Giornalista per caso

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CASTAN: 'TEVEZ IDOLO E INCUBO'

Post n°1143 pubblicato il 09 Maggio 2014 da stefano.carina
 

ROMA. Lo sguardo da cattivo, alla Lee Van Cleef per intenderci, è solito lasciarlo in campo. Fuori dal rettangolo di gioco, Leandro Castan corrisponde esattamente all'immagine del brasiliano che ci portiamo dietro da bambini. Sorridente, pronto alla battuta e amante del calcio. Nemmeno la mancata convocazione per i mondiali scalfisce il suo buon umore.
Deluso?
«No, sapevo che sarebbe stato convocato Dante e quindi era difficile che Scolari si portasse un altro centrale mancino. Al mondiale il c.t. convoca i giocatori sui quali ripone fiducia, tipo Henrique che conosce avendoci lavorato al Palmeiras. La prima volta in nazionale con Felipao avevo già capito che sarebbe stata l'ultima. Rispetto comunque la scelta».
Probabilmente rimarrà a casa anche Tevez. Lei ha giocato nel Corinthians dove l'Apache è ancora oggi un idolo.
«Ha detto bene, un vero idolo. Ora è difficile per gli attaccanti che giocano lì, perché tutti fanno i paragoni con lui. E' un calciatore forte, un top player, un incubo per le difese avversarie. I tifosi del Corinthians lo amano e lo rivorrebbero».
E' l'attaccante che in serie A l'ha messa più in difficoltà?
«Sì, c'è lui ma non solo. Anche Cerci e Immobile sono bravi. In Brasile, invece, ogni volta che incontravo Neymar erano dolori. Ci incrociavamo spesso in Corinthians-Santos e facevo veramente tanta fatica».
Dopo una stagione del genere, prevale il rammarico o la felicità?
«Senza dubbio la gioia, abbiamo fatto benissimo. Ottenere la qualificazione diretta alla Champions è stato fantastico».
Anche per lei, dopo le critiche ricevute lo scorso anno, è stata una bella rivincita.
«Per un difensore arrivare in Italia è difficile, il vostro calcio è diverso da quello brasiliano. Ho avuto bisogno di un po' di tempo per ambientarmi, avevo difficoltà su diversi fronti».
Soprattutto con Zeman...
«Con lui i ritmi erano massacranti: mai visto una cosa del genere nella mia vita. Poi non parlavo italiano, era difficile, c'era un po' di confusione. Con Zeman non abbiamo trovato un'intesa tattica, lui voleva una cosa diversa da tutto quello che avevo imparato nella mia carriera. Però non ne voglio parlare male, il mister ha la sua storia. Il calcio è così, come la vita: succede di non trovarsi».
Domenica arriva la Juventus che ha già vinto lo scudetto. Difficile trovare stimoli con nulla in palio?
«No, sarà comunque una bella gara da giocare. E' una sfida che continuerà anche nella prossima stagione».
Crede che lo scudetto la Roma lo abbia perso per colpe proprie o anche frenata da errori arbitrali?
«Gli arbitri hanno sbagliato sia a nostro favore che pro-Juventus. Certo ci sono stati degli errori che hanno pregiudicato alcuni risultati ma concordo con Maicon quando dice che le maggiori responsabilità sono le nostre».
La squadra di Conte ha meritato di vincere lo scudetto? «Sì, difficile dire il contrario quando si fanno 96 punti».
C'è una partita che vorrebbe rigiocare? «Quella di domenica scorsa col Catania. È vero che non potevamo più arrivare primi ma un po' mi sono vergognato. Non si possono prendere quattro gol».
A Roma i tifosi ci sono rimasti male. Non tanto per il ko quanto per il fatto che Garcia si era lamentato in precedenza che qualche avversario non aveva dato il massimo contro la Juventus e poi voi vi siete comportati in modo analogo.
«Stavolta non sono d'accordo. Se un giocatore (Paulinho, ndc) rimane fuori perché diffidato è diverso da me che sono sceso in campo con un problema fisico, rischiando di saltare la gara con i bianconeri. Una squadra che lotta per non andare in serie B e lascia i giocatori fuori è strano. E' anche vero poi che nel calcio entrano in gioco le motivazioni».
Pjanic resta a Roma? «Sì».
In Italia abbiamo riscoperto la violenza attorno alle partite di calcio. A lei è mai capitato di avere paura dei tifosi?
«Purtroppo sì. Ricordo quando abbiamo perso i preliminari di Libertadores con il Tolima, squadra colombiana. Al rientro è stato un casino. I tifosi del Corinthians sono venuti al campo di allenamento per ammazzarci e non esagero. Ho chiamato mio padre e gli ho detto "Portami via da qui, ho paura". Dopo quei fatti Ronaldo smise di giocare, Roberto Carlos andò via. Ora è accaduto anche a Pato. È una cosa triste ma in Brasile siamo abituati. È un argomento difficile da trattare. Al Corinthians presidente e tifosi hanno legami, forse vengono regalati anche i biglietti per le gare. Da noi è diverso rispetto a qui: a Roma mi sento sereno quando giro per la città con la mia famiglia. In Brasile, invece, anche se spari a qualcuno dopo una settimana sei in spiaggia. Nessuno ha paura della giustizia. Mi auguro che l'Italia rimanga un posto tranquillo». STE CAR
ARTICOLO PUBBLICATO IL 09-05-14 SU TUTTOSPORT

 
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