discutono animosamente sulla qualità e sulla convenienza delle lasagne di Nonna Rosa.

Qualcuno si domanda se il matto un giorno si riprenderà.

"E' un povero cristo", risponde di solito il padrone di casa, "ma, vogliate perdonarmi, auguriamoci di no!".

E giù una grassa risata.

Luca Navarro

                                                            

  

 

 

 

 

 
 
 

Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 31 Marzo 2007 da sfas3ta

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TRENTANOVE E MEZZO DI FEBBRE

E' come se avessi sempre la febbre, una fastidiosissima, irritante, scazzante febbre. Sapete, quei lunghi e interminabili brividi lungo la schiena, quei frenetici tremori, quella sensibilità elettrizzante che se pure qualcuno ti sfiora appena ti sembra ti sferzino addosso, come scapaccioni a mano rovescia, tutti i venti gelidi di questa fetente terra. E nessuna voglia di muovermi, di parlare, di bestemmiare, di recitare il mio bel rosario di parolacce in dialetto. Solo gemiti strozzati, lamenti alitati nel caldo malato di una coperta azzurra chiazzata di sugo crepato nell'olio fatto da mio nonno, una lurida coperta che mi tiro addosso come se provassi terrore per chissà cosa. Ogni tanto butto giù un sorso di vino per rendere la mia febbre anche un pò malinconica, rituffando il dannato cuore nelle dolorose tachicardie passate: atroci sussulti di un tempo che ritorna ogni qualvolta credi di averlo sepolto per sempre.

Poi un inatteso balzo dal capezzale, la coperta vola via fino ad atterrare sul pavimento insozzato dalla mia pigrizia, un vorticoso giramento di testa e penso "tra non molto sarai qui, entrerai da quella porta, la stessa di qualche dolore fa, mi sorriderai come sempre e io guarirò finalmente da questa stramaledetta febbre parlandoti come ho immaginato di fare poco fa sotto il caldo malato di quella coperta azzurra".

Ma ecco lo scampanellare imbufalito e incazzoso e io mi fiondo ad aprire la porta, sudato e come impazzito.

Eccoti, sei arrivata, hai varcato la soglia della porta d'ingresso con un buffo passo di danza, uno sfizioso sculettìo, accennando un debole e graziosissimo saluto incorniciato da un meraviglioso sorriso magicamente scolpito su quelle sottili labbra che di certo devono avere più sapore del vino più buono.

Ti saluto con ritrovata calma, azzardo una carezza tra i tuoi capelli neri con una mano ora meno parkinsoniana del solito; un'altra carezza ai tuoi occhioni splendidi con i miei che sprizzano ebetismo e goffo smarrimento. Ma siediti amore mio, siediti dove ti pare, siediti pure sulla mia schiena, che m'importa? Hai le scarpe sporche? Vuoi uno zerbino? Vuoi che mi spalmi sul pavimento? Dici che non sai dove appoggiare il tuo cappotto? Appendilo su di me, non c'è problema.

Ecco, poi penso, ora devo soltanto saper cominciare. Questione di parole giuste, di tatto, di buonsenso, di toni accorti, di gestualità misurata, di due parolacce al minuto anzichè cinque, mani tra le mani invece che tra i coglioni sudati.

Ti sorrido, ebbro d'amore, e l'ultimo brivido di febbre va via, l'ultima fitta alle gambe scompare. Sei lì in piedi, ti guardi attorno, un pò perplessa. Forse non ti piace l'appartamento? Vuoi che cambi tutto? Butto giù quel muro troppo ingombrante? Vado a rubare un divano più comodo?

No, forse stai solo aspettando che io ti parli, vero? Ti guardi attorno come per prendere tempo, giusto? E io ti parlo. Perchè no? Ho deciso.

"Ehm....vuoi un caffè? o preferisci del vino?".

"Caffè, grazie ".

Oh, misero me! Che tristezza! Vorrei picchiarmi da solo dinanzi a te per quanto sono stupido.

Ma va bene, andiamo a prenderci questo caffè. Prendo dei biscottini farciti di schifo, ti conduco nella mia piccola cucina guardandoti sculettare, prendo la macchinetta del caffè eternamente incrostata, faccio frantumare a terra tre piatti, gli ultimi. E due bicchieri, gli ultimi. E tu ridi sollazzata. Ma si, ridi pure della mia sbadataggine, se vuoi mi metto a fare il pagliaccio pur di farti divertire, o pulcinella, o un cagnolino in cerca d'affetto, oppure mi trasformo in un peluche, vuoi? Poi il caffè sghignazza sguaiato dalla macchinetta che balla sui fornelli.

E' pronto, pare.

E davanti alle tazzine fumanti apri la tua deliziosa bocca. Mi parli con insistenza di qualcosa, di qualcuno, di pensieri fissi. E fumando una sigaretta continui a parlare di qualcosa, di qualcuno, di pensieri fissi..... E io, sospirando, ti ascolto con amara attenzione, anzi, forse ascolto solo il suono della tua voce e guardo le labbra che danzano. E continui imperterrita a parlare di qualcosa, di qualcuno, di pensieri fissi e dopo un pò i miei occhi si rassegnano. E mi tornano pian piano, languidamente, i brividi lungo la schiena, i tremori, i dolori, l'assenza di movimento e l'alito troppo caldo e cattivo. E come un idiota aspetto che tu te ne vada. Ma un momento, ti prego! Cantami qualcosa, lasciami almeno una nota su cui poter arrangiare tutto il mio amore fantasioso. Dici che ti serve uno strumento? Usa me, io sarò il tuo strumento, prendi il mio corpo e strimpellalo come una chitarra, percuotilo come un tamburo, pigialo come un pianoforte, suonami, suonami e canta, dal mio corpo uscirà tutta la musica che vorrai e che ti serve.

