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KATRINA

Post n°7 pubblicato il 27 Giugno 2007 da just_ladies
 
Foto di just_ladies

Correva l’anno 1750 e a quel tempo Parigi non si poteva certo annoverare tra i posti migliori in cui soggiornare. Sporca, caotica, maleodorante e infestata dai ratti, non era degna neppure d’esser consigliata al peggior nemico.
Fu proprio in quel periodo che a Parigi, cominciai a fare la puttana. Avevo si e no quattordic’anni.
La persona che mi comprò era una donna aspra, alto quel tanto che basta a costringerci tutte ad alzare la testa per guardarla, sporca quanto Parigi, nonché avvizzita nei suoi anni e consumata dai suoi innumerevoli amanti; vistasi ormai sull’orlo della vecchiaia, aveva deciso di riporre le sue maggiori speranze in me, forte del fatto che ero la figlia di sua sorella e tutto sommato non le sarei costata molto. Fu così che quello stesso anno mia madre decise di vendermi per un chilo di patate, un mulo e l’usufrutto di un campo per tutta la stagione estiva.

La sera che arrivai nella mia nuova casa, gli occhi di tutte le altre ragazze mi si posarono addosso appiccicose come la pece; qualcuna ridacchiava, qualcun’altra invece mi guardava male.
Ricordo la sensazione di disagio che tutti quegli sguardi mi diedero.
Avrei voluto scappare lontano, perdermi e ritrovarmi in un posto che non fosse Parigi, che non fosse quella casa che odorava di sesso e di malattie.
Le altre erano tutte più grandi di me; diciotto anni, qualcuna persino venti, o forse più.
Lavoratrici provette nel campo del sesso che si vendevano ogni sera (e ogni giorno), perché “quello che avevano fra le gambe valeva senza dubbio più dell’oro”, come ricordava la targa in ottone posta ben visibile in ogni stanza.
La vecchia non ci pensò su nemmeno un attimo, quando si trattò di scegliere la mia compagna di camera, quella cioè che da quel momento in poi mi avrebbe guidata insegnandomi il mestiere.
Katrina era una zingara di circa vent’anni; il suo atteggiamento era ribelle quanto il suo portamento era regale. Mi disse d’essere arrivata al bordello quasi dieci anni prima, venduta un giorno da suo padre per una scopata con la vecchia. Aggiunse anche che se avessi fatto come diceva lei, la mia vita lì dentro non sarebbe stata tanto dura.
Era una persona d’un pezzo, poco incline alle dolcezze, a tratti quasi sadica.
Ci feci ben presto l’abitudine.

