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Facebook e l’algoritmo senza sentimenti


Una bambina morta di cancro, un video allegro con il suo volto. Dopo le proteste arrivano le scuse del social network: “L’applicazione è piaciuta a moltissime persone, ma è chiaro che in questo caso ha causato dolore anziché gioia”
 “È stato un anno meraviglioso. Grazie per aver contribuito a renderlo tale”. Così, con un linguaggio formale e un po’ burocratico, Facebook celebra questo 2014 che sta per finire: un video creato mettendo insieme varie foto postate, qualche status, un minimo di personalizzazione. E una copertina con disegni infantili e una foto, a rappresentare tutto un anno. Ovviamente non è obbligatorio cliccare sul pulsante che crea il video, non è obbligatorio condividerlo, però spesso nella timeline di ognuno di noi in questi giorni è comparso un invito a farlo.  È successo anche a Eric Meyer, consulente di web design americano, ma la foto nella copertina era quella della figlia Rebecca, morta a sei anni per un tumore. Eric ha pubblicato un post sul suo blog alla vigilia di Natale, segnalando la crudeltà di un algoritmo che sceglie in maniera automatica le immagini, e che si conclude appunto con la frase “È stato un anno meraviglioso”. Per lui non lo è stato, ma nel suo post non si lamenta di quello che può esserci stato dietro l’immagine della figlia sorridente che ora fa il giro del web: dolore, angoscia, fatica, rabbia.   “Ma quelli di noi che hanno sperimentato la morte di persone care, o trascorso molto tempo in un ospedale, o hanno divorziato o perso il lavoro o sono passati attraverso una crisi o l’altra, forse non vorranno dare un’altra occhiata all’anno trascorso”, ha scritto. “Se fosse una persona a farmi vedere il viso di Rebecca e dire che questo è stato il mio anno, sarebbe sbagliato. Però è un software a deciderlo, e in questo caso è solo inopportuno”. L’accusa, peraltro rivolta con toni molto pacati, è contro un algoritmo che è essenzialmente incapace di decidere, ma in effetti in altri i social network si comportano in questo modo.   Pensiamo ad esempio alle notizie negative e alla possibilità di mettere un Like: in questo caso “mi piace” perde il suo significato letterale e diventa solo un modo per esprimere solidarietà, vicinanza, partecipazione. Eppure capita spesso: sotto qualcosa che ci rattrista, ci fa arrabbiare, ci indigna, c’è un elenco di persone alle quali quello status “piace”.  Come sottolinea Meyer, Facebook è pensato per condividere notizie e stati d’animo positivi, leggeri, tuttalpiù irrilevanti, propone un modello di vita e di condotta che non può valere per tutti e per tutti i momenti. Ma in realtà la connotazione emotiva di un messaggio è ben diversa dalla sua popolarità: e infatti anche su Twitter, nel 2014 il suo messaggio più ritwittato e più spesso aggiunti ai preferiti è quello che rimanda al discorso per la cerimonia funebre della bambina. “Non mi aspettavo tanto clamore”, commenta  , spiegando di aver avuto molte mail di solidarietà e anche le scuse sincere di Jonathan Gheller, product manager del team che gestisce l’app Year in Review su Facebook: “L’applicazione è piaciuta a moltissime persone, ma è chiaro che in questo caso ha causato dolore anziché gioia”.   Di Rebecca hanno parlato giornali e televisioni, e il caso stato molto discusso sul web; certamente a Gheller e ai suoi saranno arrivate proteste e accuse. Così stavolta a fare ammenda è Meyer: “Devo al team Year in Review, nello specifico, e a Facebook in generale, le mie scuse, non loro a me”, scrive. “Mi spiace che Internet gli si sia avventato contro, e proprio a Natale. Jonathan e il suo team non lo meritano”.