Macchè, te ne vai via sculettando e io riprendo mestamente il posto di prima, sprofondato nel divano e sepolto dalla coperta azzurra imbevuta nell'olio, di nuovo in preda alla febbre, al sudore che impregna i miei neuroni ormai sulla facile via della demenza e dell'imbecillità. E penso "l'amore non mi vuol bene".

Poi affondo ancora le labbra nel vino per alimentare maggiore malinconia e maledisco me stesso di non saper guarire. Pochi mesi d'illusione, di benessere ritrovato............e poi?....E poi nuovamente a testa in giù fino a farmi uscire il sangue del cuore dalla bocca.

"Ma perchè non te ne stai buono per almeno sei sette otto mesi, eh? Perchè, una volta guarito, non pensi a fare qualcos'altro che non abbia a che fare con quella bestia dell'amore, eh? Che ne so, pensa a pulire casa che fa schifo, a iscriverti a un corso di cucina maltese, a guardare tutti i film di chuk norris, a fare del volontariato, a parlare di politica con la tv, a giocare al totocalcio, ad ubriacarti in compagnia, a tagliarti le unghie dei piedi che stanno lì dure e affilate da quando l'ultima donna ti ha lasciato col culo a strofinare per bene le scale di un condominio. Non hai sofferto già abbastanza? Non ti sei ridicolizzato abbastanza? Ne vuoi ancora? Che cristo, aspetta ancora un pò, no? E poi non lo vedi che con lei non è possibile? Non l'hai ascoltata poco fa? Non l'hai guardata come si deve negli occhi? Dov'eri imbecille con quella testa di minchia che ti ritrovi, eh? già dietro di lei ad urlare iuhhuuu! brandendo un lazo, vero? Idiota, imbecille, deficiente!".

Questo è quanto mi dico spesso nei miei deliri della febbre, nel buio soffocante di quella merdosissima coperta azzurra ricoperta d'olio fatto in casa.

Poi mi sorprende un sorriso e penso che non c'è fretta. Ma si, non c'è fretta, la prossima volta ti dirò ciò che devo. Invece di chiederti se vuoi un caffè ti parlerò, e subito, del mio amore, col cuore in mano. Che ci vuole? Non è mica difficile.

Ma la prossima volta è sempre la stessa e identica volta. Solito caffè, soliti tuoi temi ammoscianti su qualcosa e qualcuno discussi e ridiscussi e io lì fermo a farmi tornare la febbre e dopo a dirmi che sarà ancora per la prossima volta, fino a quando avrò l'età per vergognarmi della mia stupidità.

Ma, a pensarci bene agonizzante con trentanove e mezzo di febbre, non ti ho ancora detto nulla perchè semplicemente non voglio dirtelo. Perché?

Forse perchè ho paura di una tua sberla dolce e consolatrice mentre scuoti la testa e mentre la mia gira veloce sul mio collo. Forse perchè ho paura di perdere per sempre la speranza di offrirti almeno un caffè. Forse perchè ho paura di amarti toccandoti per mano. Forse perchè  ho paura di ferirmi, di massacrarmi ancora e ancora e ancora, anche se ho già male dappertutto. Forse perchè, più semplicemente e più probabilmente, ho paura del tuo categorico rifiuto, puntualizzato da una pedata in piena faccia. Razza di idiota che sono, non ho ascoltato ciò che mi hai detto? Non ti ho guardata come si deve negli occhi? Non ho dato retta ai tuoi pensieri fissi? Lascia perdere, no? "Alzati, cammina, vai al cesso e scoreggia seduto tutti i tuoi puzzolenti tormenti, tira lo sciacquone e spera di non scorgere il volto di lei riflesso nella pozza d'acqua pulita", penso.

Però, quanto mi piacerebbe darti un bacio sul cuore per farlo cominciare a battere come batte il mio! E giuro che in quel caso reprimerei le verità nascoste sganciate dal pertugio segreto.

Ma probabilmente, conoscendomi un pò, nemmeno allora la febbre sarà andata via, o almeno non del tutto.

Forse ora è meglio che sciolga un'aspirina in un bicchiere di vino per riprendere a delirare, che è la cosa che mi riesce senz'altro meglio.

E penso che cambierò coperta. La chiazza di sugo crepato nell'olio mi ha disgustato. Proverò quel pleid imbrattato di cioccolato al peperoncino fulminante.

Immergerò di nuovo la testa nella febbre...............e continuerò ad inventarti fino a quando qualcuno non mi avrà trovato un buon dottore. Amore Immaginario è la mia malattia.

L'amore è stata la mia sciagura.

Luca Navarro

 

 

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 28 Marzo 2007 da sfas3ta

immaginedisperazione esasperazione follia solitudine.........dovrei tuffarmi in un water a forma di oceano, a testa in giù, con le mani protese in avanti, ad occhi chiusi, a mente chiusa, ottenebrata dal furore...........e invece sorrido, un sorriso ebete, magari malizioso, ma deliziato, estasiato, perchè la mia disperazione la mia esasperazione la mia follia la mia solitudine sguazzano nel talento che è la mia vita, e quando tiro lo sciacquone mi tiro addosso il talento della mia vita che si tiene stretto alle mie mutande........alla faccia di chi credeva che il buio è solo buio e che non ha ombre, ombre che si muovono, ombre che vivono, ombre che bevono, in sarcastica compagnia del vostro buio che non si muove che non vive che non beve e che muore nel nero della vostra non disperazione della vostra esasperazione della vostra follia della vostra solitudine...........della vostra vita che non conosce talento.

luca navarro

 
 
 
 
 

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Un blog di: sfas3ta
Data di creazione: 18/02/2007
 

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