Non appena entrammo in stanza, Katrina mi ordinò di spogliarmi. Diceva che non si poteva perdere tempo e che avrei dovuto imparare il mestiere quanto più in fretta possibile, giacché già dal giorno dopo avrei cominciato a pieno ritmo, sempre che qualcuno m’avesse scelta.
Dopo aver assistito alla mia lavanda, mi fece sdraiare sul letto e mi legò mani e piedi; mi penetrò con uno strano oggetto per tutta la notte. Ero vergine. Non lo sarei stata mai più.
Quella notte Katrina mise quel fallo duro e freddo in ogni mio anfratto. Mi costrinse ad infilarmelo in bocca fino quasi a strozzarmi; voleva a tutti i costi che me lo facessi arrivare in gola e che ce lo tenessi quanto più tempo possibile. Quando passò all’altro buco, quello in mezzo al sedere, mi venne quasi da ridere, a pensare ai capricci che avevo fatto per tenerlo in gola.
A quel punto la sensazione era ben diversa, ben peggiore. Mi fece male da morire ma Katrina continuò a ripetere che era per il mio bene, che “magari qualcuno l’avesse fatto con lei”, perchè era meglio il fallo gelido quella notte, piuttosto che un ciccione ubriaco l’indomani mattina.
Mi scopava e nello stesso tempo m’insegnava. Dovevo apprendere da ogni suo gesto, soprattutto quando toccava “il marmo”, come lo chiamava lei. E dovevo godere, o almeno darlo a vedere.
Smise soltanto alle prime luci dell’alba, permettendomi di riposare un poco.
Quando mi svegliai, fuori dalla stanza era tutto un vociare, tutto uno starnazzare. Misi il muso fuori in corridoio e vidi molte delle ragazze conosciute la sera prima -alcune mezze nude e alcune nude completamente- correre in modo caotico da una stanza all’altra, a volte inseguite da buffi individui, a loro volta nudi e con il marmo ben in vista per tutte. Mi eccitai un po’, se devo essere sincera.
Katrina però non si vedeva e in stanza con me non c’era.
Mi misi uno dei vestiti che c’erano nell’armadio e decisi di uscire per cercarla, quantomeno per capire da che parte cominciare. Mi aveva spiegato del sesso ma non mi aveva detto nulla di quello che veniva prima e non avevo nessuna voglia di mettermi a correre nuda assieme alle altre.
Camminai un po’ per l’edificio, salendo le scale e avventurandomi per i corridoi. Lo feci anche con piacere perché avevo bisogno di sgranchirmi le gambe.
Allontanandomi dalla zona centrale mi ero probabilmente infilata in un'area riservata perché il vociare si era dissolto e la casa pareva quasi una casa perbene.
Si sentiva solo un lievo sospirare nell’aria, come portato dal vento, ma non riuscivo a distinguerne la provenienza.
D’un tratto, entrai in un grosso salone dal pavimento lucido e scuro, pieno di poltroncine imbottite posizionate in modo ordinato lungo i suoi lati e con tre enormi lampadari in cristallo che pendevano dal soffitto. C’erano anche parecchi dipinti appesi alla parete ma non furono loro ad attirare la mia attenzione. Le vetrate di quella stanza erano immense e la vista sul giardino a diri poco meravigliosa. Per un poco tutto quello splendore distolse la mia attenzione da ciò che cercavo.
Fu quando sentii aumentare copiosamente quel sospiro che mi ricordai che stavo cercando Katrina per cominciare a darmi da fare. Scorsi una porta più piccola di quella dalla quale ero entrata, posta esattamente dall’altro lato del salone, mezza coperta da una pesante tenda di velluto beige.
Mi diressi in quella direzione e aperta la porta quel tanto che basta, m’infilai dall’altra parte.
Rimasi impietrita nel trovare Katrina a gambe aperte, comodamente adagiata su un grosso tavolo di legno. Aveva i capelli raccolti e indossava solo un corpetto slacciato, di seta nera.
Stava sdraiata supina tra i cuscini; appoggiata sui gomiti inarcava la schiena e ansimava come un’indemoniata. Un uomo teneva la testa fra le gambe divaricate della mia maestra, ma sul momento non avrei saputo dire se il tanto godere di lei era dovuto ai miracoli della sua lingua oppure agli altri tre uomini che le si stavano accalcando addosso.
Uno di loro, in piedi alle sue spalle le riempiva la bocca con il suo enorme marmo, questa volta quello vero, costringendola a stare con la testa piegata all’indietro. Un altro le succhiava i capezzoli e li mordeva e li strizzava come a volerglieli strappare; un altro ancora le leccava metodicamente i piedi e quest’ultimo lo osservai per bene. Leccava dalla punta di ogni singolo dito fino a metà polpaccio, poi tornava giù e succhiava scrupolosamente tutto quello che aveva poc’anzi leccato, tutto accompagnato da uno splendido massaggio a mano.
Katrina se ne stava morbida e lasciva e godeva come una pazza al centro di quel branco di bestie affamate.
Quello non mi era stato mostrato la sera precedente e mi parve una buona cosa, l’aver già imparato dell’altro da sola.
Persa dietro alla mia autostima non mi resi conto che uno di quegli uomini si era accorto della mia presenza e avanzava, nudo, verso di me, fissandomi come un lupo, con tanto di bava alla bocca.
Mi afferrò per un polso e senza dire nulla mi trascinò verso un’angolo della stanza, lontano dal gruppo che però ci seguiva con lo sguardo. Anche Katrina si era accorta ormai di me e sorridendomi con gli occhi, mi sembrò quasi compiaciuta.
Quell’uomo mi scaraventò senza nessuna delicatezza su un grosso sofà che pareva molto più morbido di quello che in realtà era e mi strappò con veemenza tutto quello che avevo addosso. Una sua mano bastava a coprirmi quasi tutto il petto e la sua forza era indubbia, dato che maneggiata da lui parevo quasi una marionetta. Mi penetrò selvaggiamente tenendomi una mano in faccia, gridando e godendo dei miei buchi stretti e io mi sentivo soffocare dall’odore di animale che emanava. Mi eccitava però, non potevo negarlo. Capii in quel momento che ero fatta per quel mestiere e lo capì anche Katrina.
Dopo qualche mese diventò lei la mia padrona, e lo diventò in tutti i sensi. Godeva nel vedermi scodinzolare per la stanza a gattoni, godeva nell’obbligarmi a stare sempre con almeno un seno scoperto, che mordicchiava e schiaffeggiava a suo piacimento e godeva nel legarmi al letto, succhiandomi e scopandomi come se fosse un uomo. A volte persino meglio. Godeva nel farsi leccare per ore fra le gambe. Le piaceva bendarmi, versarmi cera bollente addosso. Le piaceva guardare quando gli altri mi scopavano. E tutto questo piaceva anche a me.
La vecchia ci aveva visto giusto quando mi aveva consegnata fra le sue mani e per questo, pace all’anima sua, le sarò per sempre grata.
Perché Katrina era sì una puttana, ma a differenza di quelle che avevo visto zompettare il primo giorno in corridoio, lei non si dava a tutti. Lei era la ricca e viziata favorita del Re e venni a sapere qualche tempo dopo che era stato proprio lui, la bestia ansimante che mi aveva cavalcata in quel salone.
Per più di dieci anni io e Katrina condividemmo la stessa camera, gli stessi uomini, le stesse donne. Per più di dieci anni lei fu tutto ciò che avevo e imparai ad amarla più di ogni altra cosa.

 
 
 